Supporto al lavoro di cura dei caregiver familiari ed iniziative a livello regionale
di Ciro Punzo, Francesca Di Santo, Rocco Antonio Albanese
Sommario: 1. Invecchiamento della popolazione: panorama italiano e mondiale – 1.1. Cambiamenti epidemiologici: incremento delle malattie croniche – 1.2. Servizi di Long Term Care – 1.3. Assistenza domiciliare in Italia e Europa – 2. Il caregiver familiare –2.1. Nuovi modelli di assistenza domiciliare – 2.2. Profilo del caregiver – 2.2.1. Caregiver ai sensi del D.Lgs. 29/2024 – 2.3. Misure previdenziali del caregiver familiare – 2.4. Il burden del caregiver – 2.5. Interventi Regionali – 2.6. Compatibilità con l’art. 117 Costituzione?
Il presente lavoro tende a svolgere una panoramica generale sull’invecchiamento, al fine di affrontare la tematica dei caregiver familiari.
1. Invecchiamento della popolazione: panorama italiano e mondiale
In Italia, nel corso degli ultimi decenni, si è assistito a un graduale aumento della longevità della popolazione. Secondo il rapporto annuale dell’Istat, nel 2014, la speranza di vita ha raggiunto gli 80.2 anni per gli uomini e 84.9 anni per le donne. Nel mondo le aspettative di vita sono di 60 anni in Africa, 72 in Asia, 75 in America Latina, 77 in Europa e Oceania e 79 nel Nord America. Tale tasso di crescita è stato favorito da un miglioramento della qualità della salute delle persone, conseguito grazie ai continui progressi della ricerca in campo medico.
Un altro fattore che ha favorito l’invecchiamento della popolazione è la diminuzione del tasso di fecondità, che dalla metà degli anni Sessanta ha continuato a scendere per poi riprendere a salire dal 1995. In Italia si registra un tasso di fecondità di 1,39 figli per donna contro una media europea di 1.6 e mondiale di 2.5. Il prolungamento della vita, nonché la fecondità molto bassa produce in Italia molti anziani (popolazione over 65 anni): infatti rappresentano il 21,7% della popolazione, mentre la popolazione compresa tra 0-14 anni è del 13.8% e quella tra i 15-64 anni è del 64.4%.
Le previsioni delle Nazioni Unite rivelano che in Europa il 24% della popolazione ha più di 60 anni e nel 2050 si raggiungerà il 34%. Nel mondo il numero degli ultra 60enni si duplicherà da qui al 2050, passando da 901 milioni a 2.1 miliardi. A seguire gli ultra 80enni che andranno più che a triplicarsi, da 125 milioni nel 2015 a 434 milioni nel 2050. La ricerca ha evidenziato inoltre che da un 11% della popolazione mondiale over 60, si arriverà a un 22% nel 2050. Per quanto riguarda l’Italia le persone con più di 60, che nel 2014 costituivano il 27.4%, nel 2030 saranno il 34.6% e nel 2050 il 38.7%.
1.1. Cambiamenti epidemiologici: incremento delle malattie croniche
Una conseguenza dell’aumento della longevità è che si vivono più anni in cui la salute è precaria e la condizione di fragilità è aumentata.
Dopo aver analizzato che la popolazione nazionale è composta in buona misura da anziani, c’è da chiedersi quale sia il loro stato di salute. Secondo il rapporto dell’Istat, tra la popolazione degli over 65 oltre la metà soffre di patologie croniche gravi. Il diabete, il tumore, l’Alzheimer e le demenze senili sono le patologie che mostrano una dinamica in evidente crescita rispetto al passato. Per la fascia di età 65-69, gli uomini che soffrono di almeno una cronicità grave sono il 36% dei casi e le donne il 28%; per la fascia di età dai 75 e oltre, gli uomini e le donne che soffrono di almeno una cronicità grave, rappresentano rispettivamente il 57% e il 51%.
Secondo la stima del Censis, la disabilità, a causa dell’invecchiamento e delle patologie cronico degenerative, è in significativo e preoccupante aumento con 6,7% (circa 4,1 milioni di persone) nel 2010, 7,9% nel 2020 (pari a 4,8 milioni di persone) e 10,7% nel 2040 (pari a 6,7 milioni di persone), un incremento destinato a creare una fortissima pressione sul versante della domanda di servizi.
Si è visto come, insieme al progressivo invecchiamento della popolazione, si sia sviluppato un cambiamento anche nell’epidemiologia delle patologie emergenti: si è passati da una prevalenza di malattie infettive e carenziali a una preponderanza di quelle cronico degenerative.
Queste patologie interessano particolarmente l’anziano “fragile” oltre i 75 anni di età, al quale è legata l’incidenza maggiore di comorbilità. Una condizione che rende queste persone “complesse” sotto il profilo assistenziale, tanto da richiedere un approccio globale che diviene negli anni sempre più articolato.
Le prestazioni erogate per rispondere ai bisogni del malato cronico sono racchiuse sotto il nome di Long Term Care. Questo modello assistenziale comprende un insieme eterogeneo di prestazioni, sia quelle di carattere sanitario ad alto contenuto specialistico, che di carattere assistenziale richiedenti una modesta specializzazione. Questo modello di assistenza non è rivolto solo a pazienti cronici o disabili, ma anche a persone con gravi dipendenze, malati terminali ed anziani non autosufficienti o “affetti da patologie legate all’età”. In Italia si stima che l’area della non autosufficienza conta 2.6 milioni di persone.
Gli obiettivi che si pone l’assistenza a lungo termine sono la stabilizzazione della situazione patologica in atto e il miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Gran parte dell’offerta dei servizi sanitari e sociali della long term care è riconducibile all’assistenza domiciliare e residenziale, poiché il domicilio è la forma di assistenza privilegiata per garantire una migliore qualità di vita e contenere le spese per l’assistenza. Con l’assistenza domiciliare si riesce a mantenere l’indipendenza e l’autosufficienza delle persone in un modo più confacente alle loro esigenze, poiché “la casa è un luogo di associazioni fisiche ed emozionali, memorie e conforto[1]” .
1.2. Servizi di Long Term Care
Nonostante il bisogno di cure a lungo termine sia destinato a crescere in risposta al fenomeno dell’invecchiamento, i servizi disponibili sono attualmente insufficienti e inadeguati. Se si effettua un paragone con altre voci di spesa come pensioni e assistenza per acuti, la spesa pubblica per la long term care (LTC) rappresenta una porzione del PIL relativamente bassa.
In Italia, il LTC rivolto alla popolazione anziana comprende tre tipi di assistenza: gli interventi domiciliari, residenziali e le prestazioni monetarie. Nelle prime due forme è presente la componente sanitaria e sociale, con la prevalenza di una delle due a seconda della condizione in cui si trova la persona. Le prestazioni economiche invece comprendono l’indennità di accompagnamento (contributo per i soggetti non deambulanti in modo permanente o incapaci di svolgere le attività di vita quotidiana), l’assegno di cura (contributo per l’acquisto da parte degli anziani di assistenza privata o come contributo per l’assistenza informale) e i voucher, erogati dalle ASL o dai Comuni (titoli per l’acquisto di prestazioni socio-sanitarie, nell’ambito di strutture pubbliche o private accreditate). Tuttavia il complesso d’interventi elencati non ricopre in maniera esauriente le politiche di long term care: la maggior parte degli anziani ricorre all’assistenza informale erogata da parenti, amici, conoscenti, volontari per la cura della persona e dell’ambiente domestico.
