Sull’annullamento del provvedimento amministrativo

Sull’annullamento del provvedimento amministrativo

Sull’annullamento del provvedimento amministrativo. Una lettura sistemica e critica degli articoli 21 octies e nonies della legge 241/90

Per dare una lettura sistematica dei due articoli in discussione, cominciamo dai loro dispositivi normativi.

Dispone l’articolo 21 octies: È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10 bis.

Molto in sintesi in riferimento al concetto generale dell’invalidità del provvedimento, esso si articola essenzialmente in due forme: la nullità (v. art. 21 septies, che concerne le difformità più eclatanti dell’atto rispetto al paradigma normativo, e l’annullabilità, che riguarda invece profili invalidanti di minor gravità. Conseguenza comune è l’inefficacia dell’atto, automatica qualora venga accertata la nullità; necessitante una apposita pronuncia giudiziale nei casi di annullabilità.

Differente è invece la mera irregolarità, derivante da mere deviazioni rispetto alle formalità dell’atto previste dalla legge, o comunque divergenze del tutto marginali rispetto alla funzione dell’atto.

L’annullabilità è la forma meno grave , di invalidità dell’atto amministrativo. Tuttavia, gli effetti dell’atto continuano a dispiegarsi sino a che non sopraggiunga una pronuncia giurisdizionale di annullamento, con efficacia ex tunc ed il conseguente travolgimento di tutti gli effetti prodotti nel frattempo.

Per quanto riguarda i singoli vizi:

– l’incompetenza consiste nella violazione di una norma organizzativa diretta ad allocare le singole potestà amministrative in seno ai diversi organi competenti. Causa di annullabilità può essere solamente la c.d. incompetenza relativa, e non l’incompetenza assoluta (coincidente con il difetto assoluto di attribuzione, che dà luogo a nullità dell’atto.

– l’eccesso di potere descrive invece uno sviamento tra il contenuto oggettivo di un provvedimento e la causa che ne rappresenta, o ne dovrebbe rappresentare, il fondamento. Esso è il vizio tipico dell’esercizio del potere discrezionale, che si configura quando la p.a. utilizzi il potere per fini ed interessi personali, oppure quando l’interesse pubblico viene perseguito con uno strumento diverso da quello previsto dalla legge. L’eccesso di potere prescinde ad ogni modo dalla volontà e dalla consapevolezza della p.a.;

– la violazione di legge, di carattere residuale, ricomprende invece tutti i vizi di legittimità e le violazioni di norme comunitarie che non rientrano nelle altre due categorie.

Particolarmente rilevante il fatto che sia annullabile in provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10 bis.

Dispone l’articolo 21 nonies: 1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. 2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

L’annullamento d’ufficio, unitamente alla revoca del provvedimento amministrativo, (art. 21 quinquies) costituiscono ipotesi in cui l’amministrazione agisce in autotutela.

Tale potere si esercita tramite l’adozione di provvedimenti di secondo grado, con cui l’amministrazione incide su precedenti provvedimenti emessi dalla p.a.

L’impostazione dottrinale preponderante descrive l’autotutela come la potestà dell’amministrazione di “farsi ragione da sé”, fatto salvo comunque ogni sindacato giurisdizionale ex art. 113 Cost..

In via di principio, l’autotutela consiste nella possibilità attribuita alla p.a. di risolvere autonomamente vari conflitti, attuali o potenziali intercorrenti con i terzi, senza la necessità di alcun intervento giurisdizionale.

Si distingue solitamente tra: autotutela spontanea, quando la p.a. interviene d’ufficio sui propri provvedimenti, dopo essersi avveduta della sussistenza di profili di invalidità o inopportunità; autotutela necessaria, di cui fanno parte i controlli; autotutela contenziosa, la quale coincide con il potere di decidere sui ricorsi amministrativi; autotutela esecutiva, come esplicazione del potere di esecutorietà( 21 ter).

L’autotutela è espressione del medesimo potere di amministrazione attiva di cui al precedente provvedimento, dato che consiste in una semplice rivalutazione dell’originaria valutazione che ha condotta la p.a. ad adottare il provvedimento iniziale.

Ai sensi dell’articolo in esame, il provvedimento illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza può essere annullato d’ufficio per: sussistenza di ragioni di interesse pubblico; esercizio del potere entro un termine ragionevole; considerazione dell’interesse dei destinatari del provvedimento e degli eventuali controinteressati.

