Sottrarre il telefono al partner per spiarne le conversazioni e cercare prova dell’infedeltà è reato?
La condotta in rilievo è quella del soggetto che, avendo sorpreso il partner ad intrattenere una corrispondenza a mezzo chat segretamente con il proprio cellulare, lo strappi di mano per verificare il contenuto ed il destinatario dei messaggi.
Una condotta del genere, seppure diretta a ricercare le prove di un tradimento, viene considerata illecita.
In particolare, commette reato di rapina chi sottrae con la forza il telefono altrui. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con una recente pronuncia (Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 febbraio – 4 marzo 2021, n. 8821).
A nulla rileva la circostanza che l’autore di tale condotta agisca con l’intento di individuare le tracce di una presunta relazione adultera del partner. Ciò in quanto la relazione di coppia non può comportare una limitazione al diritto di riservatezza del singolo.
In particolare, nel caso di specie, il Tribunale di Pistoia ha affermato la responsabilità di Me. Gr. in ordine ai reati di rapina e lesioni in danno della moglie, addebitando all’imputato di essersi impossessato con violenza del telefono cellulare della stessa, da cui era separato, cagionandole lesioni.
La sentenza è stata poi confermata dalla Corte di Appello di Firenze.
Con il successivo ricorso in Cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deduceva la violazione degli articoli 42,43 e 44, nonché 628 c.p. e vizio di motivazione poiché la sentenza individuava l’ingiusto profitto nella volontà del marito di controllare il telefonino per trovare traccia di un rapporto clandestino della moglie, senza considerare che il predetto aveva il diritto di ricercare le prove di un fatto relativo alla violazione del dovere civilistico di fedeltà legato al vincolo matrimoniale. Rilevava quindi come non si possa parlare di violazione della riservatezza quando il marito e la moglie rovistano all’interno dello smartphone del coniuge, per cercare prove della eventuale infedeltà, poiché la convivenza genera una sorta di consenso tacito alla conoscenza delle comunicazioni anche personali del coniuge convivente.
In secondo luogo, rilevava vizio di motivazione, poiché la corte ha aderito alla versione dei fatti resa dalla persona offesa, affermando che la sottrazione era avvenuta con violenza o minaccia, a fronte della diversa ricostruzione offerta dall’imputato, secondo cui avrebbe visto e preso il telefono della moglie e, solo successivamente, seguito quest’ultima sul luogo di lavoro, l’avrebbe colpita quale reazione per quanto aveva scoperto.
La Corte di Cassazione riteneva il ricorso inammissibile e ciò in quanto “Con il primo motivo il ricorrente sostiene la tesi della liceità dell’impossessamento del telefono della moglie sulla base di una sorta di consenso tacito derivante dalla convivenza, che urta non solo contro l’evidenza, ma contro la giurisprudenza consolidata, citata nella decisione impugnata, secondo la quale l’impossessamento del telefono contro la volontà della donna integra una condotta antigiuridica, e l’ingiusto profitto consiste nell’indebita intrusione nella sfera di riservatezza della vittima, con la conseguente violazione del diritto di autodeterminazione nella sfera sessuale, che non ammette intrusione da parte di terzi e nemmeno del coniuge. E’ stato infatti precisato che nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il dolo specifico del reato di rapina nella ingiusta utilità morale perseguita dall’imputato, che aveva sottratto mediante violenza alla ex fidanzata il telefono cellulare, al fine di rivelare al padre della donna, la relazione sentimentale che questa aveva instaurato con un altro uomo). (Sez. 2, Sentenza n. 11467 del 10/03/2015 Ud. (dep. 19/03/2015 ) Rv. 263163 – 01. Il secondo motivo è inammissibile perché tenta d introdurre censure di merito che non possono essere oggetto del sindacato di questa Corte.”
In conclusione, la Corte di Cassazione, pur rilevando come l’apprensione del cellulare sia avvenuta in una fase precedente in assenza di testimoni oculari, non ha ritenuto ravvisabili, né sono state allegate, ragioni per dubitare della complessiva credibilità della persona offesa, condannando quindi il ricorrente per il reato a lui ascritto.
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Francesca Fumagalli
Avv. Francesca Fumagalli
nata a Lecco nel 1992, dopo il diploma di maturità scientifica, ha conseguito a pieni voti la laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca nel luglio 2016.
Iscritta all'albo degli avvocati presso l'Ordine degli Avvocati di Lecco.
Presta consulenza e assistenza nella fase stragiudiziale e contenziosa su tutto il territorio nazionale nell'ambito del diritto civile, con particolare riguardo alle materie di famiglia, successioni, responsabilità medica, responsabilità civile, diritti reali e condominio, contrattualistica, recupero crediti ed esecuzioni, nonché diritto penale, diritto minorile sia civile che penale e diritto dell'immigrazione.
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