Spese di registrazione degli atti dell’autorità giudiziaria: una ricognizione critica del dato normativo e giurisprudenziale

Spese di registrazione degli atti dell’autorità giudiziaria: una ricognizione critica del dato normativo e giurisprudenziale

Si tenta di offrire al lettore una disamina dell’argomento de quo, al fine di risolvere delle problematiche che potrebbero insorgere da alcune prassi applicative avallate dal dato testuale della normativa di riferimento; cercando così di guidare l’operatore nel compito di fronteggiare situazioni, piuttosto spiacevoli, che potrebbero originarsi. Ipotesi tipica a cui si allude è l’avviso di liquidazione, a seguito del quale, decorsi i sessanta giorni previsti dalla normativa, la parte, seppur vittoriosa, potrebbe, in caso di inerzia, vedersi recapitata una cartella di pagamento dall’agente della riscossione, con delle odiose maggiorazioni.

La materia della quale si discorre è disciplinata preliminarmente dai D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (“Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 99 del 30 aprile 1986 e successive modificazioni) ed in minor parte dal D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia” – Testo A -, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 139 del 15 giugno 2002 – Supplemento Ordinario n. 126, Rettifica G.U. n. 286 del 6 dicembre 2002 e successive modificazioni).

In particolare, dalla normativa summenzionata, emerge, per quanto attiene al primo D.P.R. richiamato (d’ora innanzi T.U.R.) ed al caso di specie in esame, che, ai sensi del primo comma dell’art. 9, rubricato “Ufficio competente” ed in vigore dal 29 novembre 2006: “Competente a registrare (…) gli atti degli organi giurisdizionali è l’ufficio del registro nella cui circoscrizione risiede il pubblico ufficiale obbligato a richiedere la registrazione a norma della lettera b) o della lettera c) dell’art. 10.”.

Al seguente art. 10, a cui fa riferimento la disposizione precedente, rubricato “Soggetti obbligati a richiedere la registrazione”, primo comma, in vigore dal 1 gennaio 2007 (e successivamente nella sua lettera c n.d.r.) si legge: “Sono obbligati a richiedere la registrazione (…) i cancellieri e i segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni”.

Di conseguenza, la normativa ci ha esposto quali sono i soggetti tenuti alla registrazione degli atti degli organi giurisdizionali.

Con riferimento alla tempistica, l’art. 13, rubricato “Termini per la richiesta di registrazione” ed in vigore dal 29 novembre 2006, afferma al suo co. 3o: “Per i provvedimenti e gli atti di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c), diversi dai decreti di trasferimento e dagli atti da essi ricevuti (per i quali è previsto il termine di venti giorni, così come per gli atti soggetti a registrazione in termine fisso n.d.r.) i cancellieri devono richiedere la registrazione entro cinque giorni da quello in cui il provvedimento è stato pubblicato o emanato quando dagli atti del procedimento sono desumibili gli elementi previsti dal comma 4 bis dell’articolo 67 e, in mancanza di tali elementi, entro cinque giorni dalla data di acquisizione degli stessi.”.

L’art. 15, rubricato “Registrazione d’ufficio”, stabilisce, inoltre, che: “in mancanza di richiesta da parte dei soggetti (precedentemente indicati n. d. r.) la registrazione è eseguita d’ufficio(…): (…) per gli atti degli organi giurisdizionali conservati presso le cancellerie giudiziarie; qualora non si rinvengano gli atti iscritti nei relativi repertori, la registrazione è eseguita sulla base degli elementi dagli stessi desumibili.”.

Il successivo articolo 16, ci informa quanto all’esecuzione della registrazione, enunciando: “1. Salvo quanto disposto nell’art. 17, la registrazione è eseguita, previo pagamento dell’imposta liquidata dall’ufficio, con la data del giorno in cui è stata richiesta.

2. L’ufficio può differire la liquidazione dell’imposta per non più di tre giorni: il differimento non è consentito se ritarda o impedisce l’adozione di un provvedimento ovvero il deposito dell’atto entro un termine di decadenza.

3. La registrazione consiste nella annotazione in apposito registro dell’atto o della denuncia e, in mancanza, della richiesta di registrazione con la indicazione del numero progressivo annuale, della data della registrazione, del nome del richiedente, della natura dell’atto, delle parti e delle somme riscosse. Per gli uffici dotati di sistemi elettrocontabili le modalità relative all’esecuzione della registrazione sono stabilite con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia.

