Sopravvenienze contrattuali atipiche
Le sopravvenienze sono generalmente eventi sopravvenuti rispetto alla stipulazione del contratto, che incidono sullo stesso e la cui verificazione prescinde dalla volontà delle parti.
In base agli effetti che sortiscono, è possibile distinguere le sopravvenienze tra quelle che rendono impossibile l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto, quelle che ne frustrano la causa e quelle che creano uno squilibrio tra le prestazioni.
E’ poi possibile distinguere ulteriormente le sopravvenienze in tipiche e atipiche. Le prime sono previste dalla legge o dalle parti convenzionalmente, la previsione è accompagnata anche dall’apposito rimedio. Appartengono al secondo tipo quelle che non sono previste da norma alcuna, né sono state dedotte dalle parti nel contratto, ne è dibattuta la rilevanza.
Il problema del rilievo delle sopravvenienze sorge dal contrasto tra due principi contrapposti e basilari per i rapporti contrattuali e obbligazionari. Da una parte il principio pacta sunt servanda impone la stabilità, la vincolatività e l’intangibilità del contratto. Il principio in discorso assicura la stabilità e la certezza del contratto e la dinamicità dei traffici commerciali, che incorrerebbero in una stasi se qualsiasi evento sopravvenuto potesse far venire meno i vincoli nascenti dai contratti. D’altro canto anche il principio di autoresponsabilità, impone che ciascuno ottemperi ai vincoli ai quali si è volontariamente sottoposto nell’esercizio della propria autonomia negoziale. E’ pure vero però, che esigenze di equità e giustizia sostanziale impongono una maggiore flessibilità e attenzione agli interessi delle parti, anche perché il contesto socio-economico nel quale il contratto viene stipulato e poi posto in esecuzione, è dinamico e in continua evoluzione.
E’ pure vero che ogni contratto è soggetto a una certa alea normale, fisiologica e pertanto tollerabile. Tale alea non va confusa con quella economico-giuridica tipica dei contratti aleatori. L’alea che dunque ingenera una sopravvenienza è quella che supera la soglia della normalità e della tollerabilità.
Le sopravvenienze pongono il problema della gestione del rischio da esse ingenerato e della individuazione dei possibili rimedi.
I possibili rimedi possono essere di tre tipi. In primo luogo si potrebbe ritenere che le sopravvenienze non abbiano rilevanza alcuna, il rischio delle stesse in tali casi ricade integralmente sulla parte svantaggiata e che subisce la sopravvenienza. Oppure la sopravvenienza potrebbe avere rilievo e si potrebbe traslare integralmente il rischio della stessa sulla controparte che in questo modo non ottiene l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto. Infine, si potrebbe anche dare rilievo alla sopravvenienza e riallocarne il rischio tra le parti.
In verità non molti problemi pongono le sopravvenienze tipiche, legali o convenzionali che siano, le parti o la legge le hanno tipizzate e hanno previsto anche le modalità per porvi rimedio. Esempio di sopravvenienze tipiche legali sono l’eccessiva onerosità sopravvenuta o l’impossibilità sopravvenuta, contemplate rispettivamente agli artt. 1467 e 1463 c.c. nel capo dedicato alla risoluzione, tipico rimedio caducatorio, che determina lo scioglimento del contratto. Anche se è d’uopo evidenziare che nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta, la controparte contro la quale viene domandata la risoluzione, può evitarla esercitando il diritto potestativo di modificare equamente le condizioni del contratto, così il rimedio manutentivo, consente la conservazione del contratto. Esempi invece di sopravvenienze tipiche convenzionali sono le clausole di adeguamento automatico e quelle di rinegoziazione.
Molto dibattuta è invece la rilevanza delle sopravvenienze atipiche.
Secondo l’orientamento tradizionale esse non assumono alcuna rilevanza, il rischio delle stesse rimane in capo a chi le subisce e non incidono sul contratto né nel senso di caducarlo, né nel senso di imporne la modifica. Si tratta in altri termini di una tesi basata sul principio pacta sunt servanda.
Di recente, è andato sviluppandosi anche un secondo orientamento di segno diametralmente opposto.
L’orientamento in parola non nega la validità del principio pacta sunt servanda, ma ne attenua il rigore alla luce del principio rebus sic stantibus. Così non si nega la stabilità del contratto, ma si consente che abbiano rilievo le sopravvenienze che incidono, frustrandoli, sugli interessi dedotti in contratto. Il revirement in discorso è sicuramente frutto, tra le altre cose, della mutata concezione del contratto e soprattutto della causa come scopo economico individuale, del sempre maggiore rilievo che stanno andando assumendo i principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., letti anche alla luce del principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost..
Ammettendo però, la rilevanza delle sopravvenienze atipiche, sorge il problema di individuarne i rimedi al fine di gestirle. E’ d’uopo a tal fine distinguerle in base agli effetti che esse sortiscono sul contratto.
Tendenzialmente non potranno configurarsi sopravvenienze atipiche del tipo di quelle che rendono impossibile l’esecuzione della prestazione, ricadrebbero infatti nella casistica dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. provocando la risoluzione del contratto.
Diversamente per le sopravvenienze che frustano la realizzazione della causa del contratto, sono state teorizzati due possibili rimedi.