L’annullamento in autotutela non è dunque ammissibile per meri motivi di legittimità, come invece accadrebbe su ricorso del privato ritenutosi leso dall’agire amministrativo.

Il fondamento dell’annullamento d’ufficio deve invece rinvenirsi innanzitutto nell’interesse pubblico, dato che anche l’atto illegittimo può meritatamente perseguire l’interesse pubblico, ritenuto di primaria importanza in questi casi.

Inoltre, come espressamente disposto dal comma 1, non è ammissibile l’annullamento in autotutela degli atti che, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, non sono suscettibili di essere annullati in sede giudiziale.

La p.a. competente deve dunque prima di tutto valutare se il provvedimento sia suscettibile di annullamento per violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere, esclusi i casi di vizi non invalidanti di cui al comma 2 dell’art. 21 octies; in seguito, una volta accertata l’astratta illegittimità, valutare se non sussistano ragioni ostative all’annullamento sotto il profilo del lasso di tempo trascorso e degli interessi coinvolti.

Per quanto concerne il termine ragionevole, esso è chiaramente posto a tutela del legittimo affidamento nutrito dal privato destinatario del precedente provvedimento, consolidatosi con il decorso del tempo. Pur non essendo precisato un termine rigido, è chiaro che il potere di annullamento decresce con il passare del tempo.

La norma prevede invece un termine fisso in relazione all’annullamento di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, stabilito in diciotto mesi, dato dalla tutela dell’affidamento e degli interessi economici del destinatario delle attribuzioni.

In ogni caso, qualora tali attribuzioni di vantaggi economici siano conseguenza di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni false o mendaci costituenti reato, il termine di diciotto mesi non opera.

Per quanto concerne la convalida, essa costituisce un’ipotesi di riesame con esito conservativo, in cui la rimozione dell’atto soccombe rispetto alla necessità di tutelare l’interesse pubblico, sempre entro un termine ragionevole.

La convalida rappresenta un provvedimento di secondo grado tramite il quale la p.a. riconosce che un vizio inficia un proprio provvedimento e lo rimuove.

Per quanto riguarda la competenza in tema di convalida, essa spetta sia alla p.a. che ha emanato l’atto, sia eventualmente all’autorità gerarchicamente superiore, mentre non spetta all’amministrazione che con l’adozione del provvedimento ha consumato il proprio potere.

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Una volta chiariti gli aspetti tecnici dei due articoli, è essenziali ricondurli ad una lettura simmetrica nell’ambito dei principi generali della legge sul procedimento amministrativo, per come cristallizzati nell’articolo 1 della legge 241/90.

Essi non devono essere visti come “dichiarazioni di intenti teoriche e auspicabili” ma devono essere più correttamente essere intesi in tre direzioni, simmetriche e parimenti sussistenti e prioritarie.

In una prima direzione, come scopo ultimo della norma, ovvero ciò cui l’intera legge tende e ciò che il disegno complessivo dell’impianto normativo ha oggetto di rendere concreto.

In una seconda direzione, come criterio di interpretazione autentico della declinazione procedimentale, ovvero come quel faro che indica il significato del procedere in un certo modo, e dello scopo concreto di un (ogni) singolo istituto.

In una terza direzione, come criterio integrativo. Non potendo infatti immaginarsi una legge che disciplini “qualsiasi” caso di procedimento di “qualsiasi” amministrazione” ed in qualsiasi momento essa si esplichi, l’articolo 1 indica ad integrazione di quanto non previsto la via maestra da seguire: la migliore prassi e contegno e comportamento che retto ed orientato a criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.

Le tre direzioni indicate non sono alternative, né possono essere “scelte” di colta in volta, men che meno parzialmente, ma sono tre linee simmetriche, parallele e ineludibili. Solo così può darsi un significato che – lungi dall’essere meramente teorico e di principio – possa trovare un senso (nell’accezione filologica di direzione oltre che di significato) in una legge sul procedimento amministrativo, forse il più concretamente pragmatico.

Con questa prospettiva la legge sul procedimento amministrativo ha indicato nei vizi di incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge i tre profili che determinano (anche uno soltanto) l’annullabilità dell’atto.

