Sezioni Unite, sulla responsabilità della banca per l’assegno non trasferibile pagato a persona diversa
Sommario: 1. Fatti di causa – 2. Il giudizio – 3. La normativa di riferimento – 4. Il ragionamento delle Sezioni Unite – 5. Conseguenze di tale presa di posizione – 6. Principio di diritto
1. Fatti di causa
Fondiaria Sai s.p.a. conveniva in giudizio San Paolo Imi s.p.a. per avere emesso un assegno di traenza non trasferibile intestato a M. C., poi incassato presso lo sportello della convenuta da un uomo presentatosi con carta d’identità e codice fiscale falsi, spacciandosi per il beneficiario. Alla convenuta si contestava di avere violato l’obbligo gravante sulla banca negoziatrice di pagare l’assegno non trasferibile al prenditore ai sensi dell’art. 43 commi 1 e 2 R.D. 1736/1993 ed il dovere di identificare in maniera diligente colui che si presenta per l’incasso, chiedendone pertanto la condanna al risarcimento del danno derivante dal fatto di aver dovuto pagare nuovamente la somma all’effettivo titolare del credito.
La convenuta negava la propria responsabilità, dal momento che il portatore dell’assegno aveva esibito dei documenti corrispondenti alle generalità del reale beneficiario, senza che apparisse alcuna irregolarità. In via principale chiedeva perciò il rigetto della domanda e, in subordine, la chiamata in causa della banca emittente, da cui intendeva essere interamente manlevata, atteso che il danno era derivato da un suo comportamento negligente, consistito nell’avere indicato sul titolo solo nome e cognome del prenditore, nell’avere spedito l’assegno a mezzo posta ordinaria nonché nell’avere pagato l’assegno in stanza di compensazione, riconoscendone solo successivamente la falsa identità.
La banca si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
2. Il giudizio
Il tribunale di primo grado accoglieva parzialmente la domanda attrice, rigettava la domanda di manleva della convenuta e compensava le spese tra le parti. Segnatamente, affermava che il danno fosse derivato tanto dalla responsabilità contrattuale della banca negoziatrice, che aveva pagato ad una persona prima di allora sconosciuta e non debitamente identificata, quanto dal concorso colposo di parte attrice, che aveva fornito istruzioni alla banca emittente autorizzandola a spedire l’assegno con lettera ordinaria.
La Corte d’appello riformava l’impugnata sentenza nei soli capi relativi alla decorrenza della rivalutazione del danno, mentre rigettava il motivo principale sulla natura della responsabilità della banca negoziatrice, che qualificava come contrattuale ex artt. 1176 e 1218 c.c. e non, come sostenuto da parte attrice, oggettiva.
Tale pronuncia veniva impugnata con ricorso per Cassazione sulla base di cinque motivi.
La prima sezione civile della Corte di Cassazione, rilevata la sussistenza di un contrasto sulla natura della responsabilità della banca che abbia pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, ha rimesso la causa, con ordinanza interlocutoria del 12.4.2017, al Primo Presidente. Quest’ultimo ha allora assegnato la questione alle Sezioni Unite.
3. La normativa di riferimento
La disciplina che viene in rilievo è il Regio Decreto n. 1736 del 1933, rubricato “disposizioni sull’assegno bancario, sull’assegno circolare e su alcuni titoli speciali dell’Istituto di emissione, del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia”, più comunemente chiamata L.A., ossia legge assegno.
In particolare, con riferimento all’assegno bancario emesso con la c.d. clausola di non trasferibilità, l’art. 43 comma 1 pone il divieto di pagamento a soggetto diverso dal prenditore (o all’eventuale banchiere giratario per l’incasso) ed il comma 2 prevede che il soggetto che violi tale divieto risponde del pagamento.
La norma si applica anche all’assegno circolare, all’assegno bancario libero della Banca d’Italia e all’assegno di traenza, che siano muniti, evidentemente, di clausola di non trasferibilità.
