Sull’efficacia dell’ordine di demolizione pur in presenza di un certificato di abitabilità rilasciato dall’amministrazione. I chiarimenti del Consiglio di Stato
Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. La vicenda da cui si è sviluppato il contenzioso e il successivo ricorso al TAR Valle d’Aosta – 3. I motivi di appello sollevati davanti ai giudici di Palazzo Spada – 4. La traiettoria argomentativa seguita dal Cons. di Stato (sez VI, 23 novembre 2022, n. 10340) – 5. Riflessioni finali
1. Premessa introduttiva
Il certificato di agibilità e il permesso di costruire sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di abitabilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche.
Inoltre il certificato di agibilità indipendentemente dal titolo edilizio, è utile a garantire che l’edificio dichiarato agibile o abitabile sia idoneo ad essere utilizzato per le destinazioni ammissibili, rimanendo tuttavia fermi i poteri degli uffici comunali di contestare successivamente eventuali abusi e sanzioni.
Sulla base di tali presupposti il Consiglio di Stato, con un’importante pronunzia del 23 novembre 2022, n. 10340 (Est. R. Ravasio), da un lato ha colto l’occasione per ribadire nel suo insieme la netta differenza che intercorre – a livello di ratio, funzione e disciplina – fra i due strumenti sopra menzionati all’interno della legislazione urbanistica mentre dall’altro, ha anche il merito di aver fatto luce sul meccanismo di sostituzione di una sanzione reale demolitoria con quella alternativa pecuniaria (cd. fiscalizzazione dell’abuso) in caso di pregiudizio per le opere realizzate in modo parzialmente difforme dal permesso di costruire. La pronunzia dei giudici di Palazzo Spada ha il pregio altresì, di aver approfondito sotto diversi aspetti le complesse problematiche legate all’attività di repressione degli abusi edilizi da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti dei privati: ci si trova di fronte a un terreno scivoloso da sempre sensibile per gli addetti ai lavori, nel corso degli anni sempre più spesso oggetto di frequenti interventi e pronunzie della magistratura la quale, gradualmente è riuscita a sviluppare alcuni orientamenti piuttosto granitici sviluppando contestualmente alcuni principi chiave nel diritto amministrativo.
2. La vicenda da cui si è sviluppato il contenzioso e il successivo ricorso al TAR Valle D’Aosta
L’amministrazione comunale ingiunge al privato un’ordinanza di demolizione di un locale da questi realizzato abusivamente in un terreno di sua proprietà, dopo avergli però rilasciato in precedenza il corrispondente certificato di agibilità indicante “…vista la completezza e la regolarità della documentazione richiesta…”. L’immobile viene successivamente ritenuto abusivo, per altezza superiore a quella prevista nell’originaria concessione edilizia e comunque sensibilmente difforme rispetto alle norme di attuazione previste dal Piano Regolatore Generale.
Sulla base di tali presupposti il privato, risultando (potenzialmente) titolare dell’attestazione di agibilità rilasciata dal Comune, e ritenendosi pertanto leso a fronte al comportamento adottato dall’amministrazione (nella convinzione peraltro dell’accertata regolarità delle proprie opere edilizie effettuate), propone ricorso innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D’Aosta, che però lo ha ritenuto infondato con sentenza n. 61/2015.
3. I motivi di appello sollevati davanti ai giudici di Palazzo Spada
L’appellante nei motivi sollevati di fronte al Consiglio di Stato, lamenta il contrasto fra il rilascio del certificato di agibilità e la successiva adozione dell’ordinanza di demolizione, così come avallata precedentemente anche dal TAR Valle D’Aosta.
Più nel dettaglio il ricorrente nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di Palazzo Spada, si duole dell’illegittimità dell’ordinanza di demolizione la quale sarebbe da censurare sotto diversi profili in quanto: a) figurerebbe carente di motivazione in virtù del fatto che essa tende a indicare esclusivamente la descrizione delle opere e sic et simpliciter la constatazione della loro abusività; b) mancherebbe un’adeguata istruttoria da parte dell’amministrazione comunale; c) risulterebbe investita da profili di illegittimità se si considera la precedente esistenza di un certificato di abitabilità rilasciato dal comune stesso che di fatto presupporrebbe la regolarità ex lege dell’opera edilizia realizzata; d)risulterebbe non conforme alla normativa urbanistica del comma 2, art 34 del Testo Unico dell’Edilizia, dal momento che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto valutare al posto dell’ordine di demolizione, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.
4. La traiettoria argomentativa seguita dal Cons. di Stato (sez. VI, 23 novembre 2022 n. 10340)
– Sulla necessità o meno della motivazione relativa all’ordine di demolizione.