4. L’ufficio in calce o a margine degli originali e delle copie dell’atto o della denuncia, annota la data ed il numero della registrazione ed appone la quietanza della somma riscossa ovvero dichiara che la registrazione è stata eseguita a debito; l’annotazione dell’avvenuta registrazione deve essere fatta anche sugli atti eventualmente allegati.

5. Quando la registrazione è stata eseguita con il pagamento dell’imposta in misura fissa a norma dell’art. 27 deve esserne fatta espressa menzione.

6. Eseguita la registrazione, l’ufficio restituisce al richiedente l’originale dell’atto pubblico o un originale della scrittura privata o della denuncia. (…).

7. Le richieste di registrazione sono conservate, previa apposizione del numero e della data di registrazione, in appositi volumi rilegati.”

Quanto invece agli effetti della registrazione, così come da rubrica dell’art. 18, I co., quest’ultima: “(…)attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce ad essi data certa di fronte ai terzi a norma dell’art. 2704 del codice civile.(…)”.

Ma andando al di là delle singole disposizioni riguardanti le modalità operative con le quali tali operazioni di registrazione vengono effettuate, rinveniamo nell’articolo 37, rubricato “Atti dell’autorità giudiziaria”, una disposizione fondamentale, in quanto precisa a quali atti faccia riferimento la normativa de qua loquantur, affermando che per atti giudiziari si devono intendere quelli: “(…) in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l’atto di conciliazione giudiziale e l’atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l’amministrazione dello Stato.

2. Il contribuente che ha diritto al rimborso deve chiederlo ai sensi dell’art. 77 all’ufficio che ha riscosso l’imposta.”.

Quanto poi al quantum, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa, parte I, allegata al medesimo D.P.R., è prevista l’applicazione dell’imposta proporzionale (nella misura del 3%) alle sentenze “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”, invece la successiva lett. d) dispone l’applicazione della sola imposta in misura fissa per le sentenze “non recanti trasferimento, condanna o accertamento di diritti a contenuto patrimoniale”.

Va altresì tenuto conto,  che a seguito della risoluzione n.97/E dell’Agenzia delle Entrate, superando quanto in precedenza affermato dalla medesima nelle precedenti risoluzioni ( da ultimo risoluzione n. 48/E del 2011)  e sulla scorta di  alcune pronunce giurisprudenziali,  è stato definitivamente sancito l’ambito applicativo del regime di esenzione dall’imposta di registro e di bollo previsto dall’articolo 46 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (istitutiva del giudice di pace). <<(…)A tal riguardo, la Corte di Cassazione, difatti, con la recente sentenza 16 luglio 2014, n. 16310, cui hanno fatto seguito altre pronunce di identico tenore, ha precisato che “(…)l’art. 46(…)nel suo significato ampiamente comprensivo(…)si riferisce genericamente alle cause ed alle attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede € 1.033,00, ciò che abilita l’interprete a ritenere che il legislatore abbia voluto fare riferimento, ai fini dell’esenzione(…)alle sentenze adottate in tutti i gradi di giudizio”.  I giudici di legittimità hanno inoltre chiarito che “(…)la sedes materiae (e cioè il fatto che si tratti proprio della legge istitutiva del giudice di pace) non appare elemento idoneo ad escludere la conclusione che precede, attesa la lettera omnicomprensiva della previsione normativa che appare coinvolgere l’intero sviluppo del procedimento giudiziale che in primo grado è attribuito alla competenza del predetto organo giudiziale(…)”.  La medesima pronuncia si fonda altresì sulla ratio della disposizione agevolativa che, a parere della Corte di Cassazione è “(…)quella di alleviare l’utente dal costo di servizio di giustizia per le procedure di valore più modesto, in relazione alle quali è evidentemente apparso incongruo pretendere l’assolvimento di un tributo che, per il fatto di essere determinato in termini ordinariamente percentuali rispetto alla rilevanza economica della causa avente valore determinato, ammonta comunque ad importo irrisorio e spesso inadeguato a giustificare una complessa procedura di esazione”. In relazione a ciò, affermano i giudici di legittimità, “(…)appare del tutto coerente la previsione di una esenzione generalizzata, in deroga alla previsione dell’art. 37 del DPR n. 131/1986, dal pagamento della tassa di registro per tutte le sentenze adottate nelle procedure giudiziarie di valore modesto, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito, sicché la norma qui in esame non può considerarsi(…)né oggetto di applicazione analogica né soggetta ad interpretazione di genere estensivo ma semplicemente applicata nel suo lineare e chiaro tenore testuale”. In considerazione dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione con le richiamate sentenze e del parere reso dall’Avvocatura generale dello Stato con nota n. 322080 del 28 luglio 20142 , in ordine alla condivisibilità delle affermazioni di principio espresse dai giudici di legittimità, si ritiene che il regime esentativo per valore previsto dall’articolo 46 della legge n. 374 del 1991 (per le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede € 1.033,00) debba trovare applicazione non solo in relazione agli atti e provvedimenti relativi al giudizio dinanzi al giudice di pace ma anche agli atti e provvedimenti emessi dai giudici ordinari nei successivi gradi di giudizio ( risoluzione n.97/E dell’Agenzia delle Entrate del 10 novembre 2014)>>.

