Società estinta e titolarità delle posizioni giuridiche residuali – Cass. Civ., Ord. Sez. 3, 9.2.2021 n. 3136
La sentenza in commento involge il tema della cancellazione di società e della conseguente successione in capo ai soci delle posizioni attive e passive residuali.
Com’è noto, il diritto societario ha subito delle profonde modifiche nel corso degli ultimi anni, alcune delle quali in tema di successione dei rapporti sociali, e che oggi consentono ad una società, sia essa di capitali o di persone, di poter “dichiarare” la propria estinzione a prescindere dalla effettiva liquidazione di tutti i rapporti attivi e passivi in capo ad essa.
Al netto delle differenze sistemologiche, il legislatore ha riconosciuto l’applicabilità dell’istituto della successione alle posizioni giuridiche sociali dei soggetti estinti. Invero, nelle società di capitali, ai sensi dell’art. 2495 c.c., le sopravvenienze passive sono trasmigrate in capo agli ex soci nei limiti delle somme e dei beni percepiti in base al bilancio finale di liquidazione. Sicché, il creditore insoddisfatto potrà agire nei loro confronti e nei limiti di quanto da essi percepito, rappresentando di fatto un extra-garanzia alle proprie ragioni.
Nelle società di persone, invece, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2312 c.c., i soci rispondono illimitatamente di tutte le obbligazioni sociali assunte, a cui segue un passaggio successorio in continuità di titolarità tra la società estinta e l’ex socio.
Diversamente, con riferimento alla successione delle posizioni attive ancora in essere alla data di cancellazione, per ovvie ragioni, è stato necessario l’intervento a più rimandi da parte della Suprema Corte, cristallizzatisi nella nota sentenza a Sezioni Unite del 2013.
In breve, gli Ermellini hanno preferito distinguere gli effetti in base alla natura dei crediti sopravvissuti, ovvero per i crediti incerti e/o illiquidi al momento dello scioglimento dell’ente, vale una presunzione di rinuncia se non sono state inseriti nel bilancio finale di liquidazione, e di conseguenza i soci perdono la legittimità ad azionare le poste creditorie se il liquidatore non ne ha tenuto conto nel bilancio.
Quanto ai cespiti e ai diritti ben definiti e individuabili, in ordine ai quali quindi non si richiede nessun supplemento di accertamento, pur se non iscritti in bilancio, si crea invece la stessa statuizione giuridica vista poco prima per le sopravvenienze passive, vale a dire i soci “ereditano” i crediti della società, in regime di contitolarità o comproprietà indivisa.
Ciò posto, la controversia oggetto del provvedimento qui in esame prende atto dalla richiesta di restituzione da parte di due ex soci, della quantità di denaro che la Società – quando ancora in essere – aveva versato in eccesso rispetto al prezzo convenuto in un contratto di compravendita.
Il Tribunale di prime cure, ritenuto fondato e legittimano il subentro dichiarato dagli attori aveva accolto la domanda e condannato alla restituzione i convenuti.
Proposto appello, la Corte territoriale ha riformato la sentenza impugnata rilevando ex officio il difetto di legittimazione attiva degli attori poiché la società, quando ancora in vita, non aveva esperito azioni giudiziarie in relazione al suddetto contratto, tenendo di fatto un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a tali azioni restitutorie e facendo così venir meno l’oggetto di una trasmissione successoria ai soci. Gli ex soci non avrebbero potuto pertanto vantare alcun titolo per la domanda giudiziale proposta.
Il giudizio di Cassazione è stato affidato ad un unico motivo che la Suprema Corte ha ritenuto fondato soprattutto con riferimento all’errata applicazione delle norme e dei principi che regolano la sorte dei diritti di credito dopo la cancellazione della società di persone, quand’anche il credito non risulti nel bilancio finale di liquidazione o comunque non sia certo e liquido, ovvero sottoposto a giudizio di accertamento.
In particolare, in considerazione dei principi sopracitati, la Corte d’Appello avrebbe dovuto scrutinare la fattispecie in concreto portata al suo esame e valutare se effettivamente dalla mancata menzione della posta attiva, in sede di chiusura dei conti sociali, potesse inferirsi una volontà abdicativa del credito azionato dagli ex soci, senza fossilizzarsi inutilmente su un ragionamento meramente presuntivo.
Ed invero, la Corte di Legittimità, in primo luogo, ribadisce la centralità della manifestazione di volontà di rinunciare al credito al fine di escluderne la trasferibilità ai soci, sicché solo in mancanza della stessa soccorrono i criteri presuntivi con i quali poter desumere egualmente un’univoca volontà di rinuncia, ad esempio la mancata menzione nel bilancio finale di liquidazione di poste illiquide e incerte, includibili nel novero delle c.d. mere pretese.
«I diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo», da ultimo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23269 del 15/11/2016 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 19302 del 19/7/2018.
Ma è in una più recente pronuncia che la Cassazione compie un passo ulteriore, arrivando ad affermare che debba escludersi ogni forma di applicazione automatica dei principi da essa stessa affermati in riferimento a diverse fattispecie, sulla base per altro di una presunzione assoluta priva dei caratteri e dei presupposti di cui all’art. 2729 c.c..
Pertanto, la mera cancellazione dal registro delle imprese non può, di per sé sola, per la sua invincibile equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne una volontà abdicativa (così si esprime Cass. Sez. 1, sentenza n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 – 01).
In sintesi, per ritenere come realizzato o meno il fenomeno successorio generato dallo scioglimento della società, non rileva la natura delle posizioni giuridiche sociali residuali, quanto che le parti all’atto di scioglimento della società o comunque prima della cancellazione non abbiano manifestato una univoca volontà di rinuncia a detti diritti, non potendosi certamente inferire una volontà abdicativa in via presuntiva dalla semplice cancellazione della società.
Infine, nel caso di specie, il ragionamento seguito dai Giudici di seconde cure è ancor più privo di pregio se consideriamo l’omesso esame ex art. 116 c.p.c. della clausola di salvaguardia inserita all’atto di scioglimento della società, in cui vi è traccia di una volontà successoria là dove si chiarisce che “le parti convengono che eventuali crediti e debiti successivi alla data odierna verranno assegnati tra i soci in parti uguali tra loro “.
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Giuseppe Angiulli
Ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bari con il voto di 110L e sono abilitato all'esercizio della professione di Avvocato.
La mia formazione comprende i principali istituti di diritto civile, processuale e commerciale e durante il praticantato mi sono occupato di diritto bancario e finanziario.
Adesso mi occupo principalmente di Corporate, M&A ed operazioni straordinarie.
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