Sul rapporto tra atti persecutori e omicidio aggravato

Sul rapporto tra atti persecutori e omicidio aggravato

Con sentenza n. 38402 depositata il 26 ottobre 2021, le Sezioni Unite penali hanno risolto una questione da tempo oggetto di contrasto giurisprudenziale, in merito al rapporto tra il delitto di omicidio aggravato di cui all’art. 576 c.1 n. 5.1 c.p. e quello di atti persecutori disciplinato dall’art. 612-bis c.p.

Prima di entrare nel merito, è fondamentale analizzare le due norme in questione e i concetti che hanno riguardato il contrasto.

L’art. 612-bis c.p. – che apre con una c.d. clausola di salvaguardia (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) – punisce chi, “con più con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

Il motivo del contrasto giurisprudenziale origina dall’esigenza di comprendere il rapporto tra questa fattispecie penale e l’ipotesi aggravante, del reato di omicidio, di cui all’art. 576 c.1 n. 5.1 c.p, il quale sancisce l’applicazione dell’ergastolo, se l’omicidio è commesso nei confronti della stessa persona offesa dall’autore del delitto di cui all’art. 612-bis c.p.

Ebbene, la giurisprudenza si è interrogata sulla sussistenza o meno, tra le due norme, di concorso di reati.

Appare opportuno premettere che il concorso di reati si verifica qualora un soggetto – tramite una pluralità di azioni/omissioni (c.d. concorso materiale) o con una sola azione/omissione (c.d. concorso formale) – violi più norme incriminatrici. Nel primo caso, la conseguenza sarebbe l’applicazione del c.d. cumulo materiale, ossia l’irrogazione delle pene previste per ciascuno dei delitti commessi. Nel caso, invece, del concorso formale, si applicherebbe il c.d. cumulo giuridico, e, dunque, l’applicazione prevista per il reato più grave aumentata sino al triplo.

Secondo un primo orientamento, gli atti persecutori mantengono una loro autonoma rilevanza, non sussistendo alcun rapporto interferente tra i due delitti. Con la previsione di cui all’art. 576 c.1 n. 5.1 c.p., infatti, il legislatore avrebbe attribuito all’elemento aggravante una connotazione legata alle caratteristiche del soggetto agente e non alla modalità della condotta esecutiva. In tal caso, se le condotte reiterate di cui all’art 612-bis c.p. sfociassero nell’omicidio della stessa vittima, si avrebbe concorso di reati.

Di differente parere altra giurisprudenza, secondo cui il reato di atti persecutori non trova alcuna autonoma applicazione nei casi in cui l’omicidio avvenga al culmine di una serie di condotte persecutorie. Pertanto, secondo tale tesi, il reato di atti persecutori si dovrebbe ritenere assorbito nella fattispecie di omicidio aggravato ex art. 576 c.1 n. 5.1 c.p., il quale avrebbe, quindi, natura di reato complesso.

Il reato complesso, disciplinato all’art. 84, 1 comma, c.p., si ha quando la legge considera come elementi costituitivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per sé stessi, reato. In tal caso, non si verificherebbe il concorso di reati.

Rimessa la questione alle Sezioni Unite penali, queste ultime hanno affermato che «la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma di delitto aggravato ai sensi degli artt. 575, 576, comma primo, n. 5.1, cod. pen. – punito con la pena edittale dell’ergastolo – integra, in ragione dell’unitarietà del fatto, un reato complesso ai sensi dell’art. 84, primo comma, cod. pen.»

L’unitarietà dell’azione, presupposto necessario, consiste nella contestualità spazio-temporale tra i singoli fatti, nonché nel legame finalistico tra gli stessi. Nello specifico, la dottrina ritiene che sussista l’unitarietà dell’azione qualora i fatti siano riconducibili alla medesima matrice ideologica.

In conclusione, nel momento in cui la morte di una persona sia stata commessa dallo stesso soggetto autore delle condotte di atti persecutori, e qualora i due fatti siano legati dal presupposto dell’unitarietà, la condotta di “stalking” sarà considerata come aggravante del reato di omicidio, con la conseguente applicazione della pena dell’ergastolo.


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Dottoressa in Giurisprudenza abilitata alla professione forense. Ha conseguito un Master in Studi e Politiche di Genere, con una tesi sulla diffusione non consensuale di materiale intimo. Crea contenuti legali per Chayn Italia ed è membro della Redazione de Il ControVerso. Scrive di diritto e tematiche di genere.

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