Si può parlare di azione atipica di mero accertamento dinnanzi al G.A.?

Si può parlare di azione atipica di mero accertamento dinnanzi al G.A.?

Sommario: 1. Introduzione – 2. Ricostruzione dell’azione di mero accertamento: gli argomenti posti a sostegno della tesi affermativa – 3. La posizione favorevole della giurisprudenza all’azione di accertamento, con riferimento alla tutela del terzo leso dalla Segnalazione certificata di inizio attività – 4. Azione di accertamento e discrezionalità tecnica – 5. L’ottemperanza della sentenza di accertamento atipico e condanna ad un facere infungibile – 6. Conclusioni

 

 

1. Introduzione 

Non può parlarsi di diritto amministrativo prescindendo dalla tutela giurisdizionale apprestata al privato nei confronti del potere pubblico.

Eppure, l’affermazione di un regime processuale completamente improntato alla tutela effettiva delle posizioni giuridiche dei privati non è stata immediata, né pacifica, costituendo al contrario il frutto di una lunga evoluzione giurisprudenziale e normativa.

Il processo amministrativo, invero, nasce incardinato esclusivamente sulla tutela degli interessi oppositivi; tutela unicamente esperibile attraverso l’azione di annullamento dell’atto affetto da vizi di legittimità.

È dunque un sindacato, quello del giudice amministrativo, originariamente circoscritto al solo elemento formale ed estrinseco sul provvedimento lesivo.

Di conseguenza, la tutela che plasma questa fase storica appare univoca ed attenta a impedire straripamenti del potere giurisdizionale, tanto che si rivelerà sempre più inadeguata a ricomprendere quelle ipotesi in cui il privato non ha interesse a ottenere la neutralizzazione dell’atto restrittivo, ma mira a perseguire un bene della vita che gli viene negato.

Una differente e più evoluta concezione di tutela giurisdizionale, caratterizzata dall’incremento del numero delle azioni esperibili, potrà apprezzarsi solo a partire da una rivalutazione del concetto di interesse legittimo.

Questa nuova impostazione teorica, che ha coinvolto l’intero diritto amministrativo a partire dalla posizione giuridica che ne costituisce le fondamenta, consente oggi di poter affermare l’effettività del c.d. “principio della pluralità delle azioni”, grazie al quale si è potuto discutere circa l’ammissibilità  dell’azione atipica per eccellenza, ovvero l’azione di accertamento autonomo con eventuale condanna della p.a. a un facere infungibile.

2. Ricostruzione dell’azione di mero accertamento: gli argomenti posti a sostegno della tesi affermativa

L’azione di accertamento autonomo o “mero accertamento”, della quale non esiste alcuna formalizzazione normativa, costituisce l’attività che più di ogni altra consente al g.a. di calarsi in maniera pura nel rapporto tra le parti, a prescindere dalla previa impugnazione del provvedimento illegittimo.

Allo stesso tempo, essa consente al privato di essere sempre coperto da una tutela processuale anche in mancanza di azioni tipizzate dal codice di rito, al pari di quanto è tipicamente previsto nel giudizio civile grazie all’art.700 c.p.c.

La risposta al nostro quesito si impone dunque la prerogativa di sciogliere il dogma circa l’esistenza dell’azione d’accertamento mero, che consolidi l’idea di un mutamento radicale nella natura del processo.

Allo scopo, è opportuno dar conto di come si è giunti ad ammettere l’esistenza dell’azione de qua, che, se da un lato trova conforto nel principio d’ispirazione costituzionale della pluralità delle azioni, dall’altro è frustrata dal quel limite al sindacato del giudice che risiede nella discrezionalità amministrativa.

Il primo elemento favorevole che ci è dato valorizzare risiede nel concetto evoluto di interesse legittimo, il quale è passato dall’essere un elemento ancillare al perseguimento del pubblico interesse, fino ad acquisire pari rango rispetto al diritto soggettivo e dunque una tutela piena e effettiva, grazie al suo collegamento al bene della vita.