Giungiamo però al punto nodale della questione che emerge dapprima dagli artt. 54, rubricato “Riscossione dell’imposta in sede di registrazione”, dove si dà conto, nei commi 3o e ss., che: “(…) per gli altri atti degli organi giurisdizionali il pagamento dell’imposta deve essere effettuato, entro il termine di cui al comma 5, dalle parti in causa o dai soggetti nel cui interesse è richiesta la registrazione.

4. In mancanza del pagamento o del deposito l’ufficio procede, a norma dell’art. 15, lettere a) e b), alla registrazione d’ufficio.

5. Quando la registrazione deve essere eseguita d’ufficio a norma dell’art. 15, l’ufficio del registro notifica apposito avviso di liquidazione al soggetto o ad uno dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta, con invito ad effettuare entro il termine di sessanta giorni il pagamento dell’imposta e, se dallo stesso dovuta, della pena pecuniaria irrogata per omessa richiesta di registrazione. Nell’avviso devono essere indicati gli estremi dell’atto da registrare o il fatto da denunciare e la somma da pagare”. E dal seguente articolo 55, rubricato “riscossione dell’imposta successivamente alla registrazione” ed in vigore dal 1 aprile 1998:
“ 1. Il pagamento dell’imposta complementare, dovuta in base all’accertamento 
del valore imponibile o alla presentazione di una delle denunce previste dall’art. 19, deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione.

2. Il pagamento delle imposte suppletive deve essere eseguito entro sessanta giorni da quello in cui è avvenuta la notifica della relativa liquidazione.

3. Il pagamento delle imposte, e delle sanzioni amministrative eseguito successivamente alla registrazione deve risultare da apposita quietanza indicante gli estremi di registrazione dell’atto e le generalità del soggetto che ha eseguito il pagamento.

4. Per gli interessi di mora si applicano le disposizioni delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29, 28 marzo 1962, n. 147, e 18 aprile 1978, n. 130.

Tali ultimi articoli ci rendono edotti che a seguito dell’omesso versamento delle somme dovute a titolo di registrazione dell’atto giudiziario entro sessanta giorni verranno irrogate delle sanzioni.

Ma a questo punto sorge spontanea una domanda, entrando nel vivo della questione: quali sono i soggetti tenuti al pagamento dell’imposta?

A questo interrogativo, ci offre un’opinabile risposta l’art. 57, rubricato “Soggetti obbligati al pagamento” ed in vigore dal 1 gennaio 2011, ove al suo primo comma rinveniamo scritto: “Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli articoli 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli articoli 633, 796, 800 e 825 del codice di procedura civile. (…)”.

La predetta disposizione, enunciante il c.d. principio generale di solidarietà passiva nel pagamento dell’imposta di registro, ha suscitato notevoli perplessità, dubbi interpretativi e financo questioni di legittimità costituzionale, seppur ritenute infondate.

In quanto è proprio in virtù dell’interpretazione dell’anzidetta norma, che, a seguito del predetto avviso di liquidazione e trascorsi i sessanta giorni di cui prima, senza che si provveda al pagamento, ed a distanza di un lasso di tempo variabile, inesorabile piomba la cartella esattoriale di Equitalia in capo alle parti, vittoriose e soccombenti, con l’aggiunta d’aggio, spese e sanzioni.

I dubbi e le perplessità dianzi richiamate sono stati fugati con diverse pronunce della giurisprudenza di legittimità.