Tali profili sono perfettamente coerenti con l’obiettivo di dare concretezza ai principi dell’agire amministrativo di cui all’articolo 1 richiamato.

Trasversalmente il caso di “eccesso di potere” va visto non solo nella sua dimensione statica-topografica, ovvero l’aver travalicato un confine “territoriale funzionale” (rientrante maggiormente nella incompetenza) da parte del responsabile del procedimento, ma anche dinamica, in termini di competenze ed approccio.

In questo caso l’eccesso di potere si configura indubbiamente anche in tutti quei casi in cui il responsabile del procedimento travalichi i confini ad esempio di una valutazione amministrativa per entrare nel merito di valutazioni tecniche; ciò avviene anche quando l’atteggiamento procedimentale acquisisce i connotati concreti di processo inquisitorio, in cui si confondono nella medesima figura il valutatore, il giudice e spesso l’accusa.

Il punto di maggiore rilevanza è quel profilo di “violazione della legge” che sin troppo spesso può essere rilevato solo in sede giurisdizionale, anche quando ciò è prima facie manifesto.

Si pensi proprio al caso della violazione degli articoli 2 e 10 bis, dove “i fatti” cono immediatamente verificabili. O si è andati oltre il termine o si è nei termini: il calendario fa prova in sé; o si è dato completo riscontro o non lo si è dato.

In questi casi – nell’interesse pubblico, nell’obbligo di non aggravare il procedimento, nel rispetto dell’economicità, solo per citare alcuni principi – sarebbe appunto auspicabile un “ripensamento”: un annullamento in autotutela volto a garantire l’efficienza dell’agire amministrativo che interviene a non gravare anche la stessa pubblica amministrazione di oneri legali, spese, danni, e non gravare in modo spesso vessatorio nei confronti dell’istante.

Da ostacolo alla piena attuazione ed applicazione del rimedio ex art. 21 nonies è nella massima parte dei casi il combinato disposto tra il non ammettere individuale del responsabile del procedimento del proprio errore, insieme con la certezza del on dover rispondere dell’aggravamento del procedimento, la certezza di non pagare in prima persona per la comparsa in giudizio, e la deresponsabilizzazione di delegare la decisione al giudice amministrativo (come a dire io resto convinto della mia posizione e se annullo è solo per adempiere al disposto del giudice amministrativo).

Il caso dell’articolo 21 nonies si presenta ancora una volta come uno degli strumenti posti a disposizione della PA da parte del legislatore per adempiere in concreto ai principi di cui all’articolo 1 e che troppo spesso – per ragioni tutt’altro che procedimentali – diviene sterile per non uso.

Solo un ripristino della “legalità in concreto”, attraverso l’introduzione di indici di performance oggettivi (e quindi con valutazioni da parte del responsabile dell’ufficio) può determinare un’inversione di tendenza, e dare concreta attuazione all’articolo 1, anche tramite l’utilizzo dell’articolo 21 nonies, al cui ricorso tropo spesso – in concreto – il responsabile del procedimento è demotivato a fare ricorso.

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In appendice a quanto sin qui detto è utile proporre – in maniera affatto esaustiva e completa – almeno una prima rassegna di giurisprudenza amministrativa relativamente recente sul tema, così da avere anche un quadro di riferimento talvolta anche della contraddittorietà interpretativa da parte del giudice amministrativo.