Connesso a tale aspetto vi è la progressiva parificazione del cittadino rispetto alla p.a., non più concepita come un soggetto infallibile, bensì come un organo il cui agere può essere messo in discussione, alla stessa stregua dell’attività privata.

Questa diversa concezione d’interesse legittimo, grazie anche alla nota sentenza delle Sezioni Unite n.500/99, ha aperto la strada verso l’implementazione delle tutele esperibili dinnanzi al g.a., in particolare in tutte quelle ipotesi ove i il petitum verteva su interessi pretensivi.

Il riconoscimento di una tutela piena e effettiva dell’interesse, tanto da ritenere lo stesso degno di risarcibilità ex se al pari del giudizio civile, ha indotto a interrogarsi sulla possibilità di affiancare all’azione di annullamento una pluralità di azioni che attribuiscono al g.a. un potere maggiormente cognitivo.

La ratio di questa esigenza, come accennato, trova la sua essenza nell’art.24 Cost. e nel principio di uguaglianza di cui all’art.3 Cost., secondo cui il diritto di difesa deve essere sempre garantito al soggetto che viene leso nella sua posizione giuridica, non potendosi ammettere un differente regime di tutela tra procedimenti diversi, che condurrebbe inevitabilmente ad una disparità di trattamento.

Anche a livello convenzionale il medesimo principio è assolto dall’art.6 CEDU, con riguardo alle garanzie che governano l’equo processo e dall’art.47 comma 1 CEDU, ove si ribadisce “che ogni persona i cui diritti sono stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinnanzi a un giudice.

Alla luce di ciò, il dovere del g.a. di conoscere degli interessi legittimi non può dunque arrestarsi a un mero sindacato estrinseco sull’atto, ma calarsi nel rapporto tra le parti e accondiscendere, ove giusto, alla realizzazione di interessi diversi e ulteriori rispetto alla mera rimozione degli effetti del provvedimento illegittimo.

Questa esigenza, ormai giunta a maturazione, ha trovato recepimento nel vigente Codice del processo amministrativo d.lgs.104/2010 e successive modifiche, con cui il legislatore ha inteso non solo far propria la differente natura di interesse legittimo, ma anche codificare una pluralità di azioni che presuppongono l’accertamento e si affiancano a quella di annullamento ex art.29 cpa.

Prima di enunciare le azioni tipiche di accertamento è importante sottolineare come nel progetto di codice vi sia stato un audace tentativo di positivizzare l’accertamento mero, per mezzo di due norme, un art.36 e un art.28 bis, che avrebbero consentito di accertare l’esistenza in via dichiarativa del rapporto giuridico contestato.

E tuttavia, per quanto maturi fossero i tempi del cambiamento, entrambe le disposizioni furono espunte dalla redazione definitiva del d.lgs.104/2010.

Attualmente, il codice di rito può considerarsi uno strumento che pone a disposizione del privato un ampio ventaglio di tutele dinnanzi al g.a. qui di seguito riportato in maniera non esemplificativa: l’azione di nullità, esperibile a seguito dell’introduzione dell’art.21 septies introdotto con L.15/2005, e consacrata nell’art.31 comma 4 c.p.a.; l’azione di accertamento dell’illegittimità a fini risarcitori ex art.34 comma 3 c.p.a.; l’azione di accertamento e condanna in tema di accesso ex art.25 comma 4 L.241/90; l’azione di accertamento e condanna in caso di silenzio-rifiuto per decorrenza dei termini a provvedere ex art.2 L.241/90 e art.31 e 117 c.p.a.; l’azione volta a ottenere una pronuncia dichiarativa della cessazione della materia del contendere ex art.34 comma 5 c.p.a.; l’azione volta a ottenere la dichiarazione di nullità degli atti adottati in violazione o elusione del giudicato ex art.114 c.p.a.

