Sudafrica contro Israele: le tappe del processo in corso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia

Sudafrica contro Israele: le tappe del processo in corso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia

di Valentina Spata* e Christian Catera*

Sommario: Premessa – 1. La Convenzione di Genocidio del 1948 – 2. L’accusa del Sudafrica. Israele sarà condannato per genocidio? – 3. La difesa del team legale di Israele – 4. Da chi sono rappresentati i due Stati al processo della Corte Internazionale di Giustizia – 5. Possibili scenari

Il 29 dicembre il Sudafrica ha ufficialmente avviato un procedimento contro lo Stato di Israele presso la Corte internazionale di giustizia, il più alto organo giudiziario delle Nazioni Unite, per atti di genocidio contro i palestinesi della Striscia di Gaza. L’ 11 gennaio 2024 si è tenuta la prima udienza pubblica.

La denuncia viene proposta ai sensi della Convenzione sul Genocidio del 1948 ed è mossa nel contesto dei bombardamenti israeliani dopo gli attacchi terroristici guidati da Hamas, sottolineando che oltre 23.350 persone sono state uccise tra la metà di ottobre e il 3 gennaio e che Israele ha sfollato con la forza l’85% della popolazione della Striscia negli ultimi tre mesi di ostilità.

Il team legale del Sudafrica ha presentato le prove sostenendo che Israele ha dimostrato un modello di condotta genocida.  Infatti, sono state presentate prove riguardo l’azione illegale di Israele che ha portato alla morte, alla fame, alla sofferenza e allo sfollamento della popolazione di Gaza. Adila Hassim, in rappresentanza del Sudafrica, ha affermato che Israele ha sottoposto i 2,3 milioni di abitanti di Gaza ad attacchi senza precedenti per via aerea, terrestre e marittima, causando migliaia di morti tra i civili e una diffusa distruzione di case e infrastrutture. Inoltre, Israele impedisce l’ entrata di aiuti umanitari necessari a Gaza. Oltre alla fame e al rischio di morte, la popolazione di Gaza è stata bombardata senza sosta e sono state create fosse comuni per le vittime non identificate.

Di fronte a questi atti e alle prove presentate, il team legale sudafricano ha sostenuto il «carattere genocida» degli «atti e delle omissioni» di Israele, rilevando la presenza del «necessario intento specifico […] di distruggere i palestinesi di Gaza». La richiesta denuncia anche il mancato rispetto da parte di Israele «dell’obbligo di prevenire il genocidio, nonché dell’obbligo di punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio», anch’esso sancito dalla Convenzione sul Genocidio del 1948.

Israele – che nel corso degli anni ha espresso preoccupazioni e riserve riguardo a decisioni prese da organizzazioni internazionali e corti di giustizia, specialmente quando si tratta di questioni relative al conflitto israelo-palestinese – ha scelto questa volta di difendersi mettendo insieme un team legale. Un esempio noto è la sua posizione nei confronti della Corte Penale Internazionale (CPI).

Nel 2015, la CPI ha aperto una verifica preliminare sulla situazione in Palestina, che includeva l’esame di possibili crimini di guerra commessi da qualsiasi parte coinvolta nel conflitto. Israele non ha cooperato con l’indagine, sostenendo che la CPI non ha giurisdizione in quanto Israele non è uno stato parte dello Statuto di Roma (lo statuto fondante della CPI). Ha anche sollevato questioni sulla legittimità e l’imparzialità dell’indagine.

Nel frattempo, l’attuale Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani,  Volker Türk , ha sottolineato che gli atti di Israele costituiscono “gravi violazioni” del diritto internazionale umanitario. Türk ha condannato la crudeltà dell’attacco lanciato da Hamas e da altri gruppi armati, esprimendo al contempo rammarico per gli atti commessi dai soldati israeliani responsabili della morte di migliaia di Palestinesi innocenti. Ha sottolineato la necessità di intervenire contro le presunte violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani per entrambe le parti. Il Sudafrica, presentando la denuncia, d’altro canto, sollecita la Corte a ordinare “misure provvisorie” per proteggere la popolazione palestinese di Gaza, anche chiedendo a Israele di porre fine immediatamente agli attacchi militari che “costituiscono, o danno origine, a violazioni della Convenzione sul Genocidio” e di annullare i provvedimenti che costituiscono punizioni collettive e trasferimenti forzati di popolazione.

1. La Convenzione di Genocidio del 1948

La Convenzione di Genocidio del 1948 rappresenta uno degli sforzi internazionali per prevenire e punire uno dei crimini più gravi contro l’umanità. È stata adottata in risposta alle atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale e continua a essere uno strumento importante nel diritto internazionale. La Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio è un trattato internazionale adottato dalle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948 ed entrato in vigore il 12 gennaio 1951. La Convenzione definisce il genocidio come un crimine internazionale e stabilisce gli obblighi degli Stati firmatari per prevenirlo e reprimere chiunque ne sia responsabile.