TAR Veneto, sez. III, 1 aprile 2019, n. 403
Annullamento, revoca e decadenza accertativa, termine
“Il provvedimento, anche se definito revoca non è tale, quando non è stato adottato per motivi di pubblico interesse  ovvero a seguito del mutamento della situazione di fatto o per inadempimenti successivi alla sua adozione imputabili al ricorrente; né può qualificarsi come atto di “decadenza accertativa”, ricorrendo tale ipotesi nel caso di esercizio di potestà correlata all’accertamento della inosservanza di obblighi che il destinatario del finanziamento si era impegnato ad osservare durante lo svolgimento del rapporto ( e dunque, in buona sostanza, in caso i finanziamento condizionato e quindi precario)-Omissis -Il provvedimento di cui si controverte, in quanto il finanziamento è stato concesso ab origine in violazione di legge (omissis)e, quindi, in assenza dei presupposti previsti dalla normativa, deve qualificarsi come provvedimento di annullamento in autotutela.
Ciò precisato, deve annotarsi che la novella apportata dall’art. 6, I comma, lett. d), n. 1) della legge n. 124/2015 ha modificato l’art. 21-nonies prevedendo, in buona sostanza, che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi” dal momento della sua adozione.   Sul punto la giurisprudenza ha evidenziato come il termine di diciotto mesi entro il quale l’Amministrazione può adottare l’atto di autotutela – introdotto, come si è detto, dalla modifica legislativa di cui alla legge n. 124 del 2015 – non trovi applicazione nei confronti di provvedimenti di autotutela che si siano perfezionati prima dell’entrata in vigore dell’intervento normativo (cfr. CdS. IV 28.3.2018 n.1956). Inoltre, il nuovo termine di diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124/2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 delle preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. Ne consegue che, rispetto a un titolo anteriore all’attuale versione dell’art. 21-nonies, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione”.
Consiglio di Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940
Annullamento d’ufficio e revoca; art.21 nonies, comma 1, Legge n. 241 del 1990; superamento del termine di diciotto mesi per annullare il provvedimento amministrativo illegittimo.
“L’art. 21 nonies,l.7 agosto 1990,n.241, si interpreta nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi  è consentito: a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive, nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b)sia nel caso in cui (l’acclarata) erroneità dei predetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente)all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile di solito alla colpa grave e corrispondente, nella fattispecie, alla mala fede oggettiva )della parte. Nel qual caso – non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa rimotiva – si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco”. (in diritto punto 4.8)
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 2 maggio 2018, n. 2936
Autotutela, termine di diciotto mesi previsto dall’art. 6, l.n.124 del 2015 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio; inapplicabilità in via retroattiva; ragioni.
“Ritiene il Collegio che vada privilegiata l’ impostazione ermeneutica – inaugurata dal Consiglio di stato, sez.V, sentenza 19 gennaio 2017, n.250 e ancora di recente ribadita dal massimo consesso della giurisprudenza amministrativa 8 cfr. da ultimo Consiglio di stato, sez. VI, 13.7.2017, n. 34629 secondo cui Il termine di diciotto mesi previsti dall’art. 6, l. n.124 del 2015 non può applicarsi in via retroattiva nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge citata, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art.11 delle preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. Si arriverebbe, infatti, all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21 nonies, l.n.241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione. E’ fatta salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990.”
TAR Trentino Alto Adige, Sez.I,  1 febbraio 2018, n. 30
Annullamento, autotutela, termine di 18 mesi previsto dalla l.n.124 del 2015, inapplicabilità in via retroattiva nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge.
Il Giudice amministrativo nella decisione in esame rileva che “secondo l’art. 21-nonies,comma 1, “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”. Il Consiglio di Stato si è già pronunciato sulla delicata questione inerente il dies a quo da cui far decorrere il predetto termine di diciotto mesi nel caso in cui l’annullamento d’ufficio riguardi un provvedimento adottato prima dell’entrata in vigore della legge n. 124/2015. In particolare, nella sentenza 19 gennaio 2017, n. 250 il Consiglio di Stato ha affermato che: A) «il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa»; B) «l’eventuale applicazione retroattiva … finirebbe per sottoporre l’esercizio del potere di annullamento ad un termine inferiore rispetto ai diciotto mesi voluti dalla legge, dovendosi inevitabilmente detrarre, in quanto già consumato, il periodo di tempo intercorrente tra l’adozione del provvedimento e la data di entrata in vigore della legge»; C) «tale interpretazione porterebbe, per assurdo, all’irragionevole conseguenza che per i provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso»; D) di conseguenza «rispetto ai provvedimenti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990».
Alla luce di tale giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, risulta evidente che la delibera n. 648/2017 è stata adottata fuori termine. Difatti la legge n. 124/2015 è stata pubblicata nella G.U. 13 agosto 2015, n. 187, ed è entrata in vigore il 28 agosto 2015 e, quindi, il termine di diciotto mesi scadeva il 27 febbraio 2017; invece la delibera n. 648/2017 è stata adottata il 28 aprile 2017 e comunicata il 22 maggio 2017”.