Su altro fronte, un chiaro riferimento alla maggiore incisività del sindacato giurisdizionale la si rinviene con riguardo all’azione di annullabilità, potendosi osservare che la riforma dell’art.21 octies comma 2 l.241/90 attribuisce al giudice il potere di entrare ulteriormente nel merito del rapporto, facendo “salvo” l’atto vincolato che sia affetto da una mera irregolarità formale, qualora il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

E’ però incontrovertibile che nessuna delle numerose azioni poc’anzi elencate contempli l’accertamento in sé, integrandolo piuttosto ad altre funzioni cui il privato può mirare: ad esempio l’accertamento dell’illegittimità è strumentale a ottenere una sentenza di condanna al risarcimento del danno, l’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia amministrativa intende pervenire all’adozione del provvedimento cui il privato auspicava e così via.

L’azione di accertamento, invece, atteggiandosi come un’azione del tutto atipica, invero, se riconosciuta ex se, si immetterebbe nel processo in maniera dirompente consentendo al g.a. di entrare nel merito del rapporto a prescindere dalla sua natura strumentale o dalla previa impugnazione dell’atto. Ciò, ovviamente, nei limiti in cui non residuino poteri discrezionali sull’atto.

3. La posizione favorevole della giurisprudenza all’azione di accertamento, con riferimento alla tutela del terzo leso dalla Segnalazione certificata di inizio attività.

La questione in oggetto ha trovato uno dei suoi terreni elettivi nella liberalizzazione e, in particolare, nell’istituto della DIA (ora SCIA), con riguardo alla tutela del terzo, prima della riforma che ha introdotto il comma 6 ter all’art.19 l.241/90.

In un contesto assai dubbioso quale quello anteriore alla novella, la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria avvertì la premura di definire una volta per tutte la natura giuridica sia dell’istanza d’inizio attività che del mancato esercizio dei poteri inibitori da parte dell’amministrazione nel termine perentorio di 60 giorni.

Del resto, l’assenza di una qualche forma di tutela in capo al terzo avrebbe costituito un affronto ai principi costituzionali di difesa e equo processo, di cui agli arti.24-101-113 Cost.

Con la pronuncia n.15/2011, l’Adunanza Plenaria, nel chiarire che la natura giuridica della DIA quale atto privato della liberalizzazione, non costituisce una forma tacita di silenzio-assenso, ha attribuito al mancato esercizio dei poteri inibitori nel termine di legge il carattere di un’inerzia significativa, i cui effetti rendono stabile e definitiva la segnalazione del privato.

A ciò ne consegue che il terzo, leso dall’imminente inizio di un’attività illegittima, potrebbe impugnare il silenzio-diniego formatosi alla scadenza del termine, il quale ha acquisito valore provvedimentale definitivo.

Più incisivamente, si è altresì inteso riconoscere al terzo una tutela ulteriore, da esercitare nelle more della formazione del silenzio diniego: l’azione di accertamento.

E’ evidente come questa soluzione costituisca una significativa presa di posizione da parte della giurisprudenza sulla fondatezza dell’azione di mero accertamento, con cui il terzo miri a ottenere una sentenza che accerta la difformità tra gli stretti requisiti di legge e la documentazione presentata, a cui segue la condanna della p.a. alla rimozione degli effetti già prodotti dall’attività illecita.

Tale soluzione del resto è conforme al disposto dell’art.31 comma 3 cpa, il quale dispone che il sindacato giurisdizionale può spingersi alla verifica della fondatezza della pretesa privata purché non residuino margini di discrezionalità, tecnica o amministrativa. Tale è certamente l’esercizio di un potere inibitorio che si limita a verificare la rispondenza tra la dichiarazione e i requisiti di legge.

La questione del terzo nella SCIA potrebbe ritenersi superata alla luce della riforma che ha aggiunto all’art.19 un comma 6 ter, il quale riconosce al controinteressato “esclusivamente” il rimedio del silenzio inadempimento, se non fosse che la norma ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale per violazione del diritto di difesa a del principio di uguaglianza.