Innanzitutto, così come affermato nella risoluzione n. 82/E dell’Agenzia delle Entrate del 21 novembre 2013, alla quale si fa riferimento, si è esclusa la possibilità di inquadrare nell’ambito dei soggetti nei confronti dei quali si applica l’imposta gli interventori ex art. 105 c.p.c.

In caso di litisconsorzio facoltativo, infatti, la solidarietà passiva di cui all’articolo 57 riguarda le sole parti del rapporto sostanziale deciso in sentenza, essa non si estende ai terzi intervenuti volontariamente nel processo ed estranei al rapporto sostanziale.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 15 maggio 2006, n. 11149, ha affermato che l’imposta proporzionale di registro dovuta in relazione ad una sentenza di condanna non può gravare sulle parti processuali nei cui confronti questa non è stata pronunciata. Ciò in quanto, l’imposta di registro non colpisce l’atto ma il rapporto racchiuso nell’atto.

In tal senso anche la sentenza della Corte di Cassazione 19 giugno 2009, n. 14305, con la quale è stato affermato che l’obbligazione solidale posta a carico delle parti in causa, ai sensi dell’articolo 57 del TUR, per il pagamento dell’imposta dovuta in relazione ad una sentenza emessa in presenza di pluralità di parti, in caso di litisconsorzio facoltativo, non grava indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno preso parte al procedimento unico.

Tali principi sono stati affermati, inoltre, anche dalla Corte Costituzionale che, con sentenza 6 luglio 1972, n. 120, ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 92, n. 2, del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269, nella parte in cui afferma la responsabilità solidale per l’imposta di registro dei soggetti estranei alla convenzione considerata in sentenza che abbiano formulato domande non aventi immediato fondamento sulla convenzione stessa.

In sostanza, l’interesse ad agire delle parti istanti, intervenute ai sensi dell’articolo 105, 2° comma, c.p.c., è caratterizzato dal suo riferimento ad un diritto altrui, come posizione di vantaggio riflesso sul piano sostanziale. Tali soggetti restano, tuttavia, estranei al rapporto sostanziale principale, oggetto del giudizio promosso tra le parti.

Il principio di solidarietà, sancito dalla richiamata disposizione, è stato oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, instauratosi a seguito del rilievo formulato da parte del giudice rimettente, che ha ravvisato un possibile contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione della disposizione recata dell’articolo 57 del T.U.R., nella parte in cui prevede l’obbligo del pagamento dell’imposta su entrambe le parti del processo.

Tale norma, rilevava il giudice rimettente, comportando l’obbligo di pagamento dell’imposta anche a carico della parte attrice, finirebbe per incidere negativamente sul diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

La Corte Costituzionale, con ordinanza 19 giugno 2000, n. 215, nel confermare la piena legittimità della richiamata previsione, ha affermato il principio secondo il quale «in materia di imposte indirette, il necessario

collegamento con la capacità contributiva non esclude che la legge stabilisca prestazioni tributarie a carico solidalmente oltreché del debitore principale, anche di altri soggetti non direttamente partecipi dell’atto assunto come indice di capacità contributiva».

Secondo costante giurisprudenza della Corte «la solidarietà deve ricollegarsi a rapporti giuridico-economici idonei alla configurazione di unitarie situazioni che possano giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa (sentenze n. 226 del 1984, n. 178 del 1982, n. 120 del 1972) ».

Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha concluso, dunque, che “tra le parti in causa la solidarietà risulta giustificata proprio da siffatti rapporti e dall’unitarietà di situazioni che si vengono a configurare(…)”.

Sulla base dei principi sanciti dalla Corte Costituzionale, la Corte di Cassazione, con un orientamento ormai consolidato, ha avuto modo di affermare che, per la registrazione degli atti giudiziari, l’imposta di registro non deve gravare indiscriminatamente su tutti i soggetti che hanno preso parte al procedimento in quanto l’indice di capacità contributiva, cui si ricollega il tributo, non è la sentenza in quanto tale “ma il rapporto sostanziale in essa racchiuso, con conseguente esclusione del vincolo di solidarietà nei confronti dei  soggetti ad esso estraneo” (Corte di Cassazione, sez. trib., 28 febbraio 2011, n. 4805, che richiama Corte cass. 5, sez. 19.6.2009 n. 14305; Corte cass. 5, sez. 21.7.2009 n. 16891; in precedenza vedi Corte cass. 5, sez. 31.7.2007 n. 16917).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in sostanza, “il presupposto della solidarietà non può essere individuato nella mera situazione giuridica processuale del soggetto che, pur avendo partecipato al giudizio, sia rimasto

totalmente estraneo al rapporto considerato nella sentenza (cfr. Corte di Cassazione 5 sez. 16.7.2010 n. 16745)”.

