Sulla mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione obbligatoria

Sulla mancata partecipazione senza giustificato motivo alla mediazione obbligatoria

L’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 elenca le materie per le quali è previsto il preventivo esperimento della mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale (diritti reali, condominio, locazione, richieste di risarcimento danni da diffamazione, comodato, contratti finanziari, assicurativi, bancari, ecc.). Secondo i dati del Ministero della Giustizia – Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa, dal 1° Gennaio 2014 al 31 Marzo 2017 la percentuale di comparizione dell’aderente nei procedimenti definiti è salita dal 41,0% al 48,4%, configurandosi i patti di famiglia e le successioni ereditarie le materie con il più elevato tasso di partecipazione, mentre la percentuale più bassa si è registrata in tema di contratti assicurativi. Tuttavia, è interessante notare come, al primo trimestre 2017, la percentuale di aderenti non comparsi sia comunque molto elevata, e precisamente al 47,7%.

L’art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010 dispone che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Sul presente tema, la sentenza del Tribunale di Roma del 10.07.2014, Giudice Dott. Cons. Massimo Moriconi, ha tratteggiato i contorni della presente questione in maniera assai realistica: “La mancata partecipazione al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata dal giudice), senza alcuna giustificazione fornita dalla parte e senza che dagli atti del giudizio appaia la incontrovertibile macroscopica evidenza, per motivi di fatto o di diritto, o di entrambi, della inutilità o della impossibilità di riuscita della mediazione, costituisce condotta grave perché idonea a determinare la introduzione o l’incrostazione di una procedura giudiziale (evitabile) in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi”…a causa della “imponente mole di cause iscritte nei tribunali e nelle corti”; tuttavia, continua “…lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta nell’ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale) ai fini dell’accertamento del fatto…Ciò detto si ritiene poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa”.

Tale orientamento conferma in parte quello precedente della Suprema Corte, il quale, configurandosi come maggiormente estensivo della portata dell’art. 116 c.p.c., individua, in base alle circostanze del caso concreto, la mancata comparizione della parte chiamata in mediazione obbligatoria o demandata dal giudice come possibile “unica e sufficiente fonte di prova” (Cass. Civ., sez. III, 16.07.2002, n. 10268).

In ogni caso, le statistiche ufficiali sopra riportate dimostrano un incoraggiante aumento di comparizione dell’aderente e, quindi, di probabilità di successo del tentativo di mediazione, soprattutto alla luce della ratio di tale percorso, ovvero quello di configurare una chance di raggiungimento dell’accordo tra le parti, il quale presuppone un’effettiva sessione di mediazione. L’obbligatorietà prevista dall’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010, non può dunque configurarsi quale mero adempimento burocratico, poiché la sua finalità ne sarebbe irrimediabilmente svilita, bensì quale fondamentale rimedio alla sistemica crisi nei tempi di definizione dei procedimenti giudiziari che affligge le aule di giustizia italiane, generando ostacolo alla crescita economica, oltre a dar vita a sistematiche violazioni del termine di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU.


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