Quell’oscuro utilizzo dell’avverbio esclusivamente sembra infatti relegare la tutela del terzo al solo rito del silenzio, che è tutto fuorché confacente alla funzione snellente dell’istituto.

Tale meccanismo imporrebbe all’interessato di sollecitare l’esercizio del potere inibitorio e, solo l’istanza non si conclude con un provvedimento espresso, agire avverso il silenzio rifiuto ex art.31 c.p.a.

Sul punto il TAR Parma nel 2019 con ordinanza di remissione ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale a cui la Consulta, lungi dal dichiarare l’illegittimità della norma, ha specificato che l’avverbio esclusivamente debba essere letto nel senso di precludere tutele diverse, solo quante volte quella tipizzata dalla norma sia ancora praticabile.

Più in particolare il sistema dovrebbe essere ricostruito proprio a partire dalla Plenaria del 2019 ritenendosi che nell’impossibilità di esperire il rito opportuno potrà ritenersi formato il silenzio diniego avverso il quale esperire un’azione di accertamento circa l’inesistenza dei presupposti della DIA.

La Consulta, ponendosi sulla medesima lunghezza d’onda della giurisprudenza di legittimità, avvalora “l’esistenza” e l’opportunità dell’azione di accertamento mero quale forma di tutela alternativa a quella tipica.

Grazie all’apertura sia dell’Adunanza Plenaria che della Consulta, l’azione atipica di accertamento non può non ritenersi ammissibile in omaggio ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, quale rimedio che garantisce il superamento delle diseguaglianze rispetto al giudizio civile, secondo gli artt.24 e 113 Cost. e il rispetto della completezza dell’ordinamento.

Non di meno, è di nuovo opportuno precisare che essa può operare solo in presenza di un potere vincolato, ovvero nelle ipotesi in cui è la legge a predeterminare rigidamente i termini per l’esercizio del potere da parte della p.a.

L’attività vincolata si caratterizza infatti per l’assenza assoluta di un margine di scelta nelle modalità di cura del pubblico interesse, dovendo la p.a. attenersi esclusivamente ai requisiti imposti dal legislatore.

In questo caso è indubbio che il g.a. possa compiere un accertamento del rapporto, poiché detto accertamento si risolve essenzialmente in una valutazione di conformità del fatto rispetto alla norma giuridica, cui segue la condanna all’adozione di un provvedimento vincolato, come nella già richiamata DIA.

Ben diverso è il caso in cui ci si trova in presenza di un’attività discrezionale, pura o tecnica.

4. Azione di accertamento e discrezionalità tecnica

La discrezionalità amministrativa costituisce una prerogativa dell’agere amministrativo, attraverso la quale la p.a., a differenza dell’attività vincolata, è investita dalla legge del potere di compiere una valutazione di opportunità tra tipi di interessi contrapposti.

Essa attiene dunque al merito amministrativo, in quanto esprime quella scelta compiuta dalla p.a. tra un ventaglio di soluzioni legittime, che sia improntata, più delle altre, alla buona amministrazione e al soddisfacimento del pubblico interesse.

Nell’ambito dell’attività discrezionale è necessario distinguere tra attività pura e attività tecnica, in quanto, mentre nel primo caso è pacifico che non può trovare applicazione l’azione di accertamento autonomo per le regioni anzidette, nel secondo caso la questione è meno scontata.

La discrezionalità tecnica si distingue da quella pura in virtù del fatto che la p.a. non effettua una valutazione comparativa degli interessi in gioco ma, applicando concetti giuridici indeterminati, si limita a verificare un risultato opinabile nell’ambito di un settore altamente specialistico.

In tale contesto l’opportunità è sostituita da tale verifica, cui la p.a. è pervenuta limitandosi a contestualizzare la regola al fatto concreto.

Dal punto di vista giurisdizionale, questa forma di attività ha indotto la dottrina a domandarsi quanto possa essere incisivo il sindacato del g.a. rispetto a un atto caratterizzato da discrezionalità tecnica.