In considerazione dei principi affermati dalla giurisprudenza, deve dunque ritenersi che il rapporto di solidarietà passiva previsto dall’articolo 57 del T.U.R. debba trovare applicazione solo con riferimento alle parti del processo coinvolte nel rapporto sostanziale considerato nella sentenza, con esclusione, pertanto, dei soggetti che a detto rapporto risultano estranei.

La logica sottesa, che addossa l’onere impositivo in capo alle parti solidalmente considerate è chiaramente espressa anche nella recente sentenza Cass. sez. trib. del 03.07.2015, n.13753 ove si afferma: “(…) in ragione della ratio che presidia la solidarietà tributaria per l’imposta di registro, l’amministrazione non è vincolata, nella riscossione e men che meno nella liquidazione, né dall’uno, né dall’altro beneficio, mirando la norma a garantire il creditore di imposta rendendogli più sicura e agevole la percezione del tributo. Così che ciascun debitore è comunque – ripetesi – tenuto per l’intero corrispondente debito verso l’erario, la cui iniziativa creditoria non trova alcuna preclusione soggettiva fin quanto il credito non sia stato soddisfatto (v. Sez. 5^ n. 9126-14).

Il problema si sposta sul versante interno dell’obbligazione, ed è presidiato dalla facoltà del condebitore solvente di agire in regresso nei confronti dell’altro. (…)”

Conseguentemente, per quanto in alcune pronunce giudiziali sia stata segnalata l’opportunità di non far pesare sulla parte vittoriosa l’imposta, converrà sempre alla medesima, interessata alla registrazione dell’atto, adempiere effettuando il versamento utilizzando il Mod. F23 (il pagamento può essere eseguito presso qualsiasi concessionario della riscossione, banca o ufficio postale, indipendentemente dal domicilio fiscale di chi versa o dall’ubicazione dell’ufficio o dell’ente che ha richiesto il pagamento) consegnando ricevuta all’ufficio dell’Agenzia interessato che provvede alla registrazione e alla restituzione dell’atto alla cancelleria.

Ciò al fine di evitare le spiacevoli conseguenze anzidette ed anche in virtù degli effetti della registrazione.

Citando testualmente la norma di cui all’art. 66, rubricata “Divieto di rilascio di documenti relativi ad atti non registrati”, si possono infatti intuire gli effetti della registrazione: 1. I soggetti indicati nell’art. 10, lettere b) e c), possono rilasciare originali, copie ed estratti degli atti soggetti a registrazione in termine fisso da loro formati o autenticati solo dopo che gli stessi sono stati registrati, indicando gli estremi della registrazione, compreso l’ammontare dell’imposta, con apposita attestazione da loro sottoscritta.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) agli originali, copie ed estratti di sentenze ed altri provvedimenti giurisdizionali, o di atti formati dagli ufficiali giudiziari e dagli uscieri, che siano rilasciati per la prosecuzione del giudizio;

b) agli atti richiesti d’ufficio ai fini di un procedimento giurisdizionale, salvo il disposto del comma 7 dell’art. 65;

c) alle copie degli atti destinate alla trascrizione o iscrizione nei registri immobiliari;

d) alle copie degli atti occorrenti per l’approvazione od omologazione;

e) alle copie di atti che il pubblico ufficiale è tenuto per legge a depositare presso pubblici uffici (1).

3. Nei casi di cui al comma 2 deve essere apposta sull’originale, sulla copia o sull’estratto rilasciati prima della registrazione l’indicazione dell’uso (2).

(1) Con sentenza 10 giugno 2010 n. 198 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 del presente articolo nella parte in cui non prevede che la disposizione di cui al comma 1 non si applichi al rilascio di copia dell’atto conclusivo (sentenza o verbale di conciliazione) della causa di opposizione allo stato passivo fallimentare, ai fini della variazione di quest’ultimo.

(2) Con sentenza 6 dicembre 2002 n. 522 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 66, nella parte in cui non prevede che la disposizione del primo comma non si applichi al rilascio dell’originale o della copia della sentenza o di altro provvedimento giurisdizionale, che debba essere utilizzato per procedere all’esecuzione forzata.”

