Spesa pubblica: un caso di studio su Puglia Sviluppo Spa

Spesa pubblica: un caso di studio su Puglia Sviluppo Spa

Spesa pubblica: un caso di studio tra profili di inefficienza e inadeguatezza, mancanza di trasparenza ed illegittimità provvedimentale di Puglia Sviluppo Spa

di Michele Di Salvo

 

Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. La valutazione di efficacia ed efficienza economica della gestione – 4. Il caso5. Note metodologiche – 6. La comunicazione interna

 

1. Premessa

Questo non è un atto di accusa a Puglia Sviluppo Spa, ma una disamina ed una valutazione di un procedimento amministrativo.

Le considerazioni qui presentate non sono un “processo” ad un ente in quanto tale, ma una disamina del procedimento, che – nelle intenzioni – vuole indicare delle aree di miglioramento nell’interesse pubblico e nell’interesse soggettivo degli istanti.

Richiamare in questo caso di studio i principi del procedimento amministrativo non è “vuota valutazione scolastica”, ma significa porre l’accento su un vincolo preciso: il procedimento amministrativo deve tendere nello spirito, nella lettera, nella prassi, e nella concreta dinamica di tutte le sue fasi e momenti endoprocedimentali e nel contegno complessivo, all’adempimento ed al raggiungimento di precisi scopi ultimi indicati dalla legge, tra cui economicità, efficienza, trasparenza, efficacia, e non secondo la libera interpretazione soggettiva del responsabile del procedimento.

2. La vicenda

Sommariamente esposta, la vicenda de quo riguarda una startUp innovativa che presenta una istanza di accesso al fondo Tecnonidi, misura gestita dalla società (100% di Regione Puglia) Puglia Sviluppo Spa.

Il fondo finanzia la nascita, lo sviluppo e la stabilizzazione, nonché l’incoming, di StartUp innovative nel territorio pugliese.

L’esito del procedimento di valutazione è un “decreto di non ammissibilità” della domanda sommariamente motivato in un documento di meno di due pagine, divise in tre paragrafi, in cui non viene dato, oggettivamente, riscontro ai rilievi proposti dall’istante. Il procedimento dura oltre 310 giorni, rispetto ai 100 indicati (articolo 2 legge 241/90) come massimo procedimentale.

La dilatazione cronologico-temporale assume quindi dimensioni abnormi (si consideri che dall’istanza, del 20 ottobre 2022, il colloquio avviene 12 aprile 2023, quando l’intero procedimento avrebbe dovuto essere concluso da tempo).

3. La valutazione di efficacia ed efficienza economica della gestione

In sei anni la misura Tecnonidi ha ricevuto un totale di 412 domande. Di queste 239 sono state ammesse a finanziamento.

Di queste circa il 20% sono imprese che poi hanno chiuso la sede in Puglia o sono state liquidate.

In termini occupazionali su una base dichiarata di “164 occupati iniziali”, al 2021 risultavano incluse nella misura “241 unità” (fonte Rapporto IPRES 2021)

Su questa base, a fronte di una spesa complessiva di 24 milioni si sono generati 77 “nuovi posti di lavoro”.

Se consideriamo i termini di efficienza efficacia e di economicità (di cui all’articolo 1 della legge 241/90) il rilievo è una spesa pubblica pari a una media di circa 100mila euro/posto di lavoro (considerando la base iniziale).

Se invece consideriamo il dato incrementale, la spesa pubblica è di circa 312mila euro/nuovo posto di lavoro.

In questo contesto la valutazione interna di Puglia Sviluppo considera premi di produttività lineari tra 2,5mila e 4,5mila euro, con un “valore aggiunto” pari a 8,250 mlndi euro, a fronte di erogazioni per i seguenti volumi (anno 2022/fonte Puglia Sviluppo): 6.851.000 euro per la voce tecnonidi; 27.600.000 euro per la voce microprestito; 16.575.000 euro per la voce custodiamo; 190.000 euro per la voce efficientamento energetico 0 euro per la voce tutela ambiente; 7.040.000 euro per la voce nidi; 346.000 euro per la voce minibond; 1.680.000 euro per la voce finanziamento del rischio.