Ecco alcuni dei principali elementi della Convenzione sul Genocidio:

1. Definizione di Genocidio: la Convenzione definisce il genocidio come atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Gli atti inclusi nella definizione comprendono omicidi, lesioni gravi, illeciti gravi alle condizioni di vita, deportazioni forzate, limitazioni alla nascita e trasferimenti forzati di bambini. Le condizioni decise dalla Convenzione per parlare di genocidio sono piuttosto precise e non sembrano lasciare molto spazio a dubbi, ma c’è un elemento che rende tutto più complicato, che è «l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale». In pratica significa che per parlare di genocidio deve essere provato che chi ha commesso l’atto avesse l’intenzione di sterminare un gruppo di persone in quanto tale. Per questo la Shoah è definita un genocidio (l’obiettivo del regime nazista era sterminare sistematicamente il popolo ebraico in quanto tale), mentre è molto più difficile attribuire questa definizione a un grande massacro di civili compiuto nel corso di una guerra.

2. Obbligo di Prevenzione e Punitivo: gli Stati che ratificano la Convenzione si impegnano a prevenire e a punire il genocidio. In caso di sospetto di genocidio, gli Stati devono perseguire i presunti responsabili davanti ai loro tribunali nazionali o, se necessario, consegnarli a un tribunale internazionale competente. A tal proposito c’è da dire che Israele, nonostante il popolo ebraico abbia subito il genocidio, non ha ratificato la Convenzione.

3. Competenza Universale: la Convenzione stabilisce che il genocidio è un crimine che può essere perseguito da qualsiasi Stato, indipendentemente dalla nazionalità dell’autore o dalla località del crimine. Questo principio è noto come competenza
universale.

4. Corte Internazionale di Giustizia (ICJ): la Convenzione conferisce alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) la competenza per risolvere le controversie tra gli Stati relativamente all’interpretazione, all’applicazione o all’adempimento della Convenzione. Per questo motivo il Sudafrica ha presentato alla Corte Internazionale di Giustizia la denuncia contro Israele.

5. Nessuna prescrizione: non esiste un limite di tempo per perseguire penalmente il genocidio. La Convenzione stabilisce che non ci sono restrizioni temporali per l’esercizio della giurisdizione nei confronti di coloro che sono accusati di genocidio. La Convenzione prevede che gli Stati possano intraprendere azioni legali per prevenire il verificarsi di un crimine di genocidio. Essa obbliga gli Stati parti della Convenzione a prendere misure per prevenire e punire il crimine di genocidio. Quest’obbligo, così come il divieto di genocidio, sono considerati norme di diritto internazionale consuetudinario e sono quindi vincolanti per tutti gli Stati, indipendentemente dal fatto che siano o meno tra i 153 Paesi – compreso Israele che non ha ratificato la Convenzione – ad aver ratificato la Convenzione.

Le misure provvisorie richieste dal Sudafrica per fermare le ostilità, se adottate dalla CIG, saranno legalmente vincolanti. Procedimento separato dal caso già in corso sui Territori occupati. Questa procedura è separata da un altro caso riguardante Israele e Palestina, portato davanti alla CIG dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Un parere consultivo “sulle conseguenze legali delle pratiche e delle politiche di Israele nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est” è stato richiesto alla CIG con una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottata il 30 dicembre 2022, prima dello scoppio dell’attuale conflitto. Questa procedura sarà oggetto di un’udienza pubblica il 19 febbraio 2024, dopo aver ricevuto i rapporti scritti di numerosi Stati.

Per definizione, un parere consultivo non è giuridicamente vincolante. Tuttavia, indica la strada da seguire nel diritto internazionale e costituisce un importante precedente.

2. L’accusa del Sudafrica. Israele sarà condannato per genocidio?

Il Sudafrica basa la sua accusa su due elementi. Uno è la condotta di Israele, citando una grande quantità di statistiche sugli attacchi indiscriminati e sproporzionati contro le infrastrutture civili, nonché sulla fame, sull’enorme numero di vittime e sulla catastrofe umanitaria nella Striscia: statistiche terrificanti che il pubblico israeliano conosce a malapena, perché i media più diffusi non le riportano. Il secondo e più difficile elemento da dimostrare è l’intento. Il Sudafrica sta cercando di dimostrare l’intento attraverso nove pagine fitte di riferimenti a citazioni di alti funzionari israeliani, dal presidente al primo ministro, ai ministri del governo, ai membri della Knesset, ai generali e al personale militare. sono più di 60 le citazioni – citazioni che parlano di sradicare Gaza, di appiattirla, di sganciare una bomba atomica e di tutte le cose che ci siamo abituati a sentire negli ultimi mesi. La sintesi di questi dati e la valutazione della situazione umanitaria nella Striscia di Gaza permettono di stabilire il contesto in cui la Corte di giustizia potrebbe indicare misure temporanee che chiedono la sospensione delle operazioni militari israeliane a Gaza.

Ad oggi, i casi in cui il crimine di genocidio è stato riconosciuto e perseguito da tribunali internazionali sono soltanto tre: il  genocidio cambogiano  compiuto dai Khmer Rossi alla fine degli anni Settanta, il  genocidio in Ruanda  del 1994 e il  massacro di Srebrenica  in Bosnia nel 1995. Nel corso degli ultimi decenni, dal 1948 a oggi, ci sono stati ovviamente molti altri casi di massacri che potrebbero far pensare a un genocidio, ma nessuno è stato definito come tale perché non è stato possibile stabilire con sufficiente certezza nei tribunali internazionali che i crimini sono stati compiuti con «l’intenzione» di distruggere un gruppo. Per esempio, nel 2003 in Darfur, una regione separatista del Sudan, le milizie fedeli all’allora presidente Omar al Bashir misero in atto una campagna di pulizia etnica in cui furono uccise circa 300 mila persone. Molti paesi, compresi gli Stati Uniti, parlarono di genocidio, e ancora oggi è piuttosto comune sentir parlare del “genocidio in Darfur”. Ma nel 2005 una commissione dell’ONU  stabilì  che il governo del Sudan non aveva «perseguito una politica di genocidio», anche se alcuni individui, compresi funzionari del governo, avevano agito con «intenti genocidari».

3. La difesa del team legale di Israele

Durante la difesa, il team legale israeliano ha preferito non affrontare per punti i presunti singoli crimini di cui è stato accusato, non fornendo prove per smontarli ma insistendo sul ruolo di Hamas e sulla ferocia del 7 ottobre come ragione di autodifesa. Le porte del tribunale si sono chiuse in attesa di una decisione su cui peseranno gli equilibri di potere: lo dicono i numeri, nel 90% dei casi i 15 giudici – indipendenti ma nominati dai rispettivi governi – votano in linea con le posizioni dei propri paesi. E all’Aja oggi siedono tanti
alleati di Israele.

4. Da chi sono rappresentati i due Stati al processo della Corte Internazionale di Giustizia

Il nuovo Sudafrica si presenta come la punta di diamante della comunità internazionale per quanto riguarda il rispetto del diritto internazionale. È forse l’unico Paese al mondo che ha sancito il diritto internazionale come principio. La delegazione sarà guidata da Dikgang Moseneke, un alto magistrato che è stato giudice della Corte costituzionale e vicecapo della giustizia sudafricana. Moseneke è stato un attivista anti-apartheid che ha trascorso 10 anni in prigione a Robben Island, quando anche Nelson Mandela era lì incarcerato. Il capo del team legale sudafricano è il professor John Dugard, che è bianco ed è stato anche un oppositore del regime. Ha fondato il più importante istituto legale che ha lottato contro l’apartheid negli anni ’70 ed è stato relatore speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati negli anni 2000: conosce molto bene l’occupazione israeliana. Di recente ha pubblicato un’autobiografia in cui afferma che nel corso della sua vita ha vissuto tre apartheid: il primo in Sudafrica, il secondo in Namibia e il terzo in Israele e nei territori occupati. La nomina di Aharon Barak – ex presidente della Corte suprema israeliana – a capo della delegazione di giuristi inviata da Israele all’Aia sta facendo discutere in Israele. Questo giurista esperto è stato criticato dagli alleati del Primo Ministro per essersi opposto alla sua riforma del sistema giudiziario del Paese. Interessante la scelta dell’avvocato britannico, Malcolm Shaw per presentare la sua difesa. Shaw è un professore di diritto internazionale, uno dei massimi esperti mondiali in materia. Negli anni ’80 ha scritto un libro intitolato in modo molto creativo “Diritto internazionale”, che è stato poi ripubblicato sei volte.

5. Possibili scenari

Le misure provvisorie della CIG non sono solo legalmente vincolanti, ma hanno anche una forte dimensione simbolica. Tuttavia, è responsabilità degli Stati attuare le decisioni della Corte. Poiché la CIG non dispone di mezzi coercitivi per far rispettare i suoi verdetti, rimane solo un meccanismo di applicazione se un Paese rifiuta un verdetto: chiedere al Consiglio di sicurezza di approvare una risoluzione.

* Analista Geopolitica specializzata in Medioriente e Africa subsahariana. Specializzata in terrorismo internazionale. Esperta in Diritto delle Migrazioni e Diritti Umani. Collaboratrice ONU.
*Avvocato classe 1993, founder Catera Studio Legale.

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