L’appellante contesta la statuizione del TAR dolendosi del fatto che l’amministrazione comunale, non avrebbe ricostruito con attenzione le ragioni argomentative come presupposto giuridico alla base dell’ordine di demolizione.
In riferimento alla motivazione dell’ordine di demolizione, il Consiglio di Stato ha ricordato la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 9/2017 per la quale “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
I giudici amministrativi tendono a chiarire come l’ordinanza di demolizione di una struttura abusiva emessa dal Comune, non necessita dunque di una motivazione specifica sul pubblico interesse in quanto ex lege, ha natura di atto dovuto giuridicamente vincolato per l’amministrazione. Nel caso esaminato l’ordinanza di demolizione di fatto, conteneva quindi la descrizione delle opere formulata attraverso il riferimento al rapporto informativo fornito dall’ufficio tecnico e descriveva l’abusività focalizzandosi sulla difformità dell’opera rispetto ai titoli edilizi e alle norme del Piano Regolatore Generale. In tal senso, il Collegio richiama giurisprudenza amministrativa precedente la quale pronunziandosi sul punto, ha evidenziato che essa “è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (Cons. di Stato, sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4319).
– In quali termini l’ordine di demolizione presuppone un’istruttoria dettagliata nei confronti del destinatario.
A tal proposito con espresso riferimento in relazione alla contestazione sollevata dall’appellante in relazione alla carenza di istruttoria collegata agli atti difensivi presentati dall’interessato i giudici del Consiglio di Stato richiamano la precedente giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato, sez. III, 7 gennaio 2022 n. 45) la quale sul punto ha così statuito: “La partecipazione al procedimento è garantita attraverso la comunicazione dei motivi ostativi e l’esame delle controdeduzioni dell’interessato senza che gravi sull’amministrazione alcun obbligo di singola e specifica confutazione delle osservazioni; ove il preavviso di rigetto non sia stato pretermesso, nessun obbligo di specifica confutazione delle analitiche deduzioni dell’interessato grava sull’Amministrazione, anche in virtù del principio per cui non può essere aggravato un procedimento cadenzato dal rispetto di tappe ben precise da obblighi ulteriori oltre quelli “minimi” necessari ad assicurare al privato anticipatamente la conoscenza delle ragioni poste a fondamento del provvedimento finale e di poter interloquire in contraddittorio e collaborare all’istruttoria”. A conferma del pensiero espresso dai giudici di Palazzo Spada, lo stesso Collegio mette in luce il fatto che si tratta di principi utilmente validi per tutta l’attività procedimentalizzata dell’amministrazione e come tali sono applicabili in via estensiva anche alle memorie differenti da quelle previste dall’articolo 10 bis della legge n. 241/1990.
Logica conseguenza è che tali principi ne escono rafforzati e tendono e ad assumere un peso specifico particolare nel momento in cui come nel caso affrontato, ci si trova di fronte ad un procedimento di natura vincolata rispetto al quale ex lege, non viene ritenuto necessario l’apporto della collaborazione del privato. La giurisprudenza amministrativa richiamata dal Collegio infatti così afferma: “L’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso” (Cons. di Stato, sez. VI, 11 maggio 2022, n. 3707).
– Il precedente rilascio del certificato di agibilità impedisce il successivo ordine di demolizione?
In secondo grado il ricorrente ha contestato la sentenza del TAR nella parte in cui si specifica che non vi sarebbe alcun contrasto fra il rilascio del certificato di agibilità e la successiva adozione dell’ordinanza di demolizione in quanto i due provvedimenti hanno contenuto differente e richiedono accertamenti fra loro eterogenei. Nel motivo sollevato dall’appellante invece il certificato di agibilità, essendo stato rilasciato “vista la completezza e la regolarità della documentazione richiesta”, presupporrebbe la regolarità delle opere edilizie.
I giudici di Palazzo Spada escludono a priori che il rilascio del certificato di abitabilità possa incidere negativamente sull’azionabilità dei poteri sanzionatori in capo all’amministrazione comunale di reprimere l’abusivismo edilizio. In relazione al caso di specie il Collegio infatti sostiene con fermezza che: “Il rilascio del certificato di abitabilità (o di agibilità) non preclude quindi agli uffici comunali la possibilità di contestare successivamente la presenza di difformità rispetto al titolo edilizio, né costituisce rinuncia implicita a esigere il pagamento dell’oblazione per il caso di sanatoria, in quanto il certificato svolge una diversa funzione, ossia garantisce che l’edificio sia idoneo ad essere utilizzato per le destinazioni ammissibili ”
Inoltre, dando atto di un proprio recente orientamento contenuto nella precedente pronuncia (Cons. di Stato, Sez V, del 10 maggio 2021, n. 3666), i giudici amministrativi hanno confermato che il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto “il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti mentre il titolo edilizio è finalizzato all’accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche”.