Va altresì tenuto presente, inoltre, che le spese di registrazione della sentenza vanno ritenute spese giudiziali ex art. 91 c.p.c., in quanto correlate alla fruizione del servizio pubblico dell’amministrazione della giustizia e trovano, quindi, causa immediata nella controversia (Cass. civ. sez. II, 22 giugno 2000 n. 8481; Cass. civ. sez. II, 6 ottobre 1999 n. 11125; Cass. civ. sez. un. 21 agosto 1990 n. 8481; Cass. civ. sez. I, 12 marzo 1990 n. 2013); da ciò ne deriva che la parte vittoriosa può agire in executivis per il pagamento delle spese legali, ivi compresa l’imposta per la registrazione della sentenza.

Emerge quindi la necessità, chiarita da Cass. n. 1198/2012 del 27 gennaio 2012, per la parte di munirsi di un titolo esecutivo ulteriore rispetto alla sentenza poiché essa non costituisce titolo esecutivo, quanto alle spese di registrazione che la parte abbia sostenuto successivamente alla pronuncia, e tali spese non sono incluse nell’eventuale provvedimento di compensazione contenuto nella sentenza, ma vanno ripartite fra le parti in base ai principi del diritto civile e tributario circa la responsabilità solidale delle parti contendenti nei confronti del fisco.

In tal senso si vedano, tra le altre, Cass. 27.6.2011 n.14192; Cass. 16.6.2008 n.16212 ; Cass.21.2.2001 n.2500; Cass. 3.5.1991 n.4858 e Cass. S.U. 21.8.1990 n.8533.

Ne consegue che la parte che abbia sostenuto le spese di registrazione ha il diritto di ripeterne l’importo dalla controparte – sia pur nella misura risultante dalla ripartizione delle spese contenuta nella sentenza impugnata – solo in presenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di regresso fra condebitori solidali (cfr. Cass. civ. Sez. 1, 21 febbraio 2001 n. 2500; Cass. civ. Sez. 2, 16 giugno 2008 n. 16212 e 27 giugno 2011 n. 14192).

Ed il titolo in base al quale essa può procedere esecutivamente sui beni della controparte per ottenerne il rimborso è quello che accerti l’esistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di regresso: prima fra tutti la prova dell’avvenuto pagamento dell’imposta di cui si chiede il rimborso, prova che non risulta dalla sentenza utilizzata come titolo esecutivo, essendo l’imposta dovuta solo dopo il deposito della sentenza medesima.

A riprova di ciò, Cass. terza sez. civile sentenza n. 7532 del 01.04.2014, ha stabilito: “(…)la parte che abbia in concreto provveduto all’adempimento dell’obbligo fiscale in luogo di quella che vi era tenuta – o che essa ritiene esservi tenuta – deve far valere il suo diritto al rimborso proponendo una specifica domanda giudiziale, cosi da provocare il contraddittorio sull’obbligo e sui limiti del rimborso (confr. Cass. civ. 12 marzo 1990, n. 2013; Cass. civ. 20 maggio 1994, n. 4992; Cass. civ. 22 giugno 2000, n. 841; Cass. civ. sez. un. 4 ottobre 1974, n. 2594; Cass. civ. 13 dicembre 1969, n. 3946). (…)”.

In conclusione, così come delineato dalle sentenze citate, ed a seconda dei casi, la parte vittoriosa che ha anticipato le spese occorrenti alla registrazione della sentenza  potrà proporre istanza di rimborso a norma dell’art. 77 del T.U.R., rubricato “Decadenza dell’azione del contribuente”:

1. Il rimborso dell’imposta, della soprattassa, della pena pecuniaria e interessi di mora deve essere richiesto, a pena di decadenza, dal contribuente o dal soggetto nei cui confronti la sanzione è stata applicata entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione.

2. (…)

3. La domanda di rimborso deve essere presentata all’ufficio che ha eseguito la registrazione, il quale deve rilasciarne ricevuta, ovvero deve essere spedita a mezzo plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento.

4. Per gli interessi di mora spettanti al contribuente sulle somme rimborsate si applicano le disposizioni delle leggi 26 gennaio 1961, n. 29, 28 marzo 1962, n. 147, e 18 aprile 1978, n. 130.”

o agire per il recupero delle somme che dovevano esser pagate dalla parte soccombente, a seconda che vi sia o meno compensazione delle spese e nella misura risultante da quanto stabilito dal giudicante, preferibilmente in via monitoria.


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