In particolare una parte della dottrina ritiene ammissibile un sindacato di tipo forte mediante il quale il giudice non si limita a verificare la correttezza dell’iter formale seguito dalla p.a., ma addirittura ripete la valutazione tecnica. In tal modo, la pronuncia adottata si porrebbe così come una sentenza sostitutiva del provvedimento tecnico.

Questa soluzione appare tuttavia estrema a coloro che ritengono inattuabile una sostituzione totale da parte del g.a., stante il fatto che anche l’attività tecnica lascia residuare margini apprezzabili di discrezionalità.

In maniera più cauta si potrebbe affermare che il potere del giudice in questi frangenti deve consistere in un controllo che, senza ingerirsi nella discrezionalità, assicuri la legalità sostanziale dell’attività e la coerenza logica dell’atto, mediante un’attività di “accertamento tecnico”, ben diversa da quella di “valutazione tecnica”.

Nell’accertamento tecnico viene infatti in rilievo un’attività solamente ricognitiva del giudice, esperibile anche alla luce dei nuovi mezzi istruttori riconosciuti allo stesso dal codice, senza che possa verificarsi una sostituzione/straripamento nell’ambito del potere pubblicistico.

Ciò consente di affermare che anche nell’attività tecnica come un quella pura sussiste un potere discrezionale che non può essere oggetto di sostituzione da parte del giudice e, come tale, rende l’atto insuscettibile di un’azione atipica di accertamento e condanna all’adozione del provvedimento favorevole.

In definitiva, con riguardo all’esperibilità dell’azione di accertamento questa può ritenersi perseguibile solo in presenza di un’attività vincolata dalla p.a., ove nel provvedimento espresso di rigetto non residua oltremodo il potere discrezionale.

Del resto è la stessa normativa ad avallare questa conclusione, laddove, nelle varie azioni caratterizzate da un maggior potere di accertamento, individua il limite degli atti discrezionali. All’uopo di guardi l’art.l’art.31 comma 3 c.p.a., il quale specifica che l’attività d’accertamento circa la fondatezza della pretesa, nel caso di silenzio inadempimento, può esservi quando non residuano poteri discrezionali o non sono necessari adempimenti istruttori.

Oppure si guardi all’art.21 octies l.241/90 che, nell’ampliare le maglie di cognizione del g.a. in sede di giudizio di legittimità, circoscrive l’effetto “sanante” ai solo atti vincolati.

5. L’ottemperanza della sentenza di accertamento atipico e condanna ad un facere infungibile

Sulla base di questi elementi, è ora possibile verificare le conseguenze applicative di una sentenza “inottemperata”, avente ad oggetto un atto vincolato, con cui il giudice ha compiuto l’accertamento autonomo del rapporto e la condanna della p.a. al facere infungibile.

Si fa riferimento a quelle ipotesi ove la p.a., condannata all’adozione di un determinato provvedimento vincolato, non esegua la sentenza passata in giudicato, ovvero adotti un provvedimento in violazione o elusione dello stesso.

Il rimedio posto dal codice a presidio della tutela individuale è dato, come evidente, dal rito dell’ottemperanza di cui agli artt.112 e ss. cpa., il quale rappresenta la massima forma di cognizione estesa al merito di cui gode il g.a.

Il ricorso in ottemperanza consente infatti all’interessato, forte di un giudicato non autoesecutivo in suo favore, di adire il g.a. e ottenere una pronuncia che ha natura sia cognitoria che esecutiva, mediante la quale il giudice si sostituisce alla p.a. inadempiente tramite un commissario ad acta e impone alla stessa di tenere un determinato comportamento.

I presupposti imprescindibili affinché possa attivarsi siffatto rimedio sono l’esistenza di un giudicato, ancorché formatosi nelle more del giudizio di ottemperanza, il dovere della p.a. di adottare un provvedimento che dia esecuzione al giudicato e un inadempimento, anche nell’ipotesi in cui vi sia un provvedimento adottato in violazione o elusione del giudicato.