Un’analisi dettagliata dei regolamenti, unita a una revisione sistematica degli studi già presenti, è stata condotta per indagare le differenze tra sei Paesi europei (Austria, Francia, Germania, Italia, Olanda e Svezia) nell’ambito della long-term care. Viene qui affermato che tra gli scopi impliciti o espliciti dei contributi pecuniari per usufruire di servizi di cura, ci sia anche quello di incoraggiare l’assistenza informale, che lo Stato stimola o supporta con le sue risorse finanziarie. In tutti gli stati considerati i contributi possono essere usati per pagare la cura informale, includendo anche i parenti. Tuttavia la visione della cura familiare è molto differente. Le politiche per i contributi monetari in Austria, Italia e Germania sono destinate a procurare un supporto implicito e non formalizzato alle cure informali, senza che il sussidio diventi una forma di compenso diretta del caregiver.
D’altra parte in Francia, che con la Germania, l’Austria e l’Italia, ha in comune una preferenza per l’assistenza familiare, questo tipo di cura è supportata da un processo di “formalizzazione” (e monetizzazione), che ha portato ad un’ascesa della mercificazione dell’assistenza familiare, simile a quella Olandese. In Svezia l’indennità di accompagnamento è vista come una forma simbolica di pagamento per il caregiver informale, nonostante siano state introdotte misure per associare il pagamento ai caregiver informali ai salari del mercato del lavoro e permettere ai caregiver di essere assunti dai comuni come caregiver professionali.
Inoltre il controllo sull’uso dei contributi in Francia e Olanda ha influenzato l’organizzazione del lavoro di assistenza: anche se i beneficiari possono scegliere il loro caregiver, quest’ultimo deve essere assunto ufficialmente. Al contrario, in Italia, Austria e Germania i contributi possono essere usati a piacimento del ricevente e questo tende a favorire la crescita di un mercato parallelo nel settore dell’assistenza.
Se i contributi monetari non sono stati la causa diretta della nascita del mercato non regolarizzato nella Long Term Care, hanno sicuramente supportato il suo incremento grazie a tre fattori interconnessi. Primo: per le famiglie rivolgersi agli immigrati è un’alternativa economica più vantaggiosa rispetto all’assistenza familiare e alla fornitura di servizi sociali. Gli immigrati possono erogare assistenza 24 ore su 24, che non sarebbe disponibile dai servizi sociali o sarebbe comunque troppo costosa. Secondo, le disposizioni di pagamento dei caregiver offrono loro compensi maggiori di quelli che riceverebbero nel loro paese d’origine, specialmente perché vengono compresi vitto e alloggio. Terzo, il mercato nero riduce la pressione sulla domanda crescente di servizi sociali.
Per di più l’esistenza di un mercato privato di assistenza ha spostato il focus delle politiche di long term care sulla regolamentazione e qualificazione dell’assistenza privata, che tende a dare per scontato il modello del caregiver straniero come soluzione predominante alla crescente domanda per cure a lungo termine.
1.3. Assistenza domiciliare in Italia e Europa
L’OCSE definisce l’assistenza domiciliare come “servizi di assistenza a lungo termine che possono essere forniti ai pazienti a domicilio” . In Italia è stata definita dal Ministero della Salute come insieme di prestazioni di tipo medico, infermieristico, riabilitativo, integrate tra loro con interventi socio-assistenziali, per la cura della persona nella propria casa. Le cure domiciliari sono rivolte alle persone in condizione di non autosufficienza, fragilità, disabili, con la finalità di rendere il quadro clinico stabile, rallentarne il declino e migliorare la qualità di vita nel contesto domiciliare. Così facendo si permette anche il coinvolgimento della rete familiare nel processo di cura; si consente inoltre di evitare l’ospedalizzazione impropria oppure il ricovero in strutture residenziali o anticipare le dimissioni ogni qual volta le condizioni socio-sanitarie lo consentono.
I sistemi di cura primaria sono riconosciuti come la risposta più appropriata per gestire l’ integrazione, personalizzazione dei percorsi e attenzione per la qualità della vita in tutte le sue fasi, al di fuori di ogni logica meramente prestazionale.
Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare agli anziani nei vari Paesi europei la diffusione è molto diversificata: nei Paesi del Nord, come la Danimarca, dove lo sviluppo dell’assistenza arriva a seguire il 24% degli anziani; in Svezia e Norvegia l’assistenza è attiva 24 ore su 24; nei Paesi del Sud Europa e l’Austria gli anziani assistiti non raggiungono il 3%.
In Italia si stima che tra i pazienti presi in carico dal servizio di assistenza domiciliare, l’84% è costituito da persone anziane (con età uguale o superiore a 65 anni).
Secondo uno studio condotto dall’OCSE, su commissione del Ministero della Salute, questo dato è destinato a crescere in futuro a causa del cambiamento demografico che prevede un crescente invecchiamento della popolazione nei prossimi trentacinque anni. L’implicazione inevitabile di questo mutamento è la crescente prevalenza di malattie croniche e delle condizioni long-term. La gestione delle condizioni croniche richiede una risposta coordinata, orientata al paziente e su base comunitaria, fornita da un vasto gruppo di professionisti sanitari. Il sistema sanitario italiano è stato tradizionalmente caratterizzato da un alto livello di frammentazione delle politiche sanitarie e mancanza di coordinamento nell’erogazione delle cure. Durante l’ultima decade, l’Italia ha cominciato a riorganizzare il settore delle cure primarie sperimentando nuovi modelli di erogazione dei servizi che hanno lo scopo di creare percorsi di cura più completi, sicuri ed efficienti.
A livello regionale i servizi di cure primarie e quelli di cure specialistiche si sono collegati per creare reti integrate di cure territoriali; tuttavia la mancanza di guida e l’assenza di una direzione univoca nella politica sanitaria hanno portato ad una scarsa e irregolare diffusione di queste iniziative.
La legge n. 189/2012 “Balduzzi” ha cercato di incoraggiare l’incremento dei servizi di cura territoriali per aumentare l’assistenza coordinata ed integrata nelle comunità; é stato un passo importante che ha favorito la continuità e l’integrazione delle cure anche per lo sviluppo di programmi di gestione delle malattie croniche da parte delle Regioni. Il nuovo Patto per la Salute 2023-2024 ha rafforzato la volontà di valorizzare le risorse territoriali e in attuazione dell’art. 5, il Ministero della Salute ha avviato i lavori di predisposizione del “Piano nazionale per la Cronicità”, al fine di definire le linee di indirizzo per la presa in carico dei malati cronici, condivise con le regioni e le province autonome.
È auspicabile che l’incremento dei servizi di cura territoriali riduca i ricoveri ospedalieri impropri, prevenga il sovra utilizzo del pronto soccorso e migliori la qualità di vita dei pazienti, in particolare di quelli affetti da malattie croniche che trarranno i maggiori benefici dalla cura presso il proprio domicilio.
Le ospedalizzazioni per le condizioni croniche, conosciute anche come ricoveri impropri (quando il paziente non viene ricoverato per un fatto acuto), sono usate come indicatori indiretti della generale efficacia delle cure primarie. Vi è una crescente evidenza, come riporta lo studio condotto dall’OCSE in merito alla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia, che la gestione proattiva delle condizioni croniche può prevenire o ridurre la necessità di ricovero per acuzie. Un sistema di cure primarie di elevata qualità non riduce solo i costi, ma è anche preferibile per i pazienti per evitare i ricoveri ospedalieri. Per citare un esempio in Italia, nel 2011, il tasso di ospedalizzazione per BPCO (bronco pneumopatia cornico ostruttiva) è stato di 90 ricoveri su 100.000 abitanti, un valore assai inferiore alla media degli stati membri della OCSE, che si attesta a 203.
2. Il caregiver familiare
Nel presente capitolo viene approfondito il tema della figura del caregiver , il suo profilo ed inserimento nella realtà attuale e le problematiche derivate dall’impegno importante ed a volte eccessivo che le cure prestate comportano.
2.1. Nuovi modelli di assistenza domiciliare
Nel Capitolo 1 si è potuto evidenziare che i fattori influenzanti la domanda di assistenza domiciliare sono molti, tra i quali: i trend demografici che portano verso un progressivo invecchiamento della popolazione, i cambiamenti nel panorama epidemiologico delle patologie e le necessità socio-sanitarie della popolazione.