La questione controversa e gli orientamenti giurisprudenziali
In punto di natura giuridica della responsabilità in discorso, la giurisprudenza della Cassazione ha subito forti oscillazioni nel tempo.
Secondo l’impostazione più risalente[1], l’art. 43 comma 2 l.a. introdurrebbe un sistema derogatorio alla disciplina generale di cui all’art. 1189 c.c., secondo cui “il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede”. Invero, la norma in discorso esclude che la banca, che abbia pagato a soggetto non legittimato, sia liberata, in quanto non ha validamente adempiuto l’obbligazione cartolare, con la conseguenza che pone in capo alla stessa l’obbligo di effettuare un nuovo pagamento a favore del soggetto legittimato. E ciò a prescindere dal livello di diligenza utilizzato nell’identificare l’identità del prenditore. Pertanto la sua responsabilità avrebbe natura oggettiva e non configurerebbe un’obbligazione risarcitoria della banca verso il prenditore, attenendo piuttosto all’obbligazione cartolare originaria, che non è stata correttamente adempiuta.
A distanza di una decina di anni la Cassazione[2], cui si è conformata la giurisprudenza successiva[3], aveva invece sostenuto che tale responsabilità sussisterebbe solo qualora la banca non abbia diligentemente proceduto ad identificare il presentatore del titolo ex art. 1176 comma 2 c.c., sicché si tratterebbe di responsabilità colposa. Invero la disposizione si riferisce alla legittimazione cartolare, quindi non deroga ai principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale. Del resto, la clausola di intrasferibilità non mirerebbe tanto a garantire che l’effettivo prenditore ottenga la prestazione dovuta, quanto ad impedire la circolazione del titolo.
Alla fine degli anni Novanta[4] la Cassazione operò un revirement, affermando che la normativa in discorso derogherebbe sia alla disciplina generale sul pagamento dei titoli di credito a legittimazione variabile che alla disciplina di diritto comune dell’art. 1189 c.c. in tema di pagamento al creditore apparente, dal momento che obbliga la banca di pagare l’assegno solo ed esclusivamente al soggetto indicato come prenditore. Di conseguenza, qualora la banca paghi a soggetto non legittimato, non è liberata né lo sarà finché non paghi al legittimo prenditore, a prescindere da un’eventuale colpa nell’identificazione di quest’ultimo. La ratio dell’art. 43 l.a., infatti, consisterebbe nella tutela del prenditore dallo spossessamento.
A tale decisione seguirono pronunce contrastanti, sicché si è reso necessario l’intervento dirimente delle Sezioni Unite.
4. Il ragionamento delle Sezioni Unite
Il Supremo Collegio prende, quale punto di partenza, una precedente sentenza delle Sezioni Unite del 2007[5]già intervenuta in materia di natura della responsabilità derivante dal pagamento dell’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore e, quindi, di durata del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria.
Al tempo era stato innanzitutto precisato che, là dove il comma 2 dell’art. 43 l.a. parla di “colui che paga”, si riferisce sia alla banca trattaria (in caso di assegno bancario) o all’emittente (in caso di assegno circolare) sia alla banca negoziatrice.
Inoltre – e questo era il cuore del dictum– la responsabilità in parola era stata qualificata come contrattuale. Tuttavia, circa la fonte, abbandonata la c.d. tesi contrattualistica per cui la stessa sarebbe derivata da un vero e proprio contratto in senso tecnico, la Corte aveva sposato la tesi del c.d. contatto sociale qualificato, poiché la banca, nel momento dell’esercizio delle proprie funzioni, rappresenta un soggetto professionale su cui i privati ripongono il loro legittimo affidamento a che essa tenga un comportamento diligente in esecuzione dei propri obblighi. Dunque, da un lato, l’istituto di credito ha uno specifico dovere di protezione rispetto al legittimo beneficiario e, dall’altro, il beneficiario ha ragione di confidare nel fatto che l’assegno sia pagato soltanto nei modi e nei termini previsti dalla legge. Ed infatti, lo scopo della norma de qua consisterebbe nel tutelare l’interesse specifico di coloro che sono interessati alla circolazione del titolo e non invece l’interesse generale alla corretta circolazione dei titoli di credito.
