Sinistro stradale causato da fauna selvatica: chi paga i danni?

Sinistro stradale causato da fauna selvatica: chi paga i danni?

Sommario: 1. Introduzione – 2. La normativa e i diversi indirizzi giurisprudenziali che si sono susseguiti nel tempo – 3. La sentenza della Corte di cassazione n. 7969 del 2020 – 4. Le successive pronunce – 5. Conclusioni: quando si può ottenere il risarcimento

 

1. Introduzione

Capita non di rado, purtroppo, che si verifichino sinistri causati dall’attraversamento di animali selvatici. In tali casi viene spontanea la domanda: chi paga per i danni subiti dall’utente della strada?

La risposta a tale interrogativo è stata per molto tempo controversa, ma possiamo affermare che – finalmente – sembra andarsi consolidando in giurisprudenza un indirizzo ben preciso che cerca di individuare con esattezza, ed una volta per tutte, il soggetto che può essere citato in giudizio quale responsabile per i danni cagionati dalla fauna selvatica.

2. La normativa e i diversi indirizzi giurisprudenziali che si sono susseguiti nel tempo

Preliminarmente, è d’uopo dare conto di quella che è la normativa rilevante in materia.

Per lungo tempo i danni causati dagli animali selvatici sono stati considerati, in sostanza, non risarcibili, essendo la fauna selvatica considerata quale res nullius. Soltanto nel 1977 – con la legge 27 dicembre 1977 n. 968 – la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato e si sono affidate alle Regioni funzioni amministrative in materia. A tale provvedimento legislativo ha fatto seguito la legge 11 febbraio 1992 n. 157, che ha ulteriormente specificato le competenze amministrative e normative delle Regioni.

Ciò posto, in un primo momento ha prevalso, soprattutto nella giurisprudenza di legittimità, l’orientamento secondo cui – nonostante la suddetta qualificazione legislativa della fauna selvatica – i danni cagionati da quest’ultima non potessero essere risarciti ai sensi dell’art. 2052 c.c., che – lo si ricorda – prevede che “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”, ma piuttosto fossero risarcibili soltanto alla stregua dei principi generali in tema di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. E la ragione di ciò – ad avviso di tale giurisprudenza – consisteva nel fatto che l’art. 2052 c.c. non sarebbe applicabile agli animali selvatici, in quanto lo stato di libertà di questi ultimi sarebbe incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione (cfr., ex multis, Cass. civile, sez. III, 15/03/1996, n. 2192).

Ebbene, quanto al problema dell’individuazione del soggetto pubblico legittimato passivo, proprio in virtù della ridetta interpretazione giurisprudenziale si è inizialmente indicato nella Regione il soggetto pubblico responsabile per l’omissione colposa di quelle misure atte a prevenire i danni causati dalla fauna selvatica, stanti le funzioni normative e amministrative ad esse attribuite dalla legge in tema di tutela e gestione della fauna e del territorio (cfr., ad esempio, Cass. civile, sez. III, 13/12/1999, n. 13956).

Sennonché, successivamente si è poi assistito ad un parziale cambio di rotta della giurisprudenza, la quale è venuta specificando che – sempre in virtù del criterio di imputazione della responsabilità ex art. 2043 c.c. – l’ente responsabile per i danni causati dalla fauna selvatica andava individuato, a seconda dei casi, nel soggetto cui concretamente fossero affidati i poteri di amministrazione del territorio e gestione della fauna, potendo trattarsi, dunque, sia di una Regione che, ad esempio, di una Provincia, di un Ente Parco, di una Associazione, ecc… (cfr. Cass. civile, sez. III, 08/01/2010, n. 80).

Sulla base di quest’ultimo assestamento giurisprudenziale si è quindi assistito ad un proliferare di decisioni che di volta in volta andavano individuando soggetti diversi quali legittimati passivi nei giudizi promossi per il risarcimento dei danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici.

3. La sentenza della Corte di cassazione n. 7969 del 2020

Proprio in virtù del descritto quadro giuridico e giurisprudenziale non molto chiaro, con la decisione n. 7969 del 2020 la Suprema Corte di Cassazione ha voluto porre alcuni punti fermi, inaugurando così il nuovo filone giurisprudenziale cui si accennava in apertura.

I giudici di legittimità hanno infatti rilevato che, a causa del panorama confusionario e delle molteplici decisioni, spesso contraddittorie tra loro, cui si trovava di fronte il soggetto danneggiato dalla fauna selvatica, era assai difficile per quest’ultimo esercitare il diritto di azione e trovare concreta tutela, data la difficoltà non solo nel provare una specifica condotta colposa dell’ente convenuto, ma ancor prima nel districarsi tra le varie competenze statali, regionali, provinciali e di altri enti al fine di individuare correttamente il soggetto pubblico legittimato passivo.

La Suprema Corte è quindi giunta alla conclusione che andava rimeditato tutto il problema, a cominciare dalla questione relativa al criterio di imputazione della responsabilità in caso di danni cagionati dall’attraversamento di animali selvatici.

Con la decisione in parola, infatti, la Cassazione ha criticato il precedente orientamento secondo cui vi sarebbe impossibilità di applicare il criterio di cui all’art. 2052 c.c. alla fattispecie de qua. L’assunto per cui l’art. 2052 c.c. riguarderebbe soltanto gli animali domestici e non quelli selvatici, invero, non troverebbe effettivo conforto nella disposizione citata.

La lettera della legge, infatti, fa riferimento alla proprietà o alla suscettibilità degli animali ad essere utilizzati dall’uomo, senza distinguere tra animali domestici e selvatici. Per di più, si prevede espressamente l’eventualità che l’animale sia smarrito o fuggito, prescindendosi così dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell’animale da parte dell’uomo.