In Italia, un contributo fondamentale svolto all’interno dell’assistenza domiciliare è quello fornito dalla figura dall’assistente familiare, che negli anni sta conoscendo un profondo cambiamento: da una parte è cresciuto il riconoscimento sociale, dall’altra si assiste a un incremento della disponibilità delle donne italiane di cercare lavoro nell’assistenza domiciliare: nel 2014 la percentuale della componente di nazionalità italiana ha subito un incremento pari a +13.9% rispetto al 2013.
Tuttavia persistono delle difficoltà all’interno del Paese date in particolare dalla crisi economica, per cui molte famiglie si trovano in difficoltà nel far quadrare i bilanci economici. In aggiunta si è verificata una riduzione dell’intervento pubblico nei confronti dei non autosufficienti e l’aumento dei costi dei servizi residenziali. La conseguenza di tali mutamenti è l’aumento dei caregiver familiari con una riduzione della “esternalizzazione” del carico di cura alle assistenti familiari e una maggiore assunzione in proprio di tali oneri. Le famiglie, per quanto possibile, cercano di rispondere da sole ai propri bisogni di cura.
In parallelo al riconoscimento sociale della figura del caregiver familiare è cresciuto l’interesse per la qualificazione del lavoro di assistenza. In questo senso le regioni (ad oggi 14) hanno definito uno standard formativo per le assistenti familiari: i percorsi formativi prevedono momenti di tirocinio e di lezione in aula per un complesso di ore che varia dai 100 alle 400 ore. In altre regioni, compreso il Veneto, sono in corso delle sperimentazioni.
2.2. Profilo del caregiver
La figura del caregiver familiare (letteralmente “prestatore di cura”) individua la persona responsabile di un altro soggetto dipendente, anche disabile, di cui si prende cura in un ambito domestico. Si tratta del/la responsabile che organizza e definisce l’assistenza di cui necessita una persona, anche congiunta; in genere è un familiare di riferimento.
Si distingue dal caregiver professionale (o badante), rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.
Il profilo del caregiver è stato riconosciuto e delineato normativamente per la prima volta dalla legge di bilancio 2018 (articolo 1, commi 254-256, Legge n. 205 del 2017), che al comma 255 lo definisce come “persona che assiste e si prende cura di specifici soggetti”.
Più precisamente, la norma definisce il caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto ai sensi della legge 76/2016, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, in presenza di un handicap grave, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sè, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata , o sia titolare di indennità di accompagnamento.
Al riguardo, la legge n. 18/1980 ha disciplinato l’indennità di accompagnamento quale sostegno economico a carico di risorse statali erogate dall’Inps in 12 mensilità, indipendentemente dal reddito del beneficiario e in regime di esenzione fiscale, corrisposto a persone per le quali viene accertato uno stato di totale invalidità o incapacità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore. Il comma 254, art. 1, della richiamata legge di bilancio 2018 ha contestualmente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Fondo per il sostegno del titolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2018-2020, da ripartire alle Regioni per il sostegno di interventi legislativi volti a riconoscere il valore sociale ed economico di tale attività di cura non professionale.
Si sottolinea inoltre, che, in termini di risorse finanziarie, il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare di cui alla legge di Bilancio 2018 (Legge n. 205/2017, comma 254) con dotazione strutturale a regime pari a 25,8 milioni di euro – ripartita in base a piani regionali -, a decorrere dal 2024 è stata convogliata nel Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, ai sensi della legge di bilancio per il 2024 (legge n. 213 del 2023, comma 212).
Infatti uno dei due fondi con dotazione di risorse pubbliche diretti al sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare era rappresentato da quello istituito con legge di bilancio 2018 (commi 254-256 della legge 205/2017), nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2018-2020, successivamente incrementata di 5 milioni per gli anni 2019, 2020 e 2021. Al riguardo, la legge di bilancio 2019 (art. 1, commi 483-484, della legge 145/2018) ha disposto l’incremento per tale ammontare annuo aggiuntivo di 5 milioni di euro (triennio 2019-2021). Le somme residue e non impiegate del Fondo, al termine di ciascun esercizio finanziario, sono state versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al medesimo Fondo. La Sezione II della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020), ha dotato il fondo, per il 2021, di risorse pari a circa 23,7 milioni di euro. Inizialmente il Fondo era finalizzato a sostenere gli interventi legislativi per il riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del prestatore di cure familiare. Successivamente, il decreto legge 86/2018 di riordino delle competenze dei ministeri ne ha disposto il trasferimento dallo stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, prevedendo al contempo che la dotazione del Fondo fosse destinata ad interventi in materia, adottati secondo criteri e modalità stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio, ovvero del Ministro delegato per la famiglia e le disabilità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Conferenza unificata.
L’ultimo decreto di riparto delle risorse (anno 2023), nel definire i criteri e le modalità di utilizzo delle risorse del Fondo stabilendo che le somme siano utilizzate con priorità di destinazione ai caregiver che assistono persone in condizione di disabilità gravissima o persone che non hanno avuto accesso alle strutture residenziali a causa delle disposizioni normative emergenziali, ha complessivamente previsto il riparto di €25.807.485. Vengono peraltro favoriti programmi di accompagnamento finalizzati alla deistituzionalizzazione e al ricongiungimento del caregiver con la persona assistita. La nuova disciplina introduce la possibilità, da parte delle Regioni, di sostenere il caregiver familiare anche attraverso l’erogazione diretta di contributi economici “di sollievo”, “assegni di cura” e bonus sociosanitari, e di eliminare le intermediazioni.
I precedenti decreti di riparto: decreto di riparto 27 ottobre 2020 (23,856 milioni), Decreto 28 dicembre 2021 (22,801 milioni), decreto 17 ottobre 2022 (24,849 milioni)
Il secondo Fondo – istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dalla legge di bilancio 2021 (art. 1, comma 334, della legge n. 178 del 2021) con una dotazione di 30 milioni per ciascun anno del triennio di programmazione di bilancio 2021-2023 -, è destinato alla copertura finanziaria degli interventi legislativi per il riconoscimento dell’attività non professionale del prestatore di cure familiare, come definita dall’articolo 1, comma 255, della legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205/2017). ll Fondo è stato rifinanziato di 50 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2022-2024 ad opera della II Sezione della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021). Pertanto nel 2022 la dotazione del Fondo è pari a 80 milioni di euro.
Si segnala che il Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità ha accolto il ricorso di una caregiver familiare italiana, Maria Simona Bellini, con Decisione del 3 ottobre 2022, avendo “riscontrato che l’incapacità dell’Italia di fornire servizi di sostegno individualizzati a una famiglia di persone con disabilità è discriminatoria e viola i loro diritti alla vita familiare, a vivere in modo indipendente e ad avere un tenore di vita adeguato” (v. approfondimento). In base alle conclusioni del Comitato ONU per la disabilità, si è ritenuto che lo Stato italiano sia venuto meno agli obblighi che gli competono in forza degli articoli 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società), 23 (Rispetto del domicilio e della famiglia) e 28 (Adeguati livelli di vita e protezione sociale), paragrafo 2, lettera c) della Convenzione ONU nei confronti della figlia e del partner di Bellini, nonché agli obblighi di cui all’articolo 28, paragrafo 2, lettera c) nei confronti della stessa ricorrente.
Si evidenzia che il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) considera le questioni riguardanti la figura del caregiver in base all’assistenza domiciliare, mediante il Decreto salute 29 aprile 2022 “Approvazione delle linee guida organizzative contenenti il «Modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare», ai fini del raggiungimento del target M6C1-4” al 30 giugno 2022. Le linee guida organizzative contenenti il modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare si inseriscono, pertanto, nel contesto degli interventi previsti nel PNRR anche in coerenza con la riforma dell’assistenza territoriale, in particolare alla finalizzazione del principio di “casa come primo luogo di cura”, che in base alla Terza Relazione sul PNRR (v. p. 128 del documento) presenta delle criticità per la parte della realizzazione delle Case della comunità e presa in carico della persona.