Consiglio di Stato – Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 8
Edilizia, concessione edilizia in sanatoria, annullamento d’ufficio, disposto a distanza di anni dal rilascio della sanatoria, motivazione in ordine all’interesse pubblico comparato con quello del privato, necessità.
Il Giudice amministrativo nella decisione richiamata evidenzia (punto 9.5) che “E’ necessario riconoscere che il legislatore, pur consapevole della gravità e diffusività del fenomeno dell’abusivismo edilizio e della frequente inadeguatezza delle risorse messe in campo dalle amministrazioni locali per fronteggiarlo) non ha tutt’oggi approntato una speciale disciplina in tema di presupposti e condizioni per l’adozione dell’annullamento ex officio di titoli edilizi, in tal modo giustificando un orientamento volto a riconoscere anche in tali ipotesi la generale valenza dell’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990.”
“L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato il seguente principio di diritto (punto 13): “Nella vigenza dell’art. 21 – nonies della l. 241 del 1990 l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.”
“In tale ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
– che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ragionevole per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
– che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in regione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi),
– che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.
Consiglio di Stato, sez. VI 4 ottobre 2017 n.4626
Annullamento provvedimento amministrativo, termine esercizio estremamente tardivo, obbligo di motivazione particolarmente convincente, rapporti fra autotutela e SCIA.
Il Giudice amministrativo ha rilevato (punto 3.1) che “Come è noto, recenti riforme hanno inciso sui presupposti per l’esercizio del potere di autotutela decisoria. L’art. 25, comma 1, lettera b-quater, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito nella legge n. 164/2014, ha modificato l’art. 21-nonies, escludendo la possibilità di procedere ad annullamento d’ufficio nei casi di provvedimenti già non annullabili dal giudice amministrativo nella ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 21-octies, comma 2. La successiva legge n. 124 del 2015 − nel segno di una tendenziale riduzione dei poteri discrezionali dell’amministrazione, al fine di garantire maggiore certezza e stabilità ai rapporti giuridici dei soggetti la cui azione risulta condizionata dalle decisioni amministrative – ha introdotto due importanti modifiche: a) la fissazione del termine massimo di diciotto mesi per la valida adozione dell’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori e attributivi di vantaggi economici; b) la previsione, con il comma aggiunto 2-bis, della possibilità di annullare, anche dopo quel termine, i provvedimenti ottenuti sulla base di dichiarazioni false, ma solo quando la falsità è stata accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato. Sul piano sistematico si assiste ad un vistoso allontanamento dalla tradizionale ricostruzione dell’istituto fondata sull’immanenza ed inesauribilità del potere amministrativo e sull’idea che si tratti di una prerogativa a tutela del solo interesse pubblico ancorato a presupposti necessariamente elastici.”
“Il rafforzamento della tutela dell’affidamento si è manifestata anche nella direzione della ridefinizione dei rapporti fra autotutela e SCIA, con la più rigida perimetrazione dei poteri inibitori e conformativi attribuiti all’amministrazione destinataria della segnalazione. In particolare, l’art. 19, comma 4, della l. n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 6, comma 1, lettera a), della l. 7 agosto 2015, n. 124, stabilisce ora che, decorso il termine ordinario (di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, dello stesso articolo 19), l’amministrazione competente può adottare i medesimi provvedimenti di inibizione e di conformazione in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies. L’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 222 del 2016, ha inoltre chiarito che i diciotto mesi iniziano a decorrere dalla data di scadenza del termine previsto per l’esercizio dei poteri ordinari di verifica da parte dell’Amministrazione competente.”
TAR Molise, 29 settembre 2017, n. 327
Revoca, interesse pubblico, art. 21 quinqiues, l. n. 241 del 1990, individuazione, fattispecie in tema di realizzazione di un progetto di pubblica utilità.
Il Giudice amministrativo fornisce “brevi notazioni sull’istituto della revoca. Come noto, la revoca costituisce un provvedimento amministrativo, di secondo grado, che l’Amministrazione adotta per eliminare dal mondo giuridico, sia pure con effetto ex nunc, un proprio precedente atto.
La legge n. 15/2005, codificando l’istituto in parola mediante l’introduzione nel testo della legge n. 241 del 1990 dell’art. 21-quinquies, ha aggiunto due ulteriori tasselli alla ricostruzione giuridica di esso, prevedendo da un lato l’indennizzo in favore del destinatario del provvedimento di revoca e dall’altro la giurisdizione esclusiva del G.A. per le controversie afferenti la determinazione e la corresponsione dell’indennizzo stesso (ora, peraltro, sancita all’art. 133, comma 1, lett. a), n. 4 dell’art. 133 c.pr.amm).   In particolare, va dato atto che il citato art. 21-quinques ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi, che ne legittimano l’adozione: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per mutamento della situazione di fatto; c) per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.  La revoca di provvedimenti amministrativi è, quindi, possibile non solo in base a sopravvenienze, ma anche per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi)”.
