Sulla tutela del comproprietario nei confronti del comunista detentore dell’immobile

Sulla tutela del comproprietario nei confronti del comunista detentore dell’immobile

Nel caso di apertura di una successione, viene talvolta a crearsi una comunione ereditaria, la quale si caratterizza per la contitolarità del diritto a godere di un bene comune pro quota, da parte dei coeredi.

Quest’ultimo principio trova un valido riscontro legislativo nell’articolo 1102 del C.c., il quale espressamente sancisce che ciascun comproprietario possa servirsi del bene comune, purché non impedisca agli altri di farne un uso eguale, secondo il proprio diritto. Da ciò si evince il tentativo del legislatore di tutelare tutti i soggetti che siano titolari di un diritto nei confronti del medesimo bene.

In altre parole, è consentito l’uso integrale del bene da parte di uno soltanto, ma con il limite di non impedire agli altri comunisti di goderne parimenti. Peraltro, tale uso esclusivo, per essere consentito anche agli altri, deve trovare una alternanza temporale.

Analizzando il caso in cui uno soltanto si appropri del bene in comunione, non v’è chi non veda che si stia compiendo un abuso del proprio diritto da parte di uno solo dei comproprietari, poiché di fatto esclude gli altri dal godimento del bene in comunione. Dunque, gli altri eredi subiscono un danno dal comportamento del comunista de quo.

Alla luce di quanto testé, in nessuna maniera può considerarsi giustificabile il comportamento tenuto in concreto dal soggetto. Il tutto, peraltro, non trova giustificazione neanche nell’ipotesi in cui lo stesso comunista abitasse, in qualità di convivente, l’abitazione de qua, prima della scomparsa dei genitori, proprietari originari della medesima. Egli, infatti, ricoprendo lo status di convivente, aveva un diritto di detenzione qualificata ma precaria, in virtù di un negozio giuridico di tipo familiare, concluso per fatti concludenti (Cass. 7214/2017; Cass. 7/2014).

Quanto sopra, però, alla morte dei genitori, non può più considerarsi accettabile poiché il rapporto familiare “atipico”, che si richiama, è ormai sciolto a seguito della dipartita del proprietario originario. In ogni caso, il rapporto richiamato è destinato a cessare a seguito delle richieste avanzate dai coeredi.

Oltretutto, nel caso in cui manchi un consenso, esplicito o tacito, da parte dei coeredi, a nulla può appellarsi l’erede che detenga il bene oggetto di disamina.

È intenzione, in tale sede, porre in evidenza che il godimento esclusivo di un bene in comunione provoca un danno, sotto l’aspetto del lucro cessante, per la mancata percezione dei frutti civili dell’immobile, commisurati al valore figurativo di un ipotetico canone locatizio di mercato, agli altri coeredi (Cass. 5504/2012; Cass. 17876/2019).

In conclusione a tale ragionamento, è lapalissiana la violazione della normativa relativa alla comunione di un immobile, perciò il comunista che occupi la casa deve pagare un giusto canone di locazione pro quota agli altri.

Gli altri comunisti hanno, per le ragioni esposte, a propria disposizione, una tutela di tipo risarcitorio, per il mancato guadagno di un eventuale canone di locazione, ed una tutela ai fini del recupero del possesso del bene, oggettivamente violato.


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Dott. Antonio D'Atteo

Laureato presso l'Università di Foggia, con tesi in Diritto Processuale Amministrativo dal titolo "Ordine di trattazione del ricorso principale e ricorso incidentale", attualmente praticante in diritto del lavoro e diritto tributario

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