Sulla responsabilità dell’appaltatore per rovina dell’edificio: a margine delle Sezioni Unite n. 7756/2017
Il contratto di appalto è regolato dagli artt. 1655 ss. c.c.. In particolare, l’art. 1655 c.c. definisce l’appalto come “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. Trattasi, dunque, di contratto nella grande maggioranza dei casi stipulato intuitu personae, da cui genera un rapporto obbligatorio, tipicamente oneroso, nel quale l’appaltatore è tenuto ad organizzare in autonomia i propri mezzi orientandoli al perseguimento di uno scopo specifico dedotto nel contratto. L’appalto può, dunque, essere pacificamente definito come fonte di un’obbligazione cd. di risultato e non di attività, poichè sull’appaltatore grava l’obbligo di fornire il servizio o realizzare l’opera richiesta, non quello di prestare una determinata quantità di lavoro.
L’appaltatore, dunque, assume i rischi inerenti alla realizzazione dell’opera e, sotto questo profilo, il Codice detta una peculiare disciplina dei casi nei quali questi è tenuto a garantire per i vizi o difformità dell’opera. Infatti, l’art. 1667 c.c. pone a carico dell’appaltatore un’obbligazione ulteriore rispetto a quella principale di realizzazione dell’opera: egli è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera, ad eccezione dei casi in cui il committente abbia accettato l’opera nonostante i vizi fossero da lui conosciuti o conoscibili. Ordunque, ai fini dell’operatività del disposto di cui al comma 1 dell’art. 1667 c.c., occorre che il committente denunzi le difformità entro sessanta giorni dalla scoperta, e l’azione si prescrive nel termine di due anni dalla consegna. Se convenuto in giudizio per il pagamento dell’attività dell’appaltatore, il committente può tuttavia far valere la garanzia quand’anche il termine di sessanta giorni sia già decorso.
Con riguardo al contenuto della garanzia, essa prevede che la rimozione dei vizi o delle difformità avvenga a spese dell’appaltatore o che il prezzo stabilito in sede contrattuale per la realizzazione dell’opera sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno quando ricorra la colpa dell’appaltatore. Tuttavia, la stessa norma stabilisce che, quando i vizi o le difformità dell’opera siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente possa richiedere la risoluzione del contatto.
L’art. 1669 c.c. disciplina l’ipotesi degli edifici o delle altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata: se queste rovinano in tutto o gran parte nel corso di dieci anni dal compimento per vizio del suolo o per difetto di costruzione, ovvero presentano pericolo evidente di rovina, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa purché la denunzia dei vizi avvenga entro un anno dalla scoperta. Ebbene, tale ipotesi di responsabilità si distingue nettamente rispetto a quella prevista dall’art. 1667 c.c.. Se l’art. 1667 c.c. trova applicazione generale per qualsiasi opera realizzata dall’appaltatore, la disposizione di cui all’art. 1669 c.c. è al contrario circoscritta agli edifici o ad altri beni immobili di durata. Non solo. L’art. 1669 c.c., sebbene sia inserito fra le norme che regolamentano il contratto di appalto, descrive un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale piuttosto che contrattuale: a tale dimostrazione soccorre la finalità di ordine pubblico e di tutela della pubblica incolumità della norma ex art. 1669 cc, oltre che il termine lungo (decennale) cui la garanzia dell’appaltatore è sottoposta, cosicché la responsabilità dell’appaltatore supera di gran lunga i confini temporali del rapporto contrattuale che lega quest’ultimo al committente. Potrebbe, pertanto, ragionevolmente sostenersi che la responsabilità di cui all’at. 1669 c.c. si pone come species del più ampio genus di responsabilità previsto dall’art. 2043 c.c..
Le considerazioni suesposte debbono ora confrontarsi su un tema piuttosto caldo ove dottrina e giurisprudenza si sono divise sino all’intervento delle Sezioni Unite con sentenza n. 7756/2017: le questioni avanzate in merito all’art. 1669 c.c. riguardano più precisamente la delimitazione dell’ambito di operatività della norma ex art. 1669 c.c.. Secondo una prima teoria, infatti, la norma trova applicazione soltanto nei casi in cui l’appaltatore abbia realizzato una nuova opera; viceversa, altra tesi, più estensiva, ritiene invocabile l’art. 1669 c.c. anche nei casi di interventi di carattere manutentivo – modificativo che debbano avere lunga durata nel tempo.
Ebbene, la Corte Suprema a Sezioni Unite nella sentenza poc’anzi citata mostra di aderire all’orientamento meno restrittivo e prevalente in giurisprudenza per una serie di ragioni storiche e teleologiche. Il massimo consesso ha invero affermato che i gravi difetti dell’opera possano riguardare anche elementi secondari ed accessori, come i pavimenti o le impermealizzazioni, tali però da compromettere la funzionalità dell’opera intera. Così, i “gravi difetti” cui il testo dell’art. 1669 c.c. fa riferimento utilizzando un termine dal significato grandemente elastico sono stati nel tempo tipizzati dalla giurisprudenza che vi ha ricondotto un vasto numero di difetti (si vedano le pronunce sui crolli dell’intonaco esterno dell’edificio, sull’inefficienza dell’impianto idrico, ovvero sulle infiltrazioni d’acqua nei muri). Si tratta, a ben vedere, di difetti che compromettono il godimento del bene secondo la sua propria destinazione, cosicché la dichiarata eccezionalità della disposizione di cui all’art. 1669 c.c. non è valsa ad arginare l’arricchimento applicativo della nozione di “grandi difetti“, talvolta sfociato nel riconoscimento della responsabilità dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1669 c.c. anche in ipotesi di vizi non effettivamente compromettenti il godimento dell’immobile.
Quel che conta, stando al ragionamento effettuato dalla Corte, è evitare tuttavia fuorvianti distinzioni di trattamento per i vizi inerenti al fabbricato iniziale ovvero alla ristrutturazione edilizia considerando, peraltro, che l’utilizzo del termine “costruzione” all’interno della norma oggetto d’attenzione vale ad intendere l’attività costruttiva in sé, non l’opera in senso oggettivo.
L’eventuale inapplicabilità dell’art. 1669 c.c., comunque, non esclude, ricorrendone i presupposti, l’applicabilità del sistema di garanzia di cui all’art. 1667 c.c. che, ha una portata più ampia e generale.
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Sabrina Dellisanti
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