Ad avviso della Suprema Corte, dunque, quello di cui all’art. 2052 c.c. sarebbe un criterio di imputazione della responsabilità fondato non sulla custodia, ma sulla proprietà dell’animale o sulla sua utilizzazione da parte dell’uomo per trarne utilità anche non patrimoniali. Un criterio, quindi, oggettivo di allocazione della responsabilità in base al principio per cui cuius commoda, eius et incommoda, fatto salvo il solo caso fortuito.

Ebbene, nella decisione de qua si arriva dunque a sostenere che l’immediata conseguenza della scelta legislativa di configurare talune specie di animali selvatici come di proprietà dello Stato è quella dell’applicabilità anche alle ridette specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c.

In particolare, “poiché la proprietà pubblica delle specie protette è in sostanza disposta in funzione della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l’attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, si determina una situazione che è equiparabile (nell’ambito del diritto pubblico) a quella della “utilizzazione” degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, ai fini dell’art. 2052 c.c.: la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una “utilizzazione”, in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l’ambiente e l’ecosistema”.

Ad avviso della Corte, quindi, è applicabile l’art. 2052 c.c., ed il soggetto pubblico che può dirsi utilizzatore della fauna selvatica è senz’altro la Regione, quale ente che “utilizza” il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

In definitiva, con la sentenza n. 7969 del 2020 la Cassazione ha sancito i seguenti principi di diritto che, come subito si dirà, hanno trovato conferma nelle successive decisioni in materia: “ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità”.

4. Le successive pronunce

Dopo l’importante decisione del 2020, le successive pronunce in materia hanno sostanzialmente aderito all’impostazione ivi effettuata dalla Suprema Corte (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, nn. 8384 e 8385/2020; Cass. civ., sez. III, n. 13848/2020; Cass. civ., sez. VI, n. 19101/2020; Cass. civ., sez. VI, n. 9864/2021), seppur non siano mancate isolate statuizioni in senso parzialmente difforme (cfr. Cass. civile, sez. VI, 24/03/2021, n. 8206, la quale ha affermato che il titolo di responsabilità ex art. 2052 c.c. può concorrere con quello ex art. 2043 c.c.; nonché, in senso analogo, Cass. civile, sez. VI, 27/01/2022, n. 2502).

Tra le decisioni più recenti che hanno confermato il nuovo orientamento inaugurato con la sentenza n. 7969 del 2020 si segnala la sentenza della Cassazione civile, sez. III, n. 19332/2023.

5. Conclusioni: quando si può ottenere il risarcimento

Chiarito, dunque, che il soggetto legittimato passivo è la Regione, per concludere è necessario specificare quali siano i presupposti affinché un soggetto coinvolto in un sinistro causato dalla fauna selvatica possa concretamente richiedere, ed ottenere, il risarcimento dei danni subiti.

A tal proposito, con la citata sentenza n. 7969/2020 la Corte di cassazione ha precisato che, con riferimento al regime di imputazione della responsabilità, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., spetta al danneggiato dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall’animale selvatico: “ciò comporta, evidentemente, che sull’attore che allega di avere subito un danno, cagionato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato, graverà l’onere di dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato”.

Inoltre, la Suprema Corte ha chiarito altresì che “nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici (ipotesi invero statisticamente molto frequente, nel tipo di contenzioso in esame), non può ritenersi sufficiente – ai fini dell’applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. – la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l’impatto tra l’animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” del danno e poiché, ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 1, in caso di incidenti stradali il conducente del veicolo è comunque onerato della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quest’ultimo – per ottenere l’integrale risarcimento del danno che allega di aver subito dovrà anche allegare e dimostrare l’esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui – nonostante ogni cautela – non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno”.

Di contro, spetterà invece alla Regione l’onere della prova liberatoria. La Regione, cioè, dovrà fornire la dimostrazione del c.d. caso fortuito, ovverosia, per liberarsi dalla responsabilità del danno cagionato dalla condotta dell’animale selvatico, “dovrà dimostrare che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo, cioè che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta”.

Infine, un ultimo aspetto su cui concentrare l’attenzione è quello relativo ai rapporti tra la Regione e gli eventuali altri enti titolari di funzioni (proprie o delegate) di gestione e tutela della fauna selvatica protetta o ai quali comunque spetti di adottare le opportune misure di cautela e protezione per la collettività. A tal riguardo, i giudici di legittimità hanno precisato che l’eventuale presenza di tali ulteriori funzioni attribuite ad enti diversi dalle Regioni non influisce sulla problematica della legittimazione passiva: unico legittimato passivo nel giudizio sarà pur sempre la Regione interessata. Ciò, tuttavia, non esclude che quest’ultima possa comunque rivalersi sull’ente cui spettava il compito di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso omesse e che avrebbero impedito il danno, se del caso anche operando la chiamata in causa del terzo.

Ad ogni modo, tutte le questioni che dovessero investire i rapporti tra la Regione ed altro ente non potranno andare a detrimento del danneggiato, il quale – previa dimostrazione dell’esatta dinamica del sinistro e del nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito – potrà ottenere il risarcimento che gli spetta dalla Regione, sempre che quest’ultima non provi il caso fortuito.


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Avv. Michael Costantini

Avvocato con Studio in Pisa, iscritto all'Albo dell'Ordine degli Avvocati di Pisa. Esercito la professione forense con particolare riferimento al settore del diritto civile, ed in specie con riguardo alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, alle procedure esecutive, alla contrattualistica, nonché al diritto delle nuove tecnologie. Attraverso mirate attività di formazione e mediante la concreta esperienza professionale ho maturato specifiche competenze nella contrattualistica informatica, nella materia del diritto d’autore e proprietà industriale, oltre che nella materia del diritto vitivinicolo.

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