De iure condendo il Consiglio di Stato, sulla circostanza per la quale la stessa amministrazione comunale aveva rilasciato il relativo certificato attestante la completezza e la conformità della documentazione richiesta, ha efficacemente puntualizzato che tale formula “…non esprime in sé alcuna valutazione di regolarità dell’opera rispetto al titolo edilizio, riferendosi, invece, alla documentazione allegata alla richiesta del certificato di agibilità”. Si ricava allora che, il precedente rilascio del certificato di abitabilità da parte del Comune non rappresenta né costituisce indizio o indice della regolarità edilizia di un immobile e che è sempre in suo poter dunque, controllare in via successiva nel precedente rilascio la conformità delle opere realizzate al titolo edilizio.
– Sulla mancata trasformazione della sanzione reale in quella sanzionatoria: la fiscalizzazione dell’abuso
Relativamente alla statuizione del TAR contestata da parte ricorrente, secondo cui il problema di un eventuale impossibilità di procedere alla demolizione – senza pregiudizio o eventuali danni per le parti della struttura “eseguite in conformità”- atterebbe soltanto alla fase esecutiva (e come tale non può quindi considerarsi idoneo ad incidere sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione), l’odierno appellante, ha insistito sul fatto che nel momento in cui viene adottato un provvedimento sanzionatorio, l’amministrazione non può non porsi sin da subito il problema della sua eseguibilità.
I giudici amministrativi anche su questo punto, hanno ricordato una consolidata giurisprudenza per la quale le disposizioni del comma 2 art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, “devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria[1] debba essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell’originario ordine di demolizione” (Cons. di Stato, sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3666).
Pertanto, emersa la completezza dell’istruttoria, riscontrata a monte la legittimità nonchè la logicità del comportamento adottato dall’amministrazione comunale e dimostrato soprattutto il carattere abusivo delle opere realizzate, tutti i motivi sollevati in appello da parte ricorrente sono stati inevitabilmente respinti perché ritenuti infondati. L’ordine di demolizione del Comune nonostante il precedente rilascio del certificato di abitabilità al diretto interessato è apparso giuridicamente legittimo e come tale correttamente confermato dai Giudici di Palazzo Spada.
5. Riflessioni finali
Alla luce delle considerazioni elaborate dal Collegio, si può affermare che il Consiglio di Stato con la presente pronunzia, facendo leva sul potere repressivo dell’amministrazione in materia di abusi edilizi, ha contribuito a riaffermare nonché a rafforzare ulteriormente quell’orientamento giurisprudenziale incline a rimarcare ma anche a valorizzare con la dovuta attenzione, le dovute differenze emergenti nella variegata tipologia di provvedimenti autorizzativi previsti in materia edilizia rilasciati dalla medesima amministrazione comunale.
Trattasi dunque di provvedimenti mirati che nascono ontologicamente avvolti da un contenuto poliedrico per struttura, presupposti e funzioni, essendo pensati razionalmente dal legislatore come necessaria e logica conseguenza di accertamenti eterogenei su cui è chiamata a pronunziarsi costantemente la Pubblica Amministrazione nel campo dell’edilizia.
[1] La questione della sostituzione della sanzione reale con quella alternativa/sanzionatoria, meglio conosciuta come fiscalizzazione dell’abuso, è materia da sempre oggetto di attenzione per gli addetti ai lavori nel settore dell’urbanistica. La giurisprudenza amministrativa si è pronunziata tante volte sull’argomento. Più di recente si veda per tutte TAR Veneto, 12 settembre 2022, n. 1382 la quale, sottolinea come la cosiddetta “fiscalizzazione dell’abuso” non può certo rappresentare una scelta discrezionale affidata alle mani del privato: piuttosto essa è una decisione frutto di una scelta che compete ex lege a ogni amministrazione, soltanto dopo avere accertato l’impossibilità oggettiva di ripristinare lo stato dei luoghi tramite ordinanza di demolizione, senza pregiudicare naturalmente le parti conformi. Inoltre lo stesso Collegio tiene a precisare come dalla lettura della disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 34 del D.P.R. 380/2001 si evince che tale norma fissata dal legislatore, non pone particolari ostacoli ad una soluzione logica anche invertita (irrogando direttamente la sanzione pecuniaria al destinatario del provvedimento), qualora la P.A. sin da subito già sondare concretamente, l’impossibilità di procedere alla sanzione ripristinatoria senza pregiudizio delle parti conformi dell’immobile.
Sitografia
Demolizione abusi edilizi: il Consiglio di Stato sulla differenza tra permesso di costruire e agibilità (lavoripubblici.it)
Il rilascio del certificato di agibilità preclude la repressione degli abusi edilizi? | Scuderi Motta e Avvocati
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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Renzo Cavadi
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