STRAINING: le differenze col danno da mobbing
Cass. Civ., sez. lav., 19.02.2016, n. 3291
Va risarcito il dipendente che lavora in una situazione costante di stress causata dai comportamenti ostili dei superiori. Il danno subito si chiama straining, e non mobbing, se trattasi di vessazioni saltuarie e prive del requisito della continuità.
Una dipendente di un’Azienda Ospedaliera agiva in giudizio per vedersi risarcire il danno da demansionamento e da mobbing.
La Cassazione, respinta la prima domanda, ha condiviso la sentenza appellata laddove escludeva che la riorganizzazione del reparto fosse stata finalizza a danneggiare la dottoressa, il cui impegno part-time limitava, di fatto le mansioni che le potevano essere affidate. Allo stesso tempo ha dato risalto a due episodi: uno in cui il primario reagiva con un atteggiamento aggressivo culminato nel gesto di stracciare la relazione di consulenza della ricorrente che avrebbe dovuto essere allegata a una cartella clinica e l’altro di mancata consegna da parte dello stesso primario della scheda di valutazione della dottoressa.
Si tratta di episodi che non avrebbero potuto dare luogo a un vero e proprio mobbing, mancando l’elemento della oggettiva frequenza della condotta ostile, al di là della percezione soggettiva della dottoressa di una situazione di costante emarginazione. Ma ciò non esclude lo straining.
Lo straining rappresenta una forma attenuata di mobbing, nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, come può accadere ad esempi in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti del lavoro.
In tutte le suddette ipotesi, se la condotta nociva si realizza con una azione unica e isolata o comunque in più azioni, ma prive di continuità si è in presenza dello straining che può sempre produrre una situazione stressante, la quale a sua volta può anche causare gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o psichici.
Mancando nel caso di specie il requisito della continuità nel tempo della condotta, essa può essere sanzionata in sede civile sempre applicando l’art. 2087 c.c., ma può dar luogo anche a fattispecie di reato se ne ricorrono i presupposti.
Rappresentando lo straining una forma attenuata di mobbing, la Suprema Corte ha affermato, infine, che viola il principio tra il chiesto e in pronunciato qualificare la condotta di mobbing quale straining, in quanto resta inalterato sia il petitum che la causa petendi e non viene attribuito un bene diverso da quello domandato né vengono introdotti nuovi elementi di fatto.
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