In ogni caso, le linee guida si propongono di definire nel contesto descritto il modello organizzativo per l’implementazione dei diversi servizi di telemedicina nel setting domiciliare, attraverso la razionalizzazione dei processi di presa in carico e la definizione dei relativi aspetti operativi, consentendo di erogare servizi attraverso team multiprofessionali composti dagli attori coinvolti nell’assistenza territoriale (Medico di medicina generale e Pediatra di libera scelta che svolgono il ruolo di responsabile clinico del rapporto di cura, Centrale operativa territoriale – COT quale modello organizzativo di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali, infermiere di famiglia o di comunità – IFoC, Unità di continuità assistenziale – UCA che supporta i professionisti responsabili della presa in carico del paziente e della comunità, e opera sul territorio di riferimento anche attraverso l’utilizzo di strumenti di telemedicina, la rete di cure palliative in cui è inserito, quale nodo della rete, anche il setting domiciliare).
Le componenti fondamentali del modello organizzativo domiciliare, a cui fanno riferimento le linee guida, sono: a) il servizio di assistenza domiciliare, che garantisce la continuità dell’assistenza nelle modalità indicate dalla normativa nazionale e regionale vigente; b) la pianificazione degli accessi domiciliari, sviluppata nell’arco dell’intera settimana secondo quanto previsto dalla predetta normativa tenendo conto della complessità clinico-assistenziale dei pazienti; c) il servizio di cure domiciliari integrato con prestazioni di telemedicina da remoto.
L’attivazione di un percorso di telemedicina potrà avvenire:
– dal setting domiciliare: tutti gli attori dell’assistenza territoriale (ognuno per le proprie competenze) possono individuare e proporre il paziente per il quale l’utilizzo di strumenti di telemedicina sia adeguato e utile all’integrazione delle cure domiciliari, e possono farlo in modo diretto oppure, qualora necessario, previa valutazione in sede di Unità di valutazione multidimensionale (UVM), anche avvalendosi a seconda del modello organizzativo locale, della Centrale operativa dell’ADI, ove presente, e della COT; quest’ultima modalità è opportuna quando si renda necessario l’intervento di diversi operatori ed il raccordo tra più servizi e setting;
– dal setting di ricovero: è il personale della struttura, il medico in raccordo con il case manager della procedura di dimissione che ravvedono la possibilità di prosecuzione delle cure attraverso interventi domiciliari anche supportati da servizi di telemedicina; in questo caso segnala le proprie indicazioni e proposte al momento della richiesta di presa in carico di dimissione «protetta» alla COT, che provvede all’organizzazione ed attivazione dei servizi e professionisti preposti alla valutazione, ove non già attivati dalla struttura di ricovero, e, in caso positivo, alla successiva garanzia della presa in carico.
L’idoneità del paziente/caregiver a poter fruire di prestazioni e servizi in telemedicina dovrà essere stabilita caso per caso, valutando per la singola tipologia di servizio:
– la possibilità per il paziente/caregiver di accedere a sistemi ed infrastrutture tecnologiche che soddisfino almeno i requisiti minimi tecnici per una corretta e sicura fruizione della prestazione o servizio;
– le competenze e le abilità minime che il paziente deve possedere, per poter utilizzare in modo appropriato le piattaforme tecnologiche, tenendo anche conto dell’eventuale supporto aggiuntivo che può ricevere dal caregiver.
In generale sono requisiti essenziali per l’attivazione del percorso di cure domiciliari supportate da strumenti di telemedicina:
– l’adesione da parte dell’interessato al percorso domiciliare e all’attivazione della prestazione in telemedicina in cui possono operare più figure professionali;
– l’individuazione, idoneità e formazione del paziente e/o del/i caregiver;
– l’adeguatezza degli aspetti sociali del contesto familiare, dell’ambiente domestico e della rete di sostegno;
– l’idoneità strutturale del contesto abitativo correlato al quadro clinico anche in relazione all’utilizzo di apparecchiature.
– un secondo fronte che ha ricadute sulla figura del caregiver è la L. n.33/2023, anch’essa obiettivo di riforma previsto nel PNRR, che reca e disciplina alcune deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane (la quale verrà successivamente analizzata nel dettaglio). In proposito, viene delineata in tale ambito una riforma articolata e complessiva, volta ad attuare alcune norme della legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021, art. 1, commi 159-171) e, con specifico riferimento alla categoria degli anziani non autosufficienti, a realizzare uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR, Missione 5, componente 2, investimento 1.1 per il sostegno alle persone vulnerabili e Missione, Componente 1, investimenti 1.1,1.2 e 1.3 per la realizzazione delle case di comunità e la presa in carico della persona per il potenziamento dei servizi domiciliari e della telemedicina, nonché per il rafforzamento dell’assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture), che fissa al primo trimestre 2023 il traguardo per l’adozione della legge delega, e al primo trimestre 2024 il traguardo per l’approvazione dei decreti legislativi delegati.
Il provvedimento muove dal riconoscimento del diritto delle persone anziane alla continuità di vita e di cure presso il proprio domicilio e dal principio di semplificazione e integrazione delle procedure di valutazione della persona anziana non autosufficiente. Si prevede l’effettuazione, in una sede unica, mediante i “punti unici di accesso” (PUA), di una valutazione multidimensionale finalizzata a definire un “progetto assistenziale individualizzato” (PAI), che indicherà tutte le prestazioni sanitarie, sociali e assistenziali necessarie per la persona anziana.
Ulteriori elementi di rilievo sono la definizione di una specifica governance nazionale delle politiche in favore della popolazione anziana, con il compito di coordinare gli interventi; la promozione di misure a favore dell’invecchiamento attivo e dell’inclusione sociale; la promozione di nuove forme di coabitazione solidale per le persone anziane e di coabitazione intergenerazionale, anche nell’ambito di case-famiglia e condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari e ai prestatori di servizi sanitari, sociali e sociosanitari integrativi; la promozione d’interventi per la prevenzione della fragilità delle persone anziane; l’integrazione degli istituti dell’assistenza domiciliare integrata (ADI) e del servizio di assistenza domiciliare (SAD); il riconoscimento del diritto delle persone anziane alla somministrazione di cure palliative domiciliari e presso hospice; la previsione d’interventi a favore dei caregiver familiari.
Sul tema si segnala il Primo Rapporto di Cergas Bocconi sulle prospettive per il settore sociosanitario e l’evoluzione della cura agli anziani (Long term care). Sempre più over 65 non autosufficienti, la popolazione invecchia, si stimano 2.847.814 persone, ma le risorse investite rimangono costanti. Nato dalla partnership tra Essity (azienda svedese che opera nel settore dell’igiene e della salute) e CERGAS SDA Bocconi, il primo rapporto sull’innovazione e il cambiamento nel settore Long Term Care ha fotografato l’urgenza di un esercito silenzioso di 8 milioni di caregiver familiari che si auto-organizzano per far fronte ai bisogni di assistenza dei propri cari non più autonomi, a cui si affiancano quasi 1.000.000 di badanti tra regolari e no. Il rapporto mette in evidenza lo scollamento con cui cresce il bisogno di assistenza e di servizi per le persone over 65 non autosufficienti, senza che questi trovino adeguata risposta da parte di servizi pubblici e privati, al momento non in grado di stare al passo con le esigenze della popolazione. Secondo i dati, i tassi di copertura del bisogno per anziani over 65 con limitazioni funzionali sono aumentati di pochi punti percentuali assestandosi intorno al 31% nonostante la stima di bisogno potenziale della popolazione sia aumentata di oltre 66 mila persone, tra il 2013 e il 2015. Le badanti regolari e irregolari in Italia sono 983.695, con una media di 14,2 badanti ogni 100 cittadini over 75.