TAR Sicilia – Catania, sez. II, 21 giugno 2017, n.1497
Atto amministrativo, titolo edilizio illegittimo, annullamento, autotutela.
Il giudice amministrativo richiama nella decisione  quanto stabilito  dal Consiglio di Stato con la sentenza 27 gennaio 2017 n. 341, sulle modalità di esercizio del potere di autotutela e sulla portata delle novità introdotte dalla l. 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. “legge Madia”), ed evidenzia che a fronte della consistenza dell’affidamento ingenerato nei destinatari di un titolo abilitativo circa il consolidamento della sua efficacia, l’atto di autotutela, a maggior ragione se adottato a distanza di un lungo lasso di tempo dal rilascio del titolo, deve contenere “una motivazione particolarmente convincente (…) circa l’apprezzamento degli interessi dei destinatari dell’atto (…), in relazione alla pregnanza e alla preminenza dell’interesse pubblico alla eliminazione d’ufficio del titolo edilizio illegittimo”. Il Consiglio di Stato, inoltre, ha altresì stabilito nella citata pronuncia che “Con la precisazione esatta del termine massimo di consumazione del potere di autotutela decisoria, il legislatore ha, infatti, inteso accordare una tutela più pregnante all’interesse dei destinatari di atti ampliativi alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche da essi prodotte, costruendo un regime che garantisca la loro intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento d’ufficio dei relativi titoli “ampliativi” (che diventano, così, non più rimuovibili dall’amministrazione, anche quando illegittimamente adottati). La nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione (ed applicazione) da parte dell’amministrazione, dev’essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche.”
TAR Sardegna – Sez. II – n. 00255 del 12 aprile 2017
Autotutela, art. 21 nonies, legge.n.241 del 1990, adozione entro il termine di 18 mesi introdotto dalla legge n.124 del 2015, esclusione nei rapporti di durata, ragioni.
Nella decisione si rileva che:”nella fattispecie oggetto di giudizio, è stata eccepita “la violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 in quanto il provvedimento di annullamento in autotutela non sarebbe intervenuto, come richiesto dalla legge, entro un termine ragionevole ma ben quattro anni dopo l’adozione dell’atto annullato. E ciò, a maggior ragione, a seguito della modifica introdotta con la legge n. 124/2015, che ha fissato in 18 mesi il limite massimo per l’adozione dei provvedimenti di annullamento in autotutela. Neanche tale argomento è decisivo. L’esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici sottesa dall’art. 21 nonies citato vale, infatti, con riferimento ai provvedimenti amministrativi volti a definire in via immediata l’assetto di interessi tra privati e pubblica amministrazione. Diversa è invece la vicenda di provvedimenti volti a regolamentare, come nella specie, rapporti di durata, in relazione ai quali l’accertamento dell’originaria illegittimità può sempre determinare un intervento in autotutela da parte dell’amministrazione al fine di scongiurare il perpetuarsi di situazioni di pregiudizio – nella specie economico – per l’ente pubblico”.
TAR Campania – Napoli – Sez. II – 11 aprile 2017, n. 1980
Annullamento di un atto endoprocedimentale
“In caso di ritiro di un atto del procedimento non ancora conclusosi con l’adozione del provvedimento finale, l’Amministrazione non è tenuta al rispetto delle regole che governano l’esercizio dei poteri di autotutela , poiché si tratta di un atto endoprocedimentale inidoneo a generare nei privati destinatari posizioni consolidate di vantaggio e di ragionevole affidamento (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 2 febbraio 2009 n. 526 e 18 settembre 2002 n. 4751; Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003 n. 1457; TAR Sicilia Catania, Sez. I, 18 novembre 2011 n. 2715; TAR Sardegna, Sez. I, 12 giugno 2009 n. 976)”.
TAR Lazio – Roma – Sez. II bis -7 marzo 2017 n. 3215
Annullamento, autotutela, termine massimo previsto dall’art. 21 nonies legge n.241 del 1990.
Il giudice amministrativo, con la decisione in esame, evidenzia che :”L’art. 21 nonies ha introdotto un preciso e ben individuato termine definibile “perentorio” per l’esercizio del potere di autotutela, ossia un termine “massimo” per il legittimo esercizio del potere in questione, pari a 18 mesi, a cui non può necessariamente non riconnettersi l’annullamento in sede giurisdizionale per l’ipotesi del mancato rispetto di esso (cfr., tra le altre, TAR Puglia, Bari, 17 marzo 2016, n. 351).Preso, comunque, atto che l’esigenza sottesa all’introduzione della prescrizione in esame – come in precedenza precisato – risulta strettamente correlata con la tutela dell’affidamento ingenerato nei destinatari degli atti ampliativi, l’ammissione dell’esercizio di tale potere esclusivamente entro il termine di 18 in termini netti e assoluti non avrebbe potuto non rivelarsi incostituzionale per contrasto, tra gli altri, con l’art. 97 della Cost., in ragione della inequivoca necessità di tenere conto anche di casi connotati da specifiche peculiarità, atte a sminuire o addirittura ad annientare l’esigenza di cui sopra;- proprio all’indefettibile necessità di non trascurare la sussistenza di tali casi si spiega o, meglio, è ragionevolmente riconducibile l’introduzione da parte del legislatore del comma 2 bis dell’art. 21 nonies, prescrivente – come già ricordato – un’eccezione all’esercizio del potere di autotutela entro il termine dei 18 mesi per il caso in cui i provvedimenti sia stati conseguiti sulla base di “false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà false o mendaci” (in diritto punto 2.2)
 
