Stop al mantenimento se l’ex moglie ha una relazione stabile
Cass. civ., sez. VI – 1, ord. 16 ottobre 2020, n. 22604
È stata battezzata con la nomenclatura di “legge salva mariti” la recentissima pronuncia n. 22604/20 emessa dalla Corte di Cassazione, sez. VI Civile e depositata in data 16 ottobre 2020 che determina la cessazione della corresponsione dell’assegno di mantenimento qualora l’ex moglie abbia intrapreso una relazione stabile con un altro partner.
Sulla base di quanto enunciato dalla Corte di Cassazione, il versamento dell’assegno di mantenimento all’ex moglie verrebbe meno nel momento in cui la stessa abbia dato avvio ad una nuova relazione sentimentale contraddistinta dagli essenziali presupposti della «stabilità» e «continuità».
Il principio, affonda le proprie radici in un’ordinanza attraverso cui la Suprema Corte annullava la condanna, inflitta dalla Corte di Appello di Reggio Calabria nei confronti di un ex marito, a versare gli alimenti in favore dell’ex moglie che da tempo però intratteneva una relazione stabile con un altro uomo.
Sulla cessazione del pagamento mensile all’ex coniuge che ha costruito un rapporto consolidato tanto da determinare un vero e proprio nucleo familiare, ora si comincia a veder chiaro: per il coniuge divorziato viene definitivamente meno ogni presupposto in base al quale è tenuto a versare l’assegno di divorzio stabilito dal giudice.
Una relazione stabile, anche tra persone non conviventi, quindi, potrebbe far decadere il diritto a ricevere l’assegno di mantenimento o l’assegno divorzile, due emulomenti questi, spesso confusi ed utilizzati nel linguaggio quotidiano quali sinonimi, ma ben differenti. Si applicano infatti in circostanze legali diverse, calcolati per due motivi distinti e per tali ragioni si rende necessario un breve chiarimento.
L’assegno divorzile è rappresentato da una somma periodica che viene corrisposta da un coniuge in favore dell’altro in caso di divorzio, nell’ipotesi in cui tale soggetto sia sprovvisto di mezzi adeguati al proprio sostentamento oppure, per motivi oggettivi, non versi nelle condizioni di poterseli procurare ed a mente dell’articolo 5 della legge n. 898/1970, l’ammontare dell’assegno divorzile sarà determinato nel momento in cui verrà emessa la sentenza di divorzio.
Gli elementi in virtù dei quali viene disposta l’assegnazione sono vari: difatti, non si procederà alla sola valutazione del tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, bensì di altri criteri quali, il reddito dei due coniugi, le ragioni sulle quali si fonda la domanda di divorzio e la durata del matrimonio. L’assegno divorzile può essere versato con cadenza mensile oppure in un’unica soluzione ed in questa ultima ipotesi particolare può concretizzarsi anche nell’assegnazione di un bene.
Mentre l’assegno divorzile è determinato e fissato dal giudice all’interno della pronuncia di divorzio, diversamente l’assegno di mantenimento è disposto a seguito della separazione dei coniugi. Lo scopo dell’assegno di mantenimento è quello di assicurare al coniuge meno abbiente il medesimo tenore di vita vigente durante la vita matrimoniale.
I criteri in base ai quali sarà fissato l’assegno divorzile prescindono, invece, dal mantenimento del tenore di vita, come stabilito anche dalla sentenza n. 11504/2017, in quanto detta circostanza confligge in modo evidente con la natura stessa del divorzio.
Tornando all’analisi del caso di specie che ha originato la recentissima ed innovativa pronuncia ,il medesimo concerne, una donna divorziata che aveva dato avvio ad una nuova relazione stabile con un uomo, relazione ,questa, durata anni senza mai determinare però una convivenza ufficiale tra i due soggetti.
L’ex marito, che da anni versava l’assegno mensile di mantenimento, sosteneva che, nonostante i diversi indirizzi di residenza e di domicilio, la ex consorte, di fatto, vivesse insieme al nuovo compagno, con cui trascorreva del tempo giornalmente e con il quale trascorreva più notti nel corso della settimana.
L’azione legale ha proposto che il mantenimento fosse rimodulato, o addirittura revocato.
Con una sentenza che darà spazio a un ampio dibattito, la Corte di Cassazione ha accolto le istanze dell’ex marito: il diritto all’assegno di divorzio può essere revocato qualora l’ex coniuge intrattenga una relazione sentimentale scandita da periodi più o meno lunghi di convivenza, che attribuiscano alla stessa le caratteristiche di una nuova unione stabile.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello di Reggio Calabria aveva disposto per il ricorrente l’obbligo di corrispondere alla ex la somma di € 400,00 euro mensili ed aveva respinto il ricorso in appello attraverso il quale il marito demandava la revoca dell’assegnazione della casa coniugale.