2.2.1. Caregiver ai sensi del D.Lgs. 29/2024
Il decreto legislativo n. 29/2024 è stato adottato in attuazione delle deleghe legislative previste e disciplinate dagli artt. 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023 n. 331 che ha delineato, nell’ambito in parola, una riforma articolata e complessiva, preordinata ad attuare alcune norme della legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021, art. 1, c. 159-171) e, con specifico riferimento alla categoria degli anziani non autosufficienti, a realizzare uno degli obiettivi del PNRR, che fissa:
al primo trimestre 2023 il traguardo per l’adozione della legge delega,
al primo trimestre 2024 il traguardo per l’approvazione dei decreti legislativi delegati.
La legge delega muove dal riconoscimento del diritto delle persone anziane alla continuità di vita e di cure presso il proprio domicilio e dal principio di semplificazione e integrazione delle procedure di valutazione della persona anziana non autosufficiente. Si prevede l’effettuazione, in una sede unica, mediante i “punti unici di accesso” (PUA), di una valutazione multidimensionale finalizzata a definire un “progetto assistenziale individualizzato” (PAI), che indicherà le prestazioni sanitarie, sociali e assistenziali necessarie per la persona anziana.
Il decreto legislativo attua le deleghe legislative di cui agli articoli della legge 23 marzo 2023 n. 33:
3 (Delega al Governo in materia di invecchiamento attivo, promozione dell’inclusione sociale e prevenzione della fragilità),
4 (Delega al Governo in materia di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti),
5 (Delega al Governo 9 in materia di politiche per la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane e per le persone anziane non autosufficienti).
L’articolo 6 della legge delega ha previsto che sui decreti dovesse essere acquisita la previa intesa in Conferenza unificata e che poi dovesse avvenire la trasmissione alle Camere per l’espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
È l’articolo 1 del decreto a definire l’oggetto e le finalità perseguite dal provvedimento, esplicitando che il decreto reca disposizioni finalizzate a promuovere la dignità e l’autonomia, l’inclusione sociale, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità della persona anziana, anche attraverso:
l’accesso alla valutazione multidimensionale (artt. 10 e 27);
l’accesso a strumenti di sanità preventiva e di telemedicina a domicilio (art. 9);
il contrasto all’isolamento e alla deprivazione relazionale ed affettiva (artt. 11-14);
la coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane e la coabitazione intergenerazionale (artt. 15-18);
lo sviluppo di forme di turismo del benessere e di turismo lento (art. 8).
Lo stesso è anche diretto a riordinare, semplificare, coordinare e rendere più efficaci le attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per gli individui anziani non autosufficienti, pure tramite il coordinamento delle risorse disponibili, come anche a garantire la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane e per le persone anziane non autosufficienti.
Il provvedimento si compone di 2 Titoli e 43 articoli. Il Titolo I reca Principi generali e misure a sostegno della popolazione anziana si compone di 4 Capi:
il Capo I (artt. 1-3) riguarda i Principi generali,
il Capo II (artt. 4-10), attiene alle Misure per la prevenzione della fragilità e la promozione della salute, dell’invecchiamento attivo delle persone anziane, della sanità preventiva e della telemedicina in favore delle persone anziane,
il Capo III (artt. 11-14) disciplina le Misure volte a contrastare l’isolamento e la deprivazione relazionale e affettiva delle persone anziane nonché a promuovere il mantenimento delle capacità fisiche , intellettive e sociali,
il Capo IV (artt. 15-18) la Coabitazione solidale domiciliare e la coabitazione intergenerazionale,
il capo V (artt. 19-20) le Misure in materia di alfabetizzazione informatica e di facilitazione digitale.
Il Titolo II, recante Disposizioni in materia di assistenza sociale, sanitaria, sociosanitaria e prestazione universale in favore delle persone anziane non autosufficienti si compone di due Capi:
il Capo I (artt. 21-33) disciplina il Riordino, la semplificazione, e coordinamento delle attività di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti e valutazione multidimensionale,
il Capo II (artt. 34-42) contiene le disposizioni in materia di Prestazione universale, agevolazioni contributive, fiscali e caregiver familiari, l’art. 43 disciplina l’entrata in vigore, avvenuta il 19 marzo 2024.
Con l’obiettivo di sostenere il progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei caregiver familiari, è riconosciuto (articolo 39) il valore sociale ed economico per l’intera collettività dell’attività di assistenza e cura non professionale e non retribuita prestata nel contesto familiare a beneficio di persone anziane ed anziane non autosufficienti, che necessitano di assistenza continuativa anche a lungo termine per malattia, infermità o disabilità.
In particolare, il caregiver può “partecipare alla valutazione multidimensionale della persona anziana non autosufficiente, nonché all’elaborazione del PAI e all’individuazione del budget di cura e di assistenza” (articolo 39, comma 3).
A norma del successivo comma 7, le regioni e le province autonome valorizzano l’esperienza e le competenze maturate dal caregiver familiare nell’attività di assistenza e cura, al fine di favorire l’accesso o il reinserimento lavorativo dello stesso al termine di tale attività.
Al caregiver familiare può altresì essere riconosciuta “la formazione e l’attività svolta ai fini dell’accesso ai corsi di misure compensative previsti nell’ambito del sistema di formazione regionale e finalizzati al conseguimento della qualifica professionale di operatore sociosanitario (OSS)” (comma 8).
Volendo porre in essere una “fotografia” dello stato attuale dei caregiver, si può prendere come riferimento la tabella ISTAT[2], il cui dato è calcolato sul totale delle persone adulte (>15 anni) che hanno fornito tale tipo di assistenza a persone (anche familiari) con problemi dovuti all’invecchiamento, a patologie croniche o infermità). Il totale dei caregivers familiari che ha fornito cure ed assistenza almeno una volta alla settimana a membri della propria famiglia ammonta, complessivamente, a oltre 7 milioni di persone, in prevalenza appartenenti alla popolazione femminile (donne: 4,1 milioni, circa il 60% del totale dei 7 milioni di caregiver, contro i 2,9 milioni di uomini), su un totale di circa 8 milioni di caregivers (coloro che dichiarano di aver fornito assistenza, non necessariamente ad un familiare).