Consiglio di Stato – Sez.VI – 27 gennaio 2017, n. 341
Atto amministrativo, annullamento, autotutela.
Il potere di annullamento d’ufficio è regolato dall’art.21 nonies della legge n.241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005) per mezzo della previsione dell’illegittimità dell’atto oggetto della decisione di autotutela quale indefettibile e vincolata condizione che ne autorizza il valido esercizio e della descrizione, mediante il riferimento a nozioni elastiche, di ulteriori presupposti, quali la ragionevolezza del termine entro cui può essere adottato l’atto di secondo grado, la sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione e la considerazione degli interessi dei destinatari del provvedimento viziato. Come si vede, quindi, la disposizione attributiva del potere di autotutela lo ha disciplinato in modo da stabilire, per la sua valida esplicazione, un presupposto rigido (l’illegittimità dell’atto da annullare) e altre condizioni flessibili e duttili riferite a concetti indeterminati e, come tali, affidate all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione.
Queste ultime devono intendersi, in particolare, stabilite a garanzia delle esigenze di tutela dell’affidamento, dei destinatari di atti ampliativi, in ordine alla stabilità dei titoli ed alla certezza degli effetti giuridici da essi prodotti e, appunto per mezzo dell’affidamento, a garanzia della valutazione discrezionale dell’amministrazione nella ricerca del giusto equilibrio tra le esigenze di ripristino della legalità (nel chè si risolve la rimozione di un atto illegittimo) e quelle di conservazione dell’assetto regolativo recato dal provvedimento viziato. Le predette esigenze hanno, peraltro, ricevuto recentemente un ulteriore rafforzamento, per mezzo dell’introduzione, con la legge n.124 del 2015, della fissazione del termine massimo di diciotto mesi (con una opportuna precisazione quantitativa della nozione elastica della formula lessicale “termine ragionevole”), per l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici e, quindi, mediante una riconfigurazione del potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti per le posizioni private originate da atti ampliativi (in diritto punto 3.2)
 
TAR Calabria – Catanzaro -Sez. I – 11 gennaio 2017 – n.27
Annullamento – autotutela- motivazione
“I provvedimenti di annullamento in autotutela, se incidenti su posizioni consolidate a causa del passaggio del tempo, devono essere congruamente motivati in ordine all’esistenza di un interesse pubblico attuale alla rimozione della situazione antigiuridica” (tra le tante, Tar Puglia, Lecce, sez. III, 26 febbraio 2014 n. 661; Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 578; Tar Sicilia, Palermo, sez. III, 4 gennaio 2008 n. 1, Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 2007 n. 6252; Tar Calabria, Catanzaro, , sez. II, 24 luglio 2007 n. 1023).

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