Di quest’ultimo, il giudice dell’ottemperanza, in veste di giudice naturale dell’azione preposta, ne dichiara la nullità ai sensi degli artt.21 septies l.241/90, 31 comma 4 e 114 lettera b) c.p.a.

Orbene, stante il fatto che si è giunti ad ammettere l’esperibilità di un’azione di accertamento autonomo e condanna in tutte quelle ipotesi in cui sussista un potere vincolato della p.a., è possibile dedurre la seguente conclusione.

All’esito di un’azione di accertamento e condanna all’adozione di un provvedimento vincolato, il privato che ottiene un giudicato favorevole avente ad oggetto un facere infungibile può sempre ricorrere in ottemperanza.

In questa sede il giudice dell’ottemperanza non è tenuto tanto ad accertare in via cognitoria quanto è già stato dedotto dal g.a., quanto invece a dare esecuzione alla sentenza inevasa; sentenza ove il giudice della cognizione si era limitato a accertare la difformità tra il fatto e i requisiti di legge.

Per vero, alla luce delle sopra richiamate direttive generali, possono prospettarsi due differenti situazioni di inottemperanza.

Se la p.a. nonostante il giudicato rimane inerte e dunque non provvede ad adottare il provvedimento vincolato si avrà una sentenza con cui il giudice si sostituisce all’amministrazione tramite un commissario ad acta al fine di pervenire all’adozione del provvedimento favorevole.

Se invece la p.a. adotta un provvedimento in violazione o elusione del giudicato, tale situazione dovrà essere accertata. Invero, il privato può promuovere dinnanzi al giudice dell’ottemperanza anche un’azione di nullità ex art.114 lettera b) c.p.a., in forza della quale o il giudice accogliendo l’azione di nullità dichiara improcedibile il ricorso in ottemperanza per sopraggiunta carenza d’interesse, ovvero respingendo l’azione disporrà la conversione dell’azione ex art.32 comma 2 c.p.a. e la riassuzione del processo in sede di cognizione.

Tale potere in capo al giudice trova ragione nel fatto che egli è indicato dall’art.114 lettera b) cpa come il giudice naturale dell’azione dichiarativa di nullità per l’ipotesi di violazione o elusione del giudicato.

Non a caso, il riconoscimento formale per il giudice di conoscere e dichiarare la nullità del provvedimento, per una parte della dottrina rappresenterebbe l’indizio che il giudizio di ottemperanza attribuisce al privato la titolarità di un vero e proprio diritto soggettivo.

6. Conclusioni

In definitiva, quanto illustrato intende palesare la radicale evoluzione del sistema del processo amministrativo, un’evoluzione che passa attraverso la riqualificazione dell’interesse legittimo in chiave di posizione giuridica degna di una tutela piena e effettiva al pari del diritto soggettivo, ove l’attenzione si sposta dall’atto all’individuo e al bene giuridico di cui egli è portatore.

La nuova rivalutazione della situazione protetta si pone alla base del percorso, prima giurisprudenziale poi normativo, che ha condotto alla proliferazione delle azioni giudiziali, accanto alla tradizionale azione di annullamento.

Invero, la concreta valorizzazione dei principi costituzionali di eguaglianza e tutela delle strategie difensive non ha consentito di escludere l’esperibilità di un’azione di accertamento autonomo e condanna della p.a.; azione questa con la quale il sindacato del g.a. si spinge in maniera incisiva nel merito amministrativo, accertando le basi del rapporto e non la mera regolarità formale o attizia.

Per tale ragione, alla luce dei rilievi normativi e di quell’insuperabile fascia di rispetto tra potere giudiziario e amministrativo, è bene tener presente che questa azione atipica incontra il limite della discrezionalità, sia pura che tecnica.

Laddove invece il potere discrezionale non c’è o si è esaurito, è ben possibile ottenere una sentenza di accertamento e condanna ad un facere infungibile, il cui giudicato è eseguibile in sede di ottemperanza.


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