2.3. Misure previdenziali del caregiver familiare
Preliminarmente, va ricordato che attualmente l’ordinamento non prevede benefici normativi previdenziali per la figura del caregiver, se si escludono le seguenti fattispecie specifiche previste dalla normativa vigente, che riconosce alcuni benefici previdenziali in favore di chi presta assistenza ad un familiare, volti ad anticipare il conseguimento del diritto al pensionamento. Tali benefici sono però riconosciuti limitatamente al possesso di determinati requisiti. In particolare si prevede: a. la riduzione a 41 anni del requisito contributivo per l’accesso al pensionamento anticipato in favore dei lavoratori cosiddetti precoci (che hanno almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il raggiungimento del diciannovesimo anno di età) che assistono, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi della L. 104/1992, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i settanta anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (art. 1, co. 199, L. 232/2016). Fino al 2026, a tale requisito non si applicano gli adeguamenti collegati all’incremento della speranza di vita (ex art. 17 del D.L. 4/2019); b. per i trattamenti pensionistici determinati esclusivamente secondo il sistema contributivo, il riconoscimento di 25 giorni complessivi l’anno nel limite massimo complessivo di ventiquattro mesi per assistenza a figli dal sesto anno di età, al coniuge e al genitore purché conviventi, nel caso ricorrano le condizioni previste dall’articolo 3 della L. 104/1992 (art. 1, co. 40, L. 335/1995). Lo strumento della contribuzione figurativa e le proposte di legge all’esame del Parlamento Al fine di riconoscere una tutela previdenziale al caregiver, le proposte di legge attualmente all’esame del Parlamento fanno ricorso alla contribuzione figurativa. I contributi figurativi sono quei contributi non versati né dal datore di lavoro né dal lavoratore, ma accreditati gratuitamente dall’INPS, per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa con conseguente assenza del versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro. Tali contributi figurativi sono riconosciuti solo nelle ipotesi tassativamente individuate dalla legge – ad esempio per maternità, malattia, disoccupazione, cassa integrazione – e servono, quindi, a garantire una linearità della storia lavorativa del soggetto senza creare buchi contributivi che causerebbero un allontanamento del momento del pensionamento proporzionale al periodo in cui non si è lavorato. In linea generale, la contribuzione figurativa è utile ai fini sia della maturazione del diritto al pensionamento, sia della misura dell’importo della pensione. Per tale ultima finalità vengono conseguentemente individuati degli importi che non vengono materialmente erogati, ma che devono comunque essere quantificati per determinare l’entità del futuro importo dell’assegno pensionistico. La regola generale per determinare il valore retributivo da attribuire ai periodi riconosciuti figurativamente è dettata dall’articolo 8 della L. 155/1981, in base al quale l’accredito figurativo per ogni settimana viene calcolato in base alla media delle retribuzioni settimanali percepite in costanza di lavoro nell’anno solare di riferimento, o nell’anno solare immediatamente precedente se nell’anno solare in cui si è verificato l’evento che ha dato luogo all’accredito figurativo il lavoratore non abbia percepito alcuna retribuzione. La normativa individua poi alcune eccezioni alla suddetta regola generale, come ad esempio per il calcolo della contribuzione figurativa per i periodi indennizzati da NASPI o di assenza dal lavoro per congedo parentale, riposi per allattamento o malattia del figlio. Il riconoscimento della contribuzione figurativa per i periodi di lavoro di assistenza e cura svolto in qualità di caregiver è declinato in maniera diversa nelle proposte di legge richiamate e può riguardare: solo i caregiver non lavoratori; i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e autonomi che non abbiano ancora maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia; sia i caregiver non lavoratori che lavoratori. In tale ultimo caso, i contributi figurativi si sommano a quelli già versati per attività lavorative, al fine di consentire l’accesso al pensionamento anticipato al maturare dei trenta anni di contributi totali. In ogni caso, i periodi figurativi computabili non possono eccedere complessivamente cinque anni (ex art. 15 del D.Lgs. 503/1992). Inoltre, in talune delle proposte di legge citate la contribuzione previdenziale riconosciuta al caregiver è equiparata a quella del lavoro domestico, dove i contributi sono determinati sulla base dell’orario di lavoro settimanale del lavoratore e della retribuzione effettiva oraria erogata.
2.4. Il burden del caregiver
I familiari che si prestano a svolgere il compito di caregiver per assistere i loro cari sono sottoposti ad uno stress di tipo fisico, psicologico, emozionale, sociale e finanziario, che può essere concettualizzate con il termine di burden, termine usato per descrivere gli effetti negativi derivanti dall’esperienza e dalla fatica di assistere un parente malato. Il burden è costituito da componenti oggettive e soggettive: a) le componenti oggettive sono le richieste, nel senso più ampio del termine, alle quali è esposto il caregiver dal momento che si prende cura di una persona dipendente; b) le componenti soggettive includono il modo in cui il caregiver percepisce i compiti legati all’assistenza e, in specifico, la sua risposta emotiva legata all’esperienza del prendersi cura del malato: quando il coinvolgimento emotivo è molto intenso, frequente o duraturo nel tempo, la salute e il comportamento del caregiver possono esserne gravemente influenzati.
I caregiver più anziani e pensionati possono essere sottoposti a maggiori danni in termini di salute mentale a causa dell’assistenza erogata, poiché hanno già preoccupazioni per la loro salute e dover prendersi cura di qualcun altro può essere motivo di crescita del burden psicologico. Questo tipo di burden può anche essere aggravato dall’umore depresso dell’assistito oltre che dai suoi disturbi comportamentali, dalla demenza e da una pregressa storia di cadute.
Per quanto concerne i fattori di rischio dello sviluppo del burden i risultati sono gli stessi; una meta analisi pubblicata sul Journal of Gerontology evidenzia che livelli elevati di burden si riscontrano in caregiver che sono coniugi del malato e che assistono il paziente per un numero elevato di ore; la salute fisica è peggiorata dalla coabitazione del caregiver con il malato, l’età avanzata del caregiver e un basso livello di istruzione. A questi fattori di rischio si aggiungono depressione, isolamento sociale, difficoltà finanziarie e la mancanza di scelta nell’essere un caregiver.
Sebbene il burden del caregiver sia associato al deterioramento funzionale del paziente e la severità della patologia, ci sono dati a disposizione i quali suggeriscono che le caratteristiche del caregiver possono essere più influenti rispetto alle caratteristiche del paziente. Con uno studio, pubblicato nel 2014 nel Journal American Geriatrics Society, si è andati a rilevare mensilmente l’esperienza dei caregiver di pazienti con malattie croniche e a fine vita (insufficienza cardiaca congestizia, broncopneumopatia cronica ostruttiva e cancro in stadio avanzato), utilizzando la Caregiver Reaction Assessment (CRA) che include la stima del caregiver (in senso positivo indica il piacere e l’importanza del prendersi cura) e quattro domini di burden: 1) impegni (interruzione delle attività per l’assistenza); 2) salute (declino della salute del caregiver); 3) famiglia (mancanza di supporto familiare); 4) situazione finanziaria (sacrifici per pagare le bollette).
Come risultato della rilevazione si osserva che la forma prevalente di burden sviluppata tra i caregiver è quella associata alle attività quotidiane, il lavoro, la vita sociale, il tempo libero; più di uno su tre rivela di avere un programma giornaliero continuamente interrotto dall’onere di doversi prendere cura di una persona. Una forma più elevata di questo tipo di burden è stata associata a stili di coping fatalistici e di preoccupazione ansiosa da parte del caregiver nei confronti del suo assistito, mentre il deterioramento funzionale di quest’ultimo influisce solo marginalmente.
Un altro studio pubblicato nel Journal American Geriatrics Society ha esaminato il grado di burden percepito dai caregiver che assistono pazienti con malattie croniche (insufficienza cardiaca, bronopneumopatia cronica ostruttiva e cancro in stadio avanzato) e ne ha tratto conclusioni analoghe. Con l’utilizzo di una forma abbreviata della Zarit Burden Interview (ZBI) è stato valutato il burden per misurare il grado di stress psicosociale: questa scala misura la reazione ai compiti connessi con l’assistenza ai pazienti dementi. I risultati di questa ricerca indicano che le caratteristiche del caregiver sono più fortemente associate ad un livello di burden elevato, rispetto alle caratteristiche del paziente: il burden elevato è collegato alla necessità espressa del caregiver di avere bisogno di aiuto nelle attività quotidiane legate all’assistenza, non alla gestione del paziente; ciò suggerisce che il burden può essere una misura dell’abilità del caregiver di adattarsi al ruolo che svolge. Un altro risultato della ricerca rivela che il livello di burden percepito è simile tra i pazienti con differenti diagnosi esaminate, facendo intendere che il burden può non essere specifico per patologia ma essere un fenomeno universale dato dal prendersi cura di anziani con malattie croniche.