Stando ad una prima tesi, in tali evenienze si potrebbe applicare analogicamente l’art. 1463 c.c. sulla risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Quella in discorso è una soluzione molto discussa, considerata l’eccezionalità della norma, che ne impedirebbe l’applicazione analogica e considerato che comunque il ricorso a tale rimedio postula la sussistenza di determinate e stringenti condizioni, non puo’ assurgere a rimedio generale.
Per ovviare a tali criticità, è stata elaborata la teoria della presupposizione. La presupposizione postula che le parti nella conclusione del contratto abbiano tenuto presente un evento comune e appunto presupposto, la cui verificazione non dipende dalla loro volontà e che pur non essendo stato espressamente esplicitato in una clausola, è comunque possibile desumerne l’immanenza nell’accordo.
La presupposizione è da tempo al centro di un acceso dibattito, si discute della stessa esistenza oltre che della disciplina, considerato che non vi è norma alcuna che la disciplini o comunque contempli.
Secondo una parte della dottrina andrebbe assimilata a una condizione implicita e risolutiva, secondo altri rientrerebbe nella causa del contratto. Preferibile è la tesi che dagli obblighi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e dal principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. desume che il venire meno dell’evento presupposto o la sua mancata verificazione, renda la prestazione dedotta in contratto inesigibile.
Infine per porre rimedio alle sopravvenienze atipiche che incidono sull’equilibrio e la proporzione tra le prestazioni dedotte in contratto, una parte della dottrina ha inteso applicare analogicamente la disciplina di cui agli artt. 1467 c.c. sull’eccessiva onerosità sopravvenuta, che legittima la risoluzione del contratto.
Osta all’accoglimento di questa tesi da una parte la natura eccezionale della norma in discorso, che ne impedirebbe l’applicazione analogica, ma soprattutto il rilievo che le parti potrebbero avere interesse alla conservazione del contratto e che anzi la caducazione potrebbe essere ancora più pregiudizievole, rispetto alla esecuzione di un contratto squilibrato.
Secondo altra parte della dottrina sarebbe invece possibile far discendere dagli obblighi di buona fede e correttezza l’obbligo di rinegoziare le condizioni del contratto al verificarsi di una sopravvenienza atipica e squilibrante.
Anche all’interno dell’orientamento in parola, è dato constatare la sussistenza di una cesura tra coloro che assimilano l’obbligo di rinegoziare a un obbligo di contrarre e coloro che ritengono si tratti di un obbligo di contrattare.
Maggiori consensi sembra riscuotere questa seconda tesi, che non è comunque scevra da critiche. Si osserva infatti che non essendo l’obbligo di contrattare suscettibile di esecuzione in forma specifica, l’obbligo di rinegoziare finisce per essere una tutela debole allorquando la controparte non vi adempia. In caso di inadempimento, difatti non resta che risolvere il contratto e al più domandare il risarcimento del danno. Ma in questo modo il rimedio che doveva essere manutentivo, diventa caducatorio. Se invece l’obbligo di rinegoziare venisse inteso alla stregua di un obbligo contrarre, la sua esecuzione potrebbe essere chiesta in forma specifica ex art. 2932 c.c. e cioè chiedendo al giudice una sentenza che abbia luogo del consenso non prestato.
In conclusione le sopravvenienze atipiche pongono numerosi problemi considerato che non sono previste né gestite dalla legge o dalle parti convenzionalmente. Si intende qui fare riferimento alle sopravvenienze che non rientrano nell’alea normale del contratto. In primo luogo occorre capire se esse possano avere alcun rilievo, oppure se dato il principio secondo cui pacta sunt servanda il rischio delle stesse debba ricadere sulla parte che le subisce.
Dato il rilievo assunto dal principio solidaristico e dai principi di buona fede e correttezza, il rigorismo della tesi tradizionale che negava la rilevanza delle sopravvenienze atipiche è stato superato a vantaggio della tesi che propende per la loro rilevanza. Sorge così il problema dei rimedi azionabili al verificarsi di una sopravvenienza atipica. Poco convincenti risultano essere quegli orientamenti che propendono per l’applicazione analogica di norme già esistenti quali quelle sulla risoluzione per impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità di cui agli artt. 1467 e ss. c.c.. La tesi in discorso non persuade data la portata eccezionale delle norme in parola e considerato che non sempre la parte ha necessariamente interesse alla caducazione del contratto. Ecco perché sarebbe preferibile gestire le sopravvenienze atipiche che rendono impossibile l’esecuzione della prestazione alla stregua della teoria della presupposizione e dunque far discendere dagli obblighi di buona fede e correttezza, l’inesigibilità della prestazione. Diversamente le sopravvenienze atipiche squilibranti potrebbero essere ben gestite attraverso la rinegoziazione delle condizioni del contratto. Sebbene la dottrina maggioritaria ritenga che tale obbligo sia un obbligo di contrattare e dunque non suscettibile di esecuzione in forma specifica, da più parti si professa la possibilità di considerarlo come un obbligo di contrarre, ma occorrerà attendere le applicazioni pretorie per indagare l’esatta portata e l’ubi consistam dell’obbligo in discorso.
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Morena Campana
Ha conseguito la laurea in Giurisprudenza nell'A.A. 2012/2013 presso l'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma con tesi di Laurea su "PROFILI GIURIDICI E MEDICO LEGALI DELLA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE MEDICA", si è diplomata nel 2015 presso la Scuola di Specializzazione per le professioni Legali dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel 2016.
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