Come noto, il contatto sociale qualificato è annoverato tra le c.d. fonti del terzo tipo, ossia tra gli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1173 c.c., sicché la responsabilità che si configura in ipotesi di violazione del predetto obbligo e dei correlativi doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. è riconducibile al disposto dell’art. 1218 c.c.
A tali conclusioni aderiscono le Sezioni Unite in commento, conformandosi al principio di diritto al tempo enunciato, in forza del quale “la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regola che ne presidiano la circolazione e l’incasso”.
5. Conseguenze di tale presa di posizione
Configurata la predetta responsabilità in termini contrattuali ex art. 1218 c.c., le Sezioni Unite svolgono una serie di considerazioni su quelle che sono le conseguenze, sul piano giuridico, della linea ermeneutica seguita.
In primo luogo, osservano, non è più possibile ritenere – come pure era stato per lungo tempo ritenuto – che si tratti di una responsabilità oggettiva e che, pertanto, la banca risponda a prescindere dall’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore. Una tale forma di responsabilità potrebbe configurarsi solo in mancanza di un rapporto contrattuale, sia pure inteso in senso ampio (comprensivo non solo del contratto in senso tecnico ma anche della più nuova figura, di elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, del contatto sociale qualificato), tra danneggiante e danneggiato, se il primo rivesta una particolare posizione rispetto al secondo oppure abbia una particolare relazione con la resche ha cagionato il danno. Ed infatti, le ipotesi di responsabilità oggettiva si sono sviluppate nell’ambito dell’illecito aquiliano exart. 2043 c.c., in particolare agli artt. 2048 ss c.c.
Piuttosto, essendo il contatto sociale ricondotto alla responsabilità contrattuale, troverà applicazione il regime ordinario e generale derivante dal combinato disposto degli artt. 1176 e 1218 c.c., con la conseguenza che la responsabilità, sotto il profilo soggettivo, si configura come colposa. Tale colpa è presunta iuris tantum sulla base del mero inadempimento del debitore, il quale è tuttavia ammesso a provare – trattandosi di una presunzione relativa vincibile mediante prova contraria – la mancata imputabilità dell’inadempimento, ossia di avere adempiuto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dalla natura della propria attività professionale ai sensi dell’art. 1176 comma 2 c.c.
Quanto alla ratio dell’art. 43 comma 2 l.a., osserva la Corte che la clausola di intrasferibilità persegue due obiettivi, garantendo, da una parte, che sia solo e soltanto il legittimo beneficiario ad ottenere il pagamento ed impedendo, dall’altra, la circolazione del titolo.
Pertanto devono essere distinte due ipotesi:
da un lato, vi è l’ipotesi della responsabilità cartolare, che si configura nel caso in cui la banca paghi ad un soggetto non legittimato come prenditore del titolo;
dall’altro, vi è la responsabilità civile, che sorge dall’errata identificazione dell’effettivo prenditore.
6. Principio di diritto
Le Sezioni Unite n. 12477/2018 hanno pertanto concluso affermando che “ai sensi dell’art. 43 comma 2 legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 comma 2 c.c.”.
[1] Cass. civ., sez. I, 7 ottobre 1958, n. 3133.
[2] Cass. civ. n. 2360/1968.
[3] Ex multisCass. civ. n. 3317/1978, n. 4187/1987 e n. 9888/1997.
[4] Cass. civ. 1098/1999.
[5] Cass. civ., Sez. Un., 14712/2007.
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Giulia Rossi
Avvocato
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