Inoltre in letteratura sono presenti studi, come quello pubblicato nel International Journal of Nursing Studies, che indagano l’impatto del burden nella figura del caregiver in relazione al genere. Le ricerche relative alla natura di genere del prendersi cura rivelano che le donne assumono il ruolo di caregiver molto più spesso rispetto agli uomini e si estendono anche al tipo di compiti, legati all’assistenza, che vengono svolti: gli uomini affermano di essere regolarmente impegnati nel fornire supporto strumentale come aiutare nel compimento dei lavori domestici; le donne invece, in aggiunta ai lavori domestici, forniscono più facilmente supporto emotivo che include l’ascolto, la condivisione delle emozioni, dimostrazione di affetto, discussione di problemi. L’atto di prestarsi come supporto emotivo è stato dimostrato avere un impatto psicologico maggiore sul caregiver, rispetto all’assistenza caratterizzata da compiti di tipo fisico; ciò si traduce generalmente in un grado di benessere e salute mentale più scarse per le donne, in confronto con gli uomini.
2.5 Interventi Regionali
Per quanto riguarda le leggi regionali, si segnala il caso dell’Emilia-Romagna che con la legge regionale (Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare (persona che presta volontariamente cura ed assistenza) ha riconosciuto, prima fra le regioni italiane, la figura del caregiver in quanto componente informale della rete di assistenza alla persona e risorsa del sistema integrato dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari, tutelandone i bisogni. In base ai dati di presentazione dell’intervento regionale, si è dato conto di circa 289.000 persone, di cui il 55% donne, nel territorio della Regione, la cui attività di cura consente a soggetti non autosufficienti di poter evitare il ricovero in strutture sanitarie. La legge regionale riconosce il ruolo sociale del Caregiver familiare, e proprio per questo intende fornire formazione e supporto alle attività di assistenza prestate gratuitamente da familiari ed amici a persone non autosufficienti, mettendo a loro disposizione importanti servizi. Tra le novità più importanti:
rafforzamento della rete di sostegno del caregiver, costituita dal sistema integrato dei servizi sociali e socio-sanitari, dal volontariato e dalla solidarietà di vicinato;
messa a punto di un piano assistenziale individualizzato che definisce le funzioni del caregiver, nonché le prestazioni, gli ausili, i contributi necessari e i supporti che i servizi sociali e sanitari si impegnano a fornire per consentire un’attività di assistenza e di cura appropriate;
formazione al lavoro di accudimento e al riconoscimento delle competenze acquisite per favorire successivi sbocchi lavorativi (percorsi formativi per la qualifica di operatore socio-sanitario);
supporto psicologico;
guide sui servizi;
prestazioni sanitarie a domicilio;
accordi con le associazioni imprenditoriali per una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro;
promozione di accordi con compagnie assicurative per la copertura degli infortuni o della responsabilità civile collegati all’attività prestata;
istituzione del caregiver day: un giorno per dare voce alle tante persone invisibili che scelgono di condividere una parte della loro vita con chi perde autonomie e relazioni, un giorno per conoscere e diffondere buone pratiche e per verificare attraverso i protagonisti diretti l’efficacia della legge.
A differenza delle Regioni Campania e della Puglia, nelle quali rispettivamente con la Legge Regionale 20 novembre 2017, n. 33 e la Legge Regionale 27 febbraio 2020, n. 3 hanno previsto delle azioni dirette a supporto del caregiver familiare e, in particolare, la realizzazione di: a) aiuti economici e percorsi informativi diretti ad acquisire informazioni puntuali sulle problematiche, sui bisogni assistenziali e sulle cure necessarie della persona assistita; b) politiche attive mirate all’inserimento ed al reinserimento lavorativo dei caregiver familiari, riconoscendo e valorizzando le competenze e l’esperienza globalmente maturate nell’esercizio dell’attività assistenziale; c) intese e accordi con le associazioni datoriali per favorire la conciliazione della vita lavorativa con le esigenze di cura, mediante forme di maggiore flessibilità̀ dell’orario lavorativo; d) programmi di aggiornamento degli operatori sociali, socio-sanitari e sanitari sui temi legati alla valorizzazione dei caregiver familiari e sulla relazione e comunicazione dovuta con gli stessi, in accordo con i comuni e con il coinvolgimento dei soggetti gestori ed erogatori di servizi sociali, socio-sanitari e sanitari; e) un sistema di tutela assicurativa per i caregiver familiari. Inoltre, i comuni, le ASL e le associazioni di pazienti e familiari, nei limiti delle risorse disponibili, assicurano al caregiver familiare: a) l’informazione, l’orientamento e l’affiancamento nell’accesso ai servizi necessari ai fini assistenziali attraverso gli sportelli front office e numeri verdi predisposti dalle ASL; b)la definizione del responsabile delle cure nell’ambito del progetto individuale della persona assistita; c) la domiciliarizzazione delle visite specialistiche nei casi di difficoltà di spostamento dell’assistito compatibilmente con la disponibilità del personale medico e l’organizzazione dei servizi sanitari, la Regione Molise, con la Deliberazione Giunta Regionale 11 agosto 2017 n. 310, ha approvato le “Linee guida regionali per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”, sulle quali ogni anno riconosce un Fondo per il sostegno del ruolo di cura e l’assistenza del caregiver familiare. In altre parole, la Regione Molise non ha ancora riconosciuto la figura del caregiver come “figura giuridica” meritevole di tutela, ma si è limitata, almeno per il momento, al solo aiuto economico.
2.6. Compatibilità con l’art. 117 Costituzione?
L’art. 117 cost., alla lett. m, identica, tra le materie di competenza dello Stato la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, mentre rientra, tra quelle di concorrenza “Stato – Regioni”, la tutela alla salute. La L. 23 marzo 2023, n.33 tutela il diritto sociale e di cura delle persone anziane, le quali vengono assistite dai caregiver. Solo esaminandola, si potrà rispondere all’interrogativo in epigrafe. La L. 23 marzo 2023, n. 33 riconosce il diritto delle persone anziane alla continuità di vita e di cure presso il proprio domicilio e il principio di semplificazione e integrazione delle procedure di valutazione della persona anziana non autosufficiente. L’obiettivo del processo di riforma è quello della realizzazione di un sistema che operi un raccordo e coordinamento tra il piano sanitario e quello sociale, al fine della progressiva implementazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali per le persone anziane non autosufficienti e al fine della progressiva attuazione delle politiche di invecchiamento attivo, promozione dell’inclusione sociale e prevenzione della fragilità per gli anziani che non versano in condizioni di non autosufficienza. La legge delega e i successivi decreti legislativi costituiscono, quindi, la cornice necessaria a dare sistematicità ad una materia in cui sussistono da tempo fonti normative eterogenee e distinti centri di azione amministrativa che operano con regole proprie e senza un necessario coordinamento. La legge delega nasce dalla necessità di definire nuovi criteri ed interventi assistenziali per la “terza età”, per migliorare la qualità del sistema di assistenza alle persone anziane e anziane non autosufficienti e contribuire agi oneri gravanti sulle loro famiglie con emolumenti da rafforzare e riformare anche alla luce dei bisogni assistenziali, in un quadro di integrazione sociale, di autonomia e di vita indipendente. La Legge in esame si compone complessivamente di 9 articoli, raggruppati in 3 Capi. Il primo Capo si occupa dei principi generali della Legge e del sistema di coordinamento e programmazione interministeriale. L’art. 1 reca le definizioni di fondamentale importanza per l’applicazione della legge stessa, ossia quelle di “livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS)”, “ambiti territoriali sociali (ATS)”, “punti unici di accesso (PUA)”, “progetti individualizzati di assistenza integrata (PAI)”, “livelli essenziali di assistenza (LEA)”, “caregiver familiari”, rimandando per ognuno alla normativa di riferimento. L’art. 2 si occupa dell’individuazione dell’oggetto, dei principi e dei criteri direttivi generali della delega nonché dell’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana. Più nello specifico, il comma 1 individua l’oggetto della delega, ossia la tutela della dignità e la promozione delle condizioni di vita, di cura e di assistenza delle persone anziane, attraverso la ricognizione, il riordino, la