Per una erogazione complessiva pari a circa 60,3 mln di euro.

Per la gestione di dette misure sono state impiegate 125,5 unità lavorative.

Il risultato finale del caso esaminato

L’istante concludeva con questa comunicazione il proprio rapporto con l’ente pubblico con pec dell’11 ottobre 2023 dopo non aver ricevuto nei termini dell’articolo 10bis della legge 241/90 riscontro in risposta alla istanza del 21 settembre precedente:

Spett.le Amministrazione,

con la presente prendiamo atto del vostro totale silenzio in relazione alle:

  • 8 istanze di accesso agli atti

  • due istanze di annullamento d’ufficio in autotutela

  • mancanza totale di riscontro alle repliche documentali ed argomentative inviate

La nostra società prende atto che si tratta di “avviso di non ammissibilità” e per questo, per ragioni economiche e di opportunità, non intende fare ricorso al TAR. Siamo certi di vincere in quella sede, viste le abnormi illegittimità procedimentali che abbiamo rilevato e che vi abbiamo mostrato, ed alle quali ovviamente non avete replicato, dal che la loro lapalissiana chiarezza.

Non ricorreremo al TAR perché una volta vinto in quella sede, si riproporrebbe un procedimento di valutazione di cui ci avete dimostrato non possiamo considerarvi né terzi né trasparenti né imparziali.

Avendo inoltre denunciato penalmente [omissis] dovremmo chiedere la nomina di un commissario straordinario, e dati i tempi che ci avete dimostrato in concreto, la nostra società non ha interesse a un lungo e oneroso procedimento già viziato in partenza da pregiudizio amministrativo.

Per tutti questi motivi non faremo valere i nostri legittimi diritti in sede giurisdizionale, laddove detta tutela e detti diritti sarebbero onerosi senza motivo.

Infatti – a dispetto del vostro procedimento di un anno – in soli tre mesi per lo stesso progetto abbiamo attivato due finanziamenti tra cui opzionare. Il positivo processo e procedimento valutativo dimostra ancora una volta l’illegittimità e immotivazione del vostro. [omissis]

In Puglia non si sono insediati 8 nuovi posti di lavoro. Non si è insediata un’azienda.

Certamente il rapporto di cooperazione e reciproco vantaggio pubblico-privato nell’interesse pubblico e del territorio è stato compromesso.

[Va incidentalmente evidenziato che nel caso in esame si tratta di una realtà che, per oggetto sociale, avrebbe portato un vantaggio trasversale all’intero ecosistema startup regionale]

4. Il caso

Nell’ultima istanza di annullamento d’ufficio – datata 21 settembre 2023 ed al 26 ottobre 2023 senza riscontro formale – l’istante replica ad ogni singolo punto del “decreto di non ammissibilità”.

Questo documento viene riproposto integralmente a fine articolo perché – nel suo complesso – mette in evidenza tutte le criticità dell’iter procedimentale.

Metodologicamente vengono omessi riferimenti che possano ricondurre in via diretta al procedimento ed ai soggetti richiamati, perché va ribadito non si tratta di intendere questa come “altra sede di giudizio sul procedimento” ma di un approfondimento tecnico sulla dinamica procedimentale del caso concreto.

[Ovviamente gli estremi e le informazioni sono disponibili a richiesta dei titolari qualificati al sindacato ispettivo che possono ottenerli in forma completa]

Metodologicamente nel documento “in grassetto” è riportato il “citato” del decreto di non ammissibilità e immediatamente dopo, periodo per periodo, è interposta la replica.

I punti sono stati inoltre indicizzati con lettere (da A a J) per una maggiore leggibilità.

