Sistema elettorale e referendum confermativo sul numero dei parlamentari: un excursus per approfondire

Sistema elettorale e referendum confermativo sul numero dei parlamentari: un excursus per approfondire

Il sistema elettorale italiano è stato sempre fonte di discussioni e dibattiti e, soprattutto in un periodo come questo, nel quale tira aria di cambiamenti riguardanti la nostra Costituzione in materia di diminuzione del numero dei parlamentari, questo dibattito continua la sua ascesa: sarà necessario apportare modifiche all’attuale legge elettorale in caso di esito positivo del referendum? Ci saranno problemi di rappresentanza? Sarà necessario cambiare sistema elettorale?

Cominciamo facendo un po’ di chiarezza partendo dalle basi di questo argomento così delicato con un breve excursus storico al solo scopo di approfondire, lungi dall’essere un discorso di posizione.

In Italia abbiamo un sistema di bicameralismo perfetto o paritario, il che significa che il Parlamento è composto da due Camere (Camera dei deputati e Senato della Repubblica) le quali hanno le medesime funzioni, pur avendo delle lievissime differenze, una delle quali è l’articolazione delle leggi elettorali del Senato su base regionale, sulla linea del dettato costituzionale (art. 57, co. 1 Cost.: “il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero”), in proporzione alla popolazione residente, riservando almeno tre seggi a ciascuna regione, eccezion fatta per la Valle d’Aosta che ne ha uno e il Molise che ne ha due. Questo, ovviamente, non può non comportare alcune differenze anche a livello di sistema elettorale vigente per il Senato e quello per la Camera, sussistenti in ogni legge elettorale.

Esistono tendenzialmente due grandi sistemi elettorali: maggioritario e proporzionale; e un “sottosistema” chiamato misto. Il primo favorisce colui il quale è detentore di più voti, a discapito delle minoranze che, anche avendo ottenuto una quantità di voti importante, vengono escluse; il secondo, come suggerisce il nome stesso, tende a riprodurre in maniera proporzionata la rappresentanza dell’elettorato, in modo che, proporzionatamente, non ci siano disuguaglianze di rappresentazione all’interno del Parlamento; l’ultimo, infine, tende a riprendere caratteristiche dell’uno e dell’altro sistema, quindi l’assegnazione dei seggi funziona tramite meccanismi appunto “misti”.

In Italia, dal 1946 al 1993 è stato in vigore il sistema proporzionale con soglia di sbarramento – la cd. “legge proporzionale classica” – concepita per le elezioni dell’Assemblea Costituente e poi rimasta in vigore per la Camera dei deputati e, successivamente, la legge Mattarella (Mattarellum) ha introdotto un sistema elettorale misto, in quanto portatore di sfaccettature appartenenti sia all’uno che all’altro sistema, per poi arrivare alla legge Calderoli (la cd. Porcellum) nel 2005, con la quale entrò in vigore un sistema proporzionale con un premio di maggioranza importante attribuito su base regionale al Senato e molteplici clausole di accesso che le costarono una sentenza della Corte Costituzionale (sent. n. 1/2014) la quale sanciva la parziale incostituzionalità di tale legge. Infatti, con questo sistema l’elettore non aveva la possibilità di indicare delle preferenze, essendo limitato a votare solo per delle liste di candidati (cd. liste bloccate), che lasciavano dipendere l’elezione dei parlamentari sostanzialmente da scelte di partito.

Nel 2015 fu approvato il sistema elettorale noto come “Italicum“, anch’esso marchiato di incostituzionalità dalla Corte Costituzionale  – con sentenza n. 35 del 2017 “nella parte relativa alla possibilità per il capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione quello d’elezione” -, il quale non è mai stato usato, perché abrogato dalla nuova legge elettorale del 2017: il Rosatellum bis (o anche solo Rosatellum, legge 3 novembre 2017, n. 165), un sistema elettorale misto a separazione completa, tuttora vigente.

Facendo un’analisi di ciò che comporta questa legge otteniamo che per entrambe le Camere il 37% dei seggi è assegnato con un sistema maggioritario a turno unico in altrettanti collegi uninominali, il che significa che il candidato più votato è eletto secondo il sistema uninominale secco; il 61% dei seggi è ripartito, invece, proporzionatamente tra le coalizioni e le singole liste che hanno superato le soglie di sbarramento, cioè percentuali che, se non superate, non permettono l’ammissione alla ripartizione dei collegi uninominali; infine, il 2% dei seggi prevede un sistema proporzionale con voto di preferenza destinato agli italiani residenti all’estero.

Nonostante varie modifiche e varie leggi susseguitesi durante gli anni, ancora non si è arrivati a un modello di sistema elettorale perfetto, che riesca a soddisfare pienamente ciò che l’elettorato si aspetta, motivo per cui le leggi elettorali (ma non solo) vengono costantemente messe in discussione, per cercare di trovare un compromesso che raggiunga la maggior parte dei cittadini.

Com’era auspicabile, alla luce della riforma costituzionale concernente la riduzione del numero dei parlamentari approvata in Parlamento e del referendum confermativo che ne deriva per dare l’ultima parola al popolo, si è nuovamente acceso tale dibattito, oltre a quello sul pericolo di mancata o ridotta rappresentanza di tutti i cittadini.
Ma è davvero così?

Attualmente in Italia è previsto un numero di 630 (seicentotrenta) deputati e 315 (trecentoquindici) senatori ex artt. 56 e 57 Cost., mentre la nuova riforma punta a ridurre il numero rispettivamente a 400 (quattrocento) deputati e 200 (duecento) senatori. La riduzione non inficia sul punto di vista elettivo in quanto, a prescindere dal numero dei Parlamentari, il sistema elettorale vigente comunque funziona in maniera proporzionata, come precisato anche dal Dipartimento per le Riforme Istituzionali del Governo: “la riduzione del numero dei parlamentari entrerà in vigore dall’inizio della prossima legislatura e richiederà un modestissimo adeguamento della legislazione elettorale senza alcuna alterazione del sistema elettorale vigente”.

Quindi qual è l’obiettivo di questa riforma? Ce lo spiega ancora il Dipartimento per le Riforme Istituzionali: “l’obiettivo è duplice: da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e dall’altro ridurre il costo della politica (con un risparmio stimato di circa 500 milioni di euro in una Legislatura)”.

Molti costituzionalisti si sono espressi riguardo la legge di revisione costituzionale – pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 240 il 12 ottobre 2019 – alcuni sbilanciandosi, altri invece cercando di rimanere neutrali e di analizzare la situazione da un punto di vista apartitico, che è ciò che si intende fare in questa sede. Uno di questi è il costituzionalista Michele Ainis il quale, in un’intervista al giornale Open online dichiara: “ci dovremmo domandare quanto funzioni il Parlamento adesso. Chiaro che questa riforma ha bisogno di essere completata, iniziando dai regolamenti parlamentari. Ad esempio: se io cambio legge elettorale poi devo ridisegnare i collegi. Dunque non posso più cambiare legge elettorale perché, prima devo cambiare i collegi? No. Prima faccio uno, poi l’altro.

E in tema di principio di rappresentanza afferma: “quando ci fu la discussione in Assemblea costituente, si discusse anche dei numeri del nuovo parlamento. Togliatti era preoccupato del fatto che pochi parlamentari avrebbero causato un deficit di rappresentanza. Lui sosteneva che un parlamentare dovesse conoscere gli elettori del proprio collegio, stare con loro, ma se ne avesse rappresentati troppi sarebbe stato un problema. Questo dunque è un argomento antico. Ma se io, attualmente, domandassi a un cittadino chi è il parlamentare della sua città, dubito mi saprebbe rispondere. Fa molti più danni al rapporto tra rappresentante e rappresentato il fatto che ci siano le liste bloccate, che non il numero dei parlamentari. E vedrà che le liste bloccate ci saranno anche nella nuova legge elettorale. Se anziché 1.000 parlamentari ne abbiamo 100, la domanda è: questi 100 da chi sono scelti? Da quattro segretari di partito o dagli elettori?

La maggior parte dei costituzionalisti, comunque, conviene che “non può trascurarsi lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale”.

Come ogni volta che si ha a che fare con un cambiamento importante dunque, è normale che sorgano comunque spontanei degli interrogativi e, nel nostro caso di specie, non è banale chiedersi, nel caso in cui dovesse avere esito positivo il referendum confermativo, se effettivamente sarà necessario anche modificare ancora una volta la legge elettorale in modo da garantire un funzionamento equo e conforme ai valori democratici e costituzionali.


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Riccardo Polito

- Laureato in Giurisprudenza all'Alma Mater Studiorum di Bologna; - Praticante avvocato e consulente legale; - Appassionato di diritto, psicologia e musica.

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