semplificazione, l’integrazione e il coordinamento, sotto il profilo formale e sostanziale, delle disposizioni legislative vigenti in materia di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria alla popolazione anziana, anche in attuazione delle Missioni 5, componente 2, e 6, componente 1, del PNRR, nonché attraverso il progressivo potenziamento delle relative azioni, nell’ambito delle risorse disponibili ai sensi del successivo art. 8. Quanto, poi, ai principi e criteri direttivi generali, cui il Governo dovrà attenersi nell’esercizio delle deleghe, il comma 2, individua: a) promozione del valore umano, psicologico, sociale, culturale ed economico di ogni fase della vita delle persone, indipendentemente dall’età anagrafica e dalla presenza di menomazioni, limitazioni e restrizioni della loro autonomia; b) promozione e valorizzazione delle attività di partecipazione e di solidarietà svolte dalle persone anziane nelle attività culturali, nell’associazionismo e nelle famiglie, per la promozione della solidarietà e della coesione tra le generazioni, anche con il supporto del servizio civile universale, e per il miglioramento dell’organizzazione e della gestione di servizi pubblici a favore della collettività e delle comunità territoriali, anche nell’ottica del superamento dei divari territoriali; c) promozione di ogni intervento idoneo a contrastare i fenomeni della solitudine sociale e della deprivazione relazionale delle persone anziane, indipendentemente dal luogo ove si trovino a vivere, mediante la previsione di apposite attività di ascolto e di supporto psicologico e alla socializzazione, anche con il coinvolgimento attivo delle formazioni sociali, del volontariato, del servizio civile universale e degli enti del Terzo settore; d) riconoscimento del diritto delle persone anziane a determinarsi in maniera indipendente, libera, informata e consapevole con riferimento alle decisioni che riguardano la loro assistenza, nonché alla continuità di vita e di cure presso il proprio domicilio entro i limiti e i termini definiti, ai sensi della presente legge, dalla programmazione integrata socio-assistenziale, anche con il contributo del servizio civile universale, e sociosanitaria statale e regionale, anche attraverso la rete delle farmacie territoriali in sinergia con gli erogatori dei servizi sociosanitari, nei limiti delle compatibilità finanziarie di cui alla presente legge; e) promozione della valutazione multidimensionale bio-psico-sociale delle capacità e dei bisogni di natura sociale, sanitaria e sociosanitaria ai fini dell’accesso a un continuum di servizi per le persone anziane fragili e per le persone anziane non autosufficienti, centrato sulle necessità della persona e del suo contesto familiare e sulla effettiva presa in carico del paziente anziano, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e delle facoltà assunzionali degli enti; f) riconoscimento del diritto delle persone anziane alla somministrazione di cure palliative domiciliari e presso hospice; g) promozione dell’attività fisica sportiva nella popolazione anziana, mediante azioni adeguate a garantire un invecchiamento sano; h) riconoscimento degli specifici fabbisogni di assistenza delle persone anziane con pregresse condizioni di disabilità, al fine di promuoverne l’inclusione sociale e la partecipazione attiva alla comunità, anche con l’ausilio del servizio civile universale, assicurando loro i livelli di qualità di vita raggiunti e la continuità con il loro progetto individuale di vita e con i percorsi assistenziali già in atto, nei limiti delle compatibilità finanziarie di cui alla legge in esame; i) promozione del miglioramento delle condizioni materiali e di benessere bio-psico-sociale delle famiglie degli anziani fragili o non autosufficienti e di tutti coloro i quali sono impegnati nella loro cura, mediante un’allocazione più razionale ed efficace delle risorse disponibili a legislazione vigente; l) rafforzamento dell’integrazione e dell’interoperabilità dei sistemi informativi degli enti e delle amministrazioni competenti nell’ambito dei vigenti programmi di potenziamento delle infrastrutture e delle reti informatiche, anche valorizzando dati ed evidenze generati dai cittadini, nonché dati risultanti da indagini, studi e ricerche condotti da enti del Terzo settore; m) riqualificazione dei servizi di semiresidenzialità, di residenzialità temporanea o di sollievo e promozione dei servizi di vita comunitaria e di coabitazione domiciliare (cohousing), nei limiti delle compatibilità finanziarie di cui alla legge delega. Il successivo comma 3, istituisce, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Comitato interministeriale per la popolazione anziana (CIPA), con compiti di promozione, coordinamento e programmazione integrata delle politiche nazionali in favore delle persone anziane. Il CIPA è presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed è composto dai Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, per le disabilità, per lo sport e i giovani, per gli affari regionali e le autonomie e dell’economia e delle finanze o loro delegati. Ad esso partecipano, altresì, gli altri Ministri o loro delegati aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche posti all’ordine del giorno del Comitato. In particolare, il CIPA è chiamato a: a. adottare, con cadenza triennale e aggiornamento annuale, previa intesa in sede di Conferenza unificata, sentite le parti sociali e le associazioni di settore nonché le associazioni rappresentative delle persone in condizioni di disabilità, il “Piano nazionale per l’invecchiamento attivo, l’inclusione sociale e la prevenzione delle fragilità nella popolazione anziana” e il “Piano nazionale per l’assistenza e la cura della fragilità e della non autosufficienza nella popolazione anziana”, che andrà a sostituire, “per la parte inerente alla popolazione anziana”, il Piano per la Non Autosufficienza. Sulla base dei suddetti Piani nazionali, saranno poi adottati, i corrispondenti piani regionali e locali; promuovere l’armonizzazione dei LEPS rivolti alle persone anziane non autosufficienti, e dei relativi obiettivi di servizio, con i LEA; promuovere l’integrazione dei sistemi informativi di tutti i soggetti competenti alla valutazione e all’erogazione dei servizi e degli interventi in ambito statale e territoriale e l’adozione di un sistema di monitoraggio nazionale, quale strumento per la rilevazione continuativa delle attività svolte e dei servizi e delle prestazioni resi; monitorare l’attuazione dei Piani Nazionali di cui alla lettera a) e approvare annualmente una relazione sullo stato di attuazione degli stessi, recante l’indicazione delle azioni, delle misure e delle fonti di finanziamento adottate, che è trasmessa alle Camere, entro il 31 maggio di ogni anno, dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da questi delegato; promuovere l’armonizzazione dei LEPS rivolti alle persone anziane non autosufficienti, e dei relativi obiettivi di servizio, con i LEA; promuovere l’integrazione dei sistemi informativi di tutti i soggetti competenti alla valutazione e all’erogazione dei servizi e degli interventi in ambito statale e territoriale e l’adozione di un sistema di monitoraggio nazionale, quale strumento per la rilevazione continuativa delle attività svolte e dei servizi e delle prestazioni resi; monitorare l’attuazione dei Piani Nazionali di cui alla lettera a) e approvare annualmente una relazione sullo stato di attuazione degli stessi, recante l’indicazione delle azioni, delle misure e delle fonti di finanziamento adottate, che è trasmessa alle Camere, entro il 31 maggio di ogni anno, dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da questi delegato. Con riferimento alle modalità di funzionamento e l’organizzazione delle attività del CIPA, le stesse saranno determinate da un successivo DPCM che dovrà essere emanato entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge delega (ossia entro il 29 giugno 2023). Il Capo II riguarda, poi, nello specifico i decreti delegati che dovranno essere emanati dal Governo entro il 31 gennaio 2024 in materia di:promozione dell’invecchiamento attivo e della dignità, autonomia e inclusione sociale degli anziani e alla prevenzione della loro fragilità (art. 3); assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti (art. 4); politiche per la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane e per le persone anziane non autosufficienti (art. 5). Il Governo è delegato ad adottare, entro il 31 gennaio 2024, uno o più decreti legislativi. Si specifica, altresì, che nell’esercizio di tale delega, il Governo, è tenuto al rispetto, non solo dei principi e dei criteri direttivi generali indicati nel precedente art. 2, comma 2, ma anche di quelli ulteriori indicati di seguito: a) