Sfruttamento del lavoro e caporalato: il nuovo art. 603 bis c.p.
Il caporalato costituisce una delle piaghe dell’odierna società italiana ed è un fenomeno che colpisce maggiormente il meridione, consistente nello sfruttamento, specie in ambito agricolo, di soggetti deboli per ottenere prestazioni lavorative a bassissimo costo, senza alcuna tutela per i lavoratori, talvolta è accompagnato anche dall’uso della violenza, sia per costringere tali soggetti a continuare a prestare la propria opera, sia per dissuaderli dal denunciare tale attività illegale.
Da ciò la previsione del delitto di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” nel titolo XII del Libro II del codice penale, dedicato ai delitti contro la persona. Il 18 ottobre 2016, con la Legge n° 199, è stato completamente riscritto l’art. 603 bis del Codice Penale, già introdotto col D.L. 138/11, rubricato “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Lo scopo era quello di contrastare il c.d. fenomeno del caporalato, migliorando la qualità degli strumenti repressivi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Oggi il nuovo autore del reato di “caporalato” è il datore di lavoro che ponga in essere una condotta di sfruttamento del lavoratore, e non più soltanto l’intermediario.
Il nuovo art. 603-bis c.p. dispone che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni: 1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti. Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà: 1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre; 2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; 3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.
La nuova norma prevede, dunque, la riformulazione del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con la previsione della pena della reclusione da 1 a 6 anni e della multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. Fra le innovazioni più significative, vi è la potenziale responsabilità soggettiva, in qualità di autore del reato, anche del datore di lavoro che ponga in essere una condotta di sfruttamento del lavoratore ove nel testo previgente, invece, era punibile solo l’intermediario.
La strutturazione del testo normativo prevede sia l’indice di sfruttamento, ovvero una o più condizioni che consentano l’individuazione del reato de quo, quali le retribuzioni molto al di sotto dei limiti contrattuali o sproporzionate rispetto alla mole e al tipo di lavoro, violazioni reiterate riguardo orari di lavoro, riposo e ferie oppure delle norme di sicurezza e igiene, o sottoporre il lavoratore a condizioni di lavoro, sorveglianza o situazioni alloggiative degradanti, che un’ aggravante specifica, la quale comporta l’aumento della pena da un terzo alla metà se il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre, o se uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa, nonché l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo.
E’ disposta, infine, l’adozione di misure cautelari relative all’azienda agricola in cui è commesso il reato. In merito, il giudice può sancire, in luogo del sequestro, il controllo giudiziario dell’azienda presso cui è stato commesso il reato, qualora l’interruzione dell’attività imprenditoriale possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale.
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Avv. Valentina Messana
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