La richiesta avanzata dall’uomo alla Suprema Corte era volta all’annullamento dell’appena citata pronuncia d’appello; di contro, la pretesa dell’ex moglie consisteva invece nell’ottenimento di un sostegno economico ancora più ingente, specificatamente di € 700,00 mensili, sostenendo di non possedere alcun reddito e che la relazione stabile e continua coltivata dalla medesima con un altro uomo non fosse mai stata dimostrata.
Secondo le ragioni della difesa del marito, i giudici in sede di appello avevano commesso un errore nel «qualificare la fattispecie giuridica di famiglia di fatto»: pur non essendoci una convivenza sancita dalla legge o dalla comune residenza, la relazione della donna, infatti, avrebbe dovuto esser qualificata quale stabile e pure datata, in forza del fatto che la medesima ed il compagno, oltre a frequentarsi quotidianamente, erano soliti trascorrere molti giorni — notti comprese — nella stessa casa.
La Cassazione ha dato ragione all’uomo e dalla lettura della pronuncia si evince che quello dalla ex moglie col nuovo compagno è un rapporto pluriennale e consolidato, «pure caratterizzato da ufficialità, nonché fondato sulla quotidiana frequentazione con periodi più o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza».
Se per la Corte d’Appello si trattava di una relazione «non sufficiente per ipotizzare la creazione di quella nuova famiglia di fatto», per la Corte di Cassazione sembrano non esserci dubbi: si tratta di un rapporto stabile e consolidato, circostanza che ha portato all’annullamento della decisione di secondo grado.
Con l’ordinanza del 16 ottobre scorso è stato perciò accolto il ricorso dell’uomo che chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento, considerando il nuovo legame della ex consorte ufficiale e ormai datato. Nel testo, i giudici sottolineano il fatto che il rapporto è consolidato, come testimoniato dalla frequentazione quotidiana, con periodi più o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza, circostanza che basterebbe per ritenere che la relazione fosse più che stabile.
Spesso i coniugi separati o divorziati, destinatari di assegni di mantenimento mensili, danno vita a veri propri escamotage atti a non perdere i vantaggi economici di cui godono. Uno dei più gettonati è quello di nascondere le nuove relazioni sentimentali stabili, che in molti casi comporterebbero la revoca dell’assegno.
Spesso vengono nascoste anche le convivenze di fatto, creando un meccanismo di pernottamenti «random», distribuiti in modo da evitare quella continuità che potrebbe convincere un giudice a riconoscere, appunto, una convivenza o una relazione stabile: i compagni vengono ospitati per qualche giorno, a giorni alterni, nei week end, e il dato della residenza non viene mai modificato. La pronuncia di ottobre tende a evidenziare il fatto che i periodi di convivenza con il nuovo compagno non debbano essere considerati singolarmente, ma complessivamente: in pratica la sommatoria dei periodi trascorsi insieme al nuovo compagno porta ad integrare il requisito della stabilità e della continuità, che porta alla decadenza dell’assegno. Un approccio che farà certamente discutere perché si potrebbe obiettare che la sentenza della Corte possa rendere più difficile, per l’ex partner, ricostruirsi una vita affettiva, esponendo inoltre lo stesso a «indagini» e controlli da parte dell’ex coniuge.
Ragioni della decisione
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 269/2018 depositata il 26-4-2018, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da I.G. e in parziale riforma della sentenza impugnata, ha posto a carico di S.D. l’obbligo di corrispondere alla I. , ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, un assegno mensile di Euro 400, da corrispondersi entro i primi cinque giorni di ogni mese e annualmente rivalutabile secondo gli indici Istat. La Corte territoriale ha inoltre dichiarato inammissibile l’appello incidentale di S.D. , diretto ad ottenere la revoca dell’assegnazione della casa coniugale alla I. , ed ha compensato integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado.
2. Avverso detta sentenza S.D. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso la I. , proponendo ricorso incidentale affidato ad un solo motivo. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
3. Con il primo motivo di ricorso principale il ricorrente lamenta la “Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Denuncia l’assenza o apparenza, nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale, pur esaminando lo stesso materiale probatorio del Tribunale, espresso un convincimento opposto, in ordine alla sussistenza dei connotati di stabilità e continuità della convivenza more uxorio tra l’ex moglie e il sig. M. , senza spiegarne le ragioni fattuali e giuridiche e operando mero e apodittico richiamo alla giurisprudenza di questa Corte in tema di rilevanza della cd. famiglia di fatto.
3.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione o falsa applicazione dell’art. 2 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Lamenta che la Corte territoriale abbia errato nel qualificare la fattispecie giuridica della famiglia di fatto, richiama la giurisprudenza di questa Corte sul tema e deduce che i presupposti fattuali accertati dai Giudici di merito erano da ritenersi sufficienti ad integrare le connotazioni di stabilità e continuità caratterizzanti la famiglia di fatto. Richiama le risultanze probatorie e soprattutto la testimonianza del sig. M. , con cui la I. aveva instaurato la relazione sentimentale, dalla quale era emersa l’assunzione, da parte di questi ultimi, di impegni reciproci di assistenza morale e materiale.
4. Con unico articolato motivo di ricorso incidentale la controricorrente censura la sentenza impugnata per errore di diritto, avendo la Corte d’appello ritenuto di ripristinare l’assegno di mantenimento in suo favore nell’importo di Euro400, in luogo di quello di Euro 700 stabilito nella sentenza di separazione. Deduce la controricorrente di non avere alcun reddito ed inoltre non era stata dimostrata dall’ex marito la stabilità e continuità della sua relazione con l’altro uomo, nè la condivisione delle spese con quest’ultimo. L’esiguità del suddetto importo, ad avviso della controricorrente, non le consente di far fronte neppure all’acquisto di beni di prima necessità.
5. Il primo motivo di ricorso principale è fondato.
5.1. Ricorre, nella specie, il vizio di motivazione denunciato con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ed all’art. 111 Cost., che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento.
La Corte d’appello, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di famiglia di fatto, ha dato atto che era stato provato il rapporto sentimentale pluriennale e consolidato tra la I. e il sig. M. , pure caratterizzato da ufficialità, nonché fondato sulla quotidiana frequentazione con periodi più o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza, così ricostruendo la vicenda fattuale di rilevanza in modo conforme a quanto accertato dal Tribunale, secondo cui i suddetti fatti integravano in concreto la fattispecie della cd. famiglia di fatto. La Corte territoriale ha, invece, ritenuto che quella relazione non potesse “per ciò solo dirsi connotata da quei caratteri di continuità e stabilità che probabilmente rappresenterebbero il primo stadio necessario, ma- come detto- nemmeno sufficiente, per ipotizzare la creazione tra gli stessi di quella nuova famiglia di fatto secondo il valore ed il significato attribuiti al concetto dalla migliore giurisprudenza sopra detta” (pag. n. 6 della sentenza impugnata).
Il suddetto percorso argomentativo, che è l’unico esplicitato nella sentenza impugnata a fondamento della mancata condivisione dell’opposta conclusione a cui era pervenuto il Giudice di primo grado, non consente di individuare in che modo e su quali basi si sia formato il convincimento della Corte d’appello, in assenza di richiami ad elementi fattuali idonei a giustificare le ragioni della ritenuta assenza di continuità e stabilità della relazione sentimentale, pur ricostruita dalla stessa Corte territoriale, in base all’istruttoria espletata in primo grado, come pluriennale, consolidata, ufficializzata, di quotidiana frequentazione e caratterizzata da periodi più o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza.
Neppure consente di rendere percepibile il ragionamento seguito l’apodittico riferimento al concetto di famiglia di fatto in base alla giurisprudenza di questa Corte, in mancanza di ulteriori adeguate indicazioni fattuali rispetto a quelle di cui si è detto.
A ciò si aggiunga il profilo di contraddittorietà che si rinviene nel successivo passaggio motivazionale della sentenza impugnata, concernente la quantificazione del contributo di mantenimento (pag. n. 8 sentenza), nella parte in cui è affermato che “la I. ha pure dato vita ad una nuova stabile e consolidata relazione affettiva con un nuovo compagno”.
All’evidenza detto ultimo assunto si pone in irriducibile contrasto con quello precedente di cui si è detto, con il quale era stata, invece, esclusa la sussistenza, nel caso concreto, delle connotazioni di stabilità e continuità di quella relazione. Ricorre, pertanto, nella specie l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, il vizio risulta dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e la motivazione non raggiunge il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014 e successive conformi).
6. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso principale, restando assorbiti sia il secondo motivo di ricorso principale, sia il motivo di ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata nei limiti del motivo accolto e la causa è rinviata alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, dichiarati assorbiti il secondo motivo di ricorso principale e il motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
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Avv. Eleonora Deborah Iannello
Avvocato, docente di diritto e redattore di articoli giuridici in materi di diritto civile e penale.