In questa sede, sinteticamente, si possono immediatamente indicare i seguenti rilievi (come verranno dedotti e mostrati dalla istanza successiva):

  • violazione dell’articolo 1 della legge 241/90

  • violazione dell’articolo 2bis della legge 241/90

  • carenza essenziale degli elementi di cui all’art.3 comma 1 della legge 241/90

  • violazione dell’articolo 10bis della legge 241/90

  • violazione dell’articolo 22 della legge 241/90

In particolare i principi di cui all’articolo 1 sono in re ipsa violati nell’iter procedimentale, l’articolo 2bis è violato per fatti concludenti relativi alla durata del procedimento, l’articolo 10 bis è violato per la reiterata selettiva mancanza dei riscontri, l’articolo 22 per il reiterato mancato accesso agli atti, e da tutto ciò risulta concretamente una lacuna motivazionale ex articolo 3 comma 1.

6. La comunicazione interna

Il contenuto del documento “decreto di non ammissibilità” è integralmente ricostruibile dalla selezione dei paragrafi in “grassetto corsivo”.

In data 11 ottobre, 14 ottobre, 23 ottobre, per ben tre volte l’autore ha scritto alla PA la seguente pec, priva di riscontro:

[Omissis]

in relazione al procedimento amministrativo [omissis] vi informo che sono in procinto di pubblicare un paper tecnico (come altre mie pubblicazioni ampiamente disponibili) [omissis] In procinto di predisporre la pubblicazione, vi chiedo (come d’uso in questi casi) di mettermi in contatto con il vostro ufficio legale ed il vostro ufficio stampa per un commento.

In mancanza, provvederò ad inserire la seguente dicitura:

Richiesto un contatto qualificato per un commento a Puglia Sviluppo Spa, la stessa non ha commentato e non ha fornito indicazioni di referenti”.

Facciamo in proposito notare incidentalmente che nessun ruolo, nemmeno dirigenziale, è reso disponibile (come richiesto dalla normativa) per trasparenza sul vostro sito web istituzionale.

Il presente articolo è quindi privo del – in generale sempre auspicabile e costruttivo – contraddittorio tecnico per causa imputabile a Puglia Sviluppo.

La scelta di non interazione e confronto è quindi ascrivibile a decisione soggettiva del Dirigente Generale, che ha privato la PA rappresentata del diritto/facoltà di commento in contraddittorio e di replica contestuale.

Contemporaneamente, non rispondendo allo scrivente, ma al preavviso di pubblicazione scrivendo direttamente al soggetto istante (sic!) Puglia Sviluppo afferma

in considerazione del contegno serbato dall’impresa, si anticipa sin d’ora che Puglia Sviluppo ha provveduto a dare mandato ad un legale per la tutela dell’onorabilità e della correttezza del proprio operato. A tale proposito, corre l’obbligo di rammentare la particolare gravità della calunnia, laddove fossero rappresentati fatti finalizzati a incolpare terzi per reati insussistenti.”

Su questa risposta (che non vogliamo leggere come una minaccia esplicita) sorgono ulteriori considerazioni.

Innanzitutto considerazioni di opportunità di una tale replica, rammentando sempre che si tratta di una società pubblica, e che dovrebbe mantenere un “contegno istituzionale”. Sorge poi una valutazione tecnico-giuridica.

Quale sarebbe la “base” del conferimento di un incarico ontologicamente a titolo oneroso – precedentemente “al fatto”?

Che è bene accademicamente riscostruire in formulazione propria.

Il reato è un fatto umano tipico, antigiuridico e colpevole. Il fatto umano deve corrispondere e deve integrare la fattispecie criminosa prevista dalla norma incriminatrice. Deve essere realizzato contro l’ordinamento; contra ius. Deve essere riconducibile alla responsabilità del soggetto che ne è l’autore.

  1. Il fatto tipico Il fatto tipico nel diritto penale equivale al complesso degli elementi che delineano il volto di uno specifico reato. Ossia quando il fatto, come oggetto del giudizio di tipicità, corrisponde alla fattispecie incriminatrice astratta. Posto che il fatto tipico comprende gli elementi che delineano il volto di uno specifico reato, assolve la funzione garantista di indicare ai cittadini i fatti che essi devono astenersi dal compiere. Principio di materialità: Il reato deve manifestarsi in un contegno esteriore accertabile nella realtà fenomenica.

  2. Antigiuridicità Il fatto oltre che tipico deve inoltre essere posto in essere in assenza di cause di giustificazione. Infatti in certi casi il fatto tipico può essere giustificato o consentito da una norma dell’ordinamento, per cui in base ad un principio di non contraddizione dell’ordinamento uno stesso fatto non può allo stesso tempo essere consentito ed esser punito. Un fatto che è consentito in un settore dell’ordinamento non può risultare illecito per un altro settore dell’ordinamento.

  3. Colpevolezza La colpevolezza riassume le condizioni psicologiche che consentono l’imputazione del fatto all’autore. Colpevolezza = Attribuibilità psicologica del fatto all’autore La legge penale garantisce la libertà di scelta individuale in quanto rifiuta la responsabilità oggettiva basata sul puro nesso di causalità materiale e subordina la punibilità alla presenza di coefficienti soggettivi.

Soprattutto, indipendentemente dalla qualificazione dell’eventuale reato, che spetta per altro alla magistratura, il “fatto” deve essere compiuto, o almeno deve essere ontologicamente e cronologicamente avvenuto.

Quindi, se il fatto lo si considera “lesivo” deve essere compiuto, e solo successivamente potrebbe configurarsi l’esigenza del soggetto danneggiato di conferire un mandato a tutela del proprio interesse/diritto.

In termini poi amministrativi dobbiamo fare la seguente considerazione:

1. Se leso è il diritto della PA, allora il mandato (e il relativo onere economico) incombono in capo alla PA (da qui l’esigenza della avvenuta lesione, per l’individuazione del danneggiato eventuale).

2. Se leso eventualmente il diritto della persona fisica, onde non incorrere nella fattispecie tecnica del peculato e del danno erariale, il mandato (e il relativo onere economico) deve essere in capo al soggetto privato, e nulla in tal senso incombe sulla PA.

3. Se il danno eventualmente incombe sul soggetto “in qualità di” amministratore o dipendente della PA, ovvero nell’esercizio della sua funzione, anche in questo caso non può intervenire preventivamente un’amministrazione per conflitto di interesse, dal momento che la stessa PA potrebbe veder ribaltata la posizione da soggetto attore a eventuale parte lesa dalla condotta del dipendente/dirigente

Un esempio aiuta, in concreto:

Il soggetto A afferma che la PA ha violato l’articolo 22 sul diritto di accesso. La PA non agisce “per propria mano” ma per mano del dirigente B, il quale in concreto ha violato la norma. B non accetta questa affermazione e dà mandato (grazie alla propria posizione amministrativa) a spese della PA di tutelarsi per calunnia in sede penale. In questa sede viene riconosciuto il fatto per come esposto dal soggetto A. In questo caso, dato che la violazione dell’articolo 22 è riconosciuta dall’ordinamento non solo come danno al soggetto privato ma anche all’interesse pubblico, si verifica in concreto la condizione per cui la PA danneggiata ha anche subito il danno economico della difesa in conflitto di interessi del dirigente B. Il che innesca (in violazione dell’articolo 1 della legge sul procedimento amministrativo) un ulteriore complesso ginepraio di azioni in recupero delle spese e danni.

Da qui la disamina sulla opportunità che in questi casi la difesa sia privata, ed eventualmente, in caso di vittoria, e solo in questo caso, la eventuale rivalsa verso la PA per “spese legali sostenute nell’esercizio della funzione e a sua tutela e della PA”.

Ciò comunque sempre eventualmente e dopo che il fatto sia compiuto, mai potendosi considerare sostenibile la tesi di un mandato oneroso antecedente il fatto, per mancanza di motivazione amministrativa.

Infatti non si comprende il titolo di spesa a fondamento del mandato asserito come conferito in assenza di alcun fatto, atto o azione concreta lesiva o potenzialmente lesiva di qualsiasi diritto, per come rappresentato dalla richiamata pec.

In data 24 ottobre la società presentava la seguente istanza

In relazione alla vostra comunicazione protocollo [omissis] del 12.10.2023 in riferimento alla vostra affermazione secondo cui

“…si anticipa sin d’ora che Puglia Sviluppo ha provveduto a dare mandato ad un legale per la tutela dell’onorabilità e della correttezza del proprio operato…

si richiede accesso agli atti ex art 22 della legge 241/90, trattandosi di atto in continuità con il procedimento amministrativo in essere, atto menzionato in una replica il cui riferimento ha il protocollo dell’istanza ab origine.

In particolare si richiede di accedere alle seguenti documentazioni:

  • indicazione del presupposto del mandato

  • indicazione del legale incaricato

Si rammenta che il mancato accesso entro 30 giorni dalla presente istanza – senza che siano necessari ulteriori solleciti o notifiche – essendo la presente anche diffida ad adempiere comporterà ulteriore separata azione ex art. 328 cp nei confronti dei tre firmatari del documento.

Ad oggi la PA non ha replicato.

Pare, a opinione di chi scrive, che anche questo “trascinamento della vicenda” sia coerente con il contegno complessivo evidenziato.

6. La comunicazione interna

Il caso che stiamo esaminando è interessante anche perché offre l’occasione di approfondire i livelli e le metodologie di reportistica e di comunicazione interna.

Infatti a fronte delle numerose istanze di accesso agli atti da parte dell’istante, nella comunicazione di reportistica interna l’ufficio procedente comunicava all’ Organo di controllo che svolge le funzioni di OIV e al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) di aver ricevuto in data 09/06/2023 richiesta di accesso ex L. 241/90 agli atti istruttori relativi ad istanza di finanziamento pubblico a valere sulla misura di aiuti TECNONIDI e che tale istanza sarebbe stata accolta pienamente attraverso “trasmissione di copia della documentazione istruttoria ai fini dell’esercizio del diritto di controdeduzione” [https://old.pugliasviluppo.eu/it/altri-contenuti-accesso-civico]

In realtà, come risulta dagli atti, la trasmissione – a fronte dell’oggetto della richiesta – è parziale e in alcuni punti pleonastica (ovvero fornendo documenti già in possesso dell’istante) mentre quelli esplicitamente richiesti non vengono forniti menzionati. Più volte richiesti, sul punto la procedente amministrazione tace.

In concreto il responsabile del procedimento afferma che la domanda sarebbe inammissibile sulla base del colloquio in video. Le informazioni motivazionali che fornisce nel documento non trovano traccia e riscontro nel verbale del colloquio. Richiesta copia della registrazione la stessa non viene mai fornita.

È evidente che non si può “andare a memoria” e interpretando i ricordi, quindi o quella registrazione esiste e viene fornita, o se non esiste si deve rendere conto del perché distrutta, e ci si chiede come fa l’istante del resto, come possa un documento non esistente essere posto alla base di una motivazione procedimentale. Se invece esiste, allora l’istanza di accesso è priva di riscontro, configurandosi con il decorrere dei termini il reato di cui al 328 cp.

In questa sede tuttavia ci si sofferma su altro elemento.

C’è un istante e un ufficio che deve provvedere.

L’organo di controllo che svolge le funzioni di OIV e il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), prima di annotare come “accolta” un’istanza, non dovrebbero sentire se anche l’istante conferma tale comunicazione?

È sufficiente una forma di comunicazione interna tra uffici della stessa amministrazione a certificare un adempimento?

Quali sono i rimedi interni in queste ipotesi?

Eppure basterebbe semplicemente incrociare il testo della istanza di accesso con il riscontro concreto ed effettivo per verificare la comunicazione interna prima di annotarla.

Sarebbe questo un momento anche di effettivo e concreto controllo in tal senso (anche perché a giudicare dalla reportistica, in sei mesi sarebbero giunte solo 3 istanze complessive, il che rende il carico di lavoro di verifica assolutamente gestibile).

Una visione costruttiva di insieme

Come ho già evidenziato in “Le competenze regionali nella gestione dei Fondi Strutturali” [https://www.academia.edu/108134183 ]:

Dal punto di vista della pubblica amministrazione vale ancora più quanto affermato da Giannini, secondo il quale “le amministrazioni pubbliche sono una delle cose più imperfette che esistano per la loro essenziale contraddizione: sono spaventosi di potenza e insieme inermi, sopraffanno ma si lasciano puerilmente gabbare, hanno ricchezze immense e vivono lesinando, sono concepite secondo ordine e vivono in disordine” in una crescente attribuzione di funzioni e di carichi di lavoro e di responsabilità cui provvedere.

Dal punto di vista del cittadino, le amministrazioni – in particolar modo quelle regionali – sono “carrozzoni” inutili, uno spreco di risorse, inefficienti, foriere di corruzione e di gestione del potere politico, quasi sempre detentrici ed esercitanti un potere sopraffattivo. A questo si somma una decisa percezione di lontananza e lentezza, ed una posizione di assoluto privilegio del “dipendente pubblico ultra garantito” sia nello stipendio che nella posizione lavorativa.

Dal punto di vista dell’operatore economico, alla percezione del cittadino si aggiunge la componente burocratica, ovvero la percezione che le amministrazioni regionali impongano oneri amministrativi e gestionali eccessivi, spesso immotivati, scaricandone i costi sull’impresa.

Nel cuneo trasversale di questi differenti punti di vista c’è quello della politica – intesa nel senso meno alto del termine – che vede nelle strutture amministrative e nella gestione dei fondi uno strumento elettorale e di gestione del consenso, non sempre ponendo al centro della propria azione – anche quando elettoralmente legittima, in termini di rappresentanza di esigenze del territorio – un reale, superiore, interesse pubblico generale, con ampi margini di localismo e particolarismo.

Un quadro complessivo ben lontano da quell’idea di vicinanza, dialogo e efficienza che ha animato lo spirito con cui alle amministrazioni regionali sono state assegnate le funzioni di programmazione e gestione delle azioni cofinanziate dai fondi strutturali.

È attraverso il prisma di questi differenti punti di vista che va quindi letta l’azione complessiva di gestione dei fondi strutturali, dalla fase iniziale della progettazione, a quella di definizione e pubblicazione dei bandi, che costituisce il momento di scelta tanto discrezionale quanto politica e amministrativa concreta di beneficiari, risorse e azioni da compiere e finanziare.

Da questo momento si dipana la vera e propria attività amministrativa, che è regolata in maniera precisa e puntuale innanzitutto dai principi costituzionali, in modo dettagliato e vincolante dalla normativa europea (sia dal Trattato di Funzionamento, sia dai regolamenti generali sui fondi sia da quelli specifici di ciascun fondo), infine dalla normativa regionale, che ha un valore di concretizzazione finale e di regolamentazione residuale.

Vincolato è anche l’iter procedimentale, da ultimo dalla legge 241/90 (e successive modifiche e integrazioni), che disciplina non solo il procedimento amministrativo nel suo complesso, nella fase iniziale e finale, sia molte delle fasi endoprocedimentali, ma vincola anche al modo di essere, formale e sostanziale, del provvedimento.

A questo “percorso obbligato” si aggiunge la normativa contabile, sia nazionale che comunitaria, particolarmente rilevante nella fase finale di verifica e rendicontazione, che vincola non solo il quanto ma anche il come della rendicontazione, sia dei soggetti beneficiari sia delle amministrazioni regionali, in un percorso di verifica periodica costante con scarsi margini per la discrezionalità amministrativa.

Già questo quadro normativo dovrebbe mostrare la parzialità di gran parte dei punti di vista considerati.

Se è vero che il carico di lavoro dei pubblici amministratori è aumentato, è anche vero che la definizione di precisi iter procedimentali e di rigorosi schemi di rendicontazione semplifica l’attività amministrativa se non altro per standardizzazione.

Se è vero che il dipendente pubblico si trova ad amministrare grandi risorse e nella sua capacità discrezionale ha ampie occasioni di corruzione e di “sopraffazione”, è anche vero che i crescenti vincoli di pubblicità e di trasparenza possono costituire un argine rilevante, anche in considerazione dei vincoli amministrativi di rendicontazione finale dei programmi.

Se è vero che la discrezionalità politica può intervenire spesso pesantemente nel momento programmatico (e come abbiamo visto anche in una vera e propria ingerenza nella gestione amministrativa), è anche vero che eventuali veri e propri abusi sono ampiamente disciplinati e verificabili attraverso momenti di controllo a più livelli.

Se è vero che gran parte degli obblighi burocratici e amministrativi vengono scaricati sugli operatori economici, è anche vero che spesso questo eccesso è dovuto ad una scarsa propensione alla “documentazione amministrativa” e alla “gestione di progetto” da parte degli operatori stessi, e ciò proprio per la particolare radiografia del tessuto economico nazionale italiano, costituito al 95% da imprese individuali e micro-imprese con meno di 10 dipendenti e per il 4% da imprese che occupano da 10 a 49 dipendenti. E a questa dimensione, prevalentemente artigianale, corrisponde una scarsa struttura interna capace di gestire gli oneri burocratico-amministrativi, alimentando la percezione di un eccesso ingiustificato.

Quella che maggiormente è mancata è stata una comunicazione efficace capace di cambiare la percezione dei soggetti coinvolti – amministratori, cittadini, operatori economici, classe politica – ancora fortemente condizionati, specie nelle regioni meridionali, da processi storici non sempre edificanti. L’idea di un’amministrazione arrogante, accentratrice, foriera di abusi e di discrezionalità, opprimente più che servente, è insita nella storia meridionale, fatta più di conquistatori esproprianti che non di amministratori diligenti, le cui burocrazie e istituzioni si sono dimostrate più strumenti di potere e spesso di oppressione che non di diritto e della tutela dello stesso. Una percezione che senza scivolare negli eccessi della creazione di vere e proprie strutture parallele allo Stato, come le organizzazioni criminali storiche è radicata anche prima dell’Unità, basti pensare a quanto affermava Ajello a proposito dello stato di diritto del Regno di Napoli sotto Carlo di Borbone (1734) nel quale “sotto il velo formale di una gerarchia di fonti giuridiche teoricamente culminate nella legislazione del sovrano, funzionava un ordinamento non scritto che era il solo veramente vigente”, sicché “nel concorso e nella complicata reciproca influenza di norme di varie provenienze, di privilegi, usi, abusi, l’ordinamento vigente esprimeva, al di là dell’ordine apparente, un complesso di tensioni politiche, di interessi prammaticamente affermati, di contrappesi non meno informalmente realizzati in un plurisecolare processo di adattamento”.

Se certamente non nella sostanza, tuttavia nella percezione comune la situazione sembra essere solo minimamente mutata. Uno iato tra realtà e percezione che non può essere colmato solo con riforme legislative ma che deve necessariamente trovare una risposta in un differente approccio culturale, e quindi politico.

Nel descrivere quelli che possono sembrare processi eccessivamente asetticamente burocratici, si deve cercare di concretizzarne lo scopo ultimo, anche attraverso la semplificazione concreta e le aree di possibile (spesso tangibile) criticità.

Attraverso la disamina del processo di pubblicazione e della vita di un avviso pubblico, si deve cercare di rendere meno astratto e più immediatamente percepibile la vita concreta di strumenti che concretamente possono contribuire alla crescita ed allo sviluppo dell’economia e dei territori, incidendo sensibilmente sulla vita delle persone, ed ancor più sulle occasioni e chance generazionali.

Solo attraverso un procedimento trasparente, regolamentato in maniera certa e con diritti ed obblighi ben chiari a priori, si può contribuire a ridurre quella asimmetria percettiva che costituisce il maggiore ostacolo ad un percorso di sviluppo sano e coerente.

Ma le regole sul procedimento non possono prescindere da una chiara conoscenza dei rimedi di tutela, e soprattutto autotutela, che possano costituire momenti di effettiva rivalutazione e dialogo amministrativo teso ad un interesse pubblico superiore anche se non esplicitamente codificato, ovvero la riduzione sostanziale delle distanze tra amministrazione e popolazione.

Se questo riavvicinamento venisse correttamente inquadrato come vero e proprio interesse pubblico cui tendere, esso sintetizzerebbe molti princìpi codificati come obiettivi primari, come ad esempio quelli richiamati dall’articolo 1 della legge 241/90 secondo cui l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, e secondo cui la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria, e per cui i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede. Ma costituirebbe anche una vera e propria fonte di riduzione del contenzioso, un argine di legalità, uno strumento di riduzione della corruzione, un limite alla infiltrazione criminale.

In definitiva un processo di riavvicinamento e di dialogo “sullo stesso piano” tra cittadino e pubblica amministrazione finirebbe con l’essere il vero strumento di attuazione delle finalità ultime da un lato dei fondi strutturali, dall’altro degli scopi dell’Unione, e principalmente darebbe un senso concreto all’affermazione secondo cui lo scopo ultimo dell’amministrazione pubblica è servire e provvedere al pubblico interesse, e non altro, e ciò sia sul piano reale e sostanziale, sia sul piano – talvolta finanche più rilevante – della percezione.

Queste considerazioni valgono maggiormente alla luce del caso esaminato.

Né è plausibile che solo il ricorso – oneroso e a carico del privato – alla giustizia amministrativa possa integrare un momento di rispetto normativo.

Pragmaticamente indicando alcune strategie utili al raggiungimento dell’interesse pubblico ed al rispetto dei principi di cui all’articolo 1 della legge 241/90, potremmo evidenziare alcuni strumenti semplici ed immediati:

  • La violazione dell’articolo 2, in relazione alla durata del procedimento, potrebbe prevedere dei meccanismi automatici sulla base per altro di quelli già previsti e indicati nell’articolo 2 comma 9, per cui il risarcimento sia diretto e proporzionato alla durata.

  • Che tale meccanismo altrettanto in automatico intervenga e incida sugli indici di performance in linea verticale.

  • Che il costo del contenzioso amministrativo generato incida anch’esso sugli indici di performance che non possono sempre e solo essere considerati premiali, ma devono anche essere penalizzanti.

  • Metodologicamente la valutazione non può restare inquisitoria, con un margine di discrezionalità soggettiva abnorme, imponendo verifiche puntuali sotto l’aspetto motivazionale del provvedimento, prevedendo meccanismi di ricorso interno, prima di accedere al ricorso amministrativo (e ciò anche in chiave deflattiva del contenzioso oltre che di economicità procedimentale).

  • Che la funzione politica, oltre che nel momento di nomina, svolga una funzione anche di verifica della performance nel suo complesso, chiedendo conto delle scelte discrezionali in maniera motivata.

  • Nel momento in cui si verifica che gli OIV di fatto livellano orizzontalmente le valutazioni (operando prevalentemente sulla base dei report dirigenziali senza poteri di verifica), anche su strutture di medio-grandi dimensioni, essendo in sé incredibile un tale livellamento, che vi siano strumenti di verifica che incrocino i dati sulla lunghezza cronologica dei procedimenti e si incrocino i contenziosi.

  • Infine ma questa è una scelta politica ulteriore che vi sia una figura di garante dei diritti dell’istante, che avrebbe un suo senso preciso di economicità nella misura in cui potrebbe ridurre concretamente il contenzioso, anche agendo nei termini dell’articolo 11 della legge 241/90.

È evidente che queste sono solo schematiche linee di indirizzo, ma avrebbero il vantaggio di andare tutte nella direzione di un concreto adempimento di principi del procedimento contribuendo a realizzarne gran parte (o quanto meno a tutelarli maggiormente).

È altrettanto evidente che scegliere di percorre queste o altre strade è scelta del decisore politico.

Sin quando la spesa pubblica sarà soggetta in forma diretta o mediata a cicli elettorali o il solo criterio di nomina e conferma non sarà basato su indici di performance- competenza oggettivi ma su appartenenza e rispondenza politica (spoil system “largamente” inteso), non ci sarà interesse politico ad alcuna delle soluzioni immaginate e accennate.


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