Sui redditi prodotti all’estero: case study
Accade sempre più frequentemente che un cittadino italiano si rechi a lavorare all’estero.
Può essere il caso di una donna italiana che a Marzo 2015 decide di trasferirsi nel sud della Germania per motivi di lavoro. La donna provvede quindi a fare il permesso di lavoro registrandosi con la residenza fiscale anche in Germania senza però iscriversi all’AIRE (Anagrafe Italiani residenti all’estero). L’azienda ove presta la sua attività la trasferisce nella sede Svizzera del cantone tedesco con un ruolo impiegatizio.
Lei prende casa in affitto ad Aprile 2015 in Germania. Dopo un anno, la stessa si trova in una condizione di assoluta precarietà in attesa del rinnovo del suo contratto, ma nel frattempo continua a pagare le tasse sul reddito e altre tasse sociali qui in Germania e a percepire redditi di lavoro in Svizzera.
Stiamo parlando, come si è compreso, del problema della tassazione dei redditi prodotti all’estero.
In prima battuta occorre farsi carico di stabilire quali sono i presupposti in presenza dei quali la residenza fiscale permane in Italia.
L’art. 2, comma 2, TUIR, elenca tre condizioni fra loro alternative: l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente , l’avere nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza civilisticamente parlando.
Ai fini della determinazione della base imponibile in seguito l’art. 3 al comma 1 distingue tra residenti e non residenti.
Ai primi si applicherà il principio cd worldwide principle taxation (tassazione dei redditi ovunque prodotti) mentre ai secondi il principio di territorialità del reddito (tassazione dei soli redditi prodotti nel territorio dello Stato).
In conseguenza di ciò il soggetto residente all’estero potrebbe essere assoggettato ad una doppia tassazione temporanea.
Ferma restando la concessione di un credito d’imposta per le eventuali tasse pagate all’estero, per quanto stabilito dall’art. 165 del TUIR .
Precipuo strumento di risoluzione delle ipotesi di doppia residenza sono le cosiddette “tie breaker rules” (articolo 4, paragrafo 2, Convenzione Italia-Germania e Italia-Svizzera ), che impongono di considerare, nell’ordine, la disponibilità di un’abitazione permanente, il centro degli interessi vitali, il luogo di soggiorno abituale, la nazionalità.
Tale ultima disposizione va coordinata con il disposto dell’art 15 della predetta Convenzione in base alla quale i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni ricevute, in corrispettivo di un attività dipendente , da un residente Ue ,sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente .
A ciò si aggiunge che ,a differenza delle altre convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, la Germania e la Svizzera regolamentano anche la particolare fattispecie della “residenza parziale” durante l’anno fiscale considerato.
In ottemperanza al Protocollo d’Intesa (punto 3 della Convenzione) il soggetto Ue sarà nel contempo residente in uno Stato per una frazione d’anno e nell’altro Stato per la restante (cd cambio di residenza).
In conclusione la contribuente dovrà considerarsi fiscalmente residente in Germania e dovrà da marzo 2015 denunciare i redditi da lavoro dipendente solo ed esclusivamente in Germania con riferimenti ai redditi quivi prodotti
Quanto all’Italia ,non avendo prodotto alcun reddito nel Paese ,non sarà tenuta a dichiarare alcunché.
Peraltro si auspica l’ introduzione di nuovi strumenti finalizzati a prevenire l’insorgere di contestazioni, conferendo cosi alla materia tributaria quella certezza che ,sembra, si stia allontanando sempre più.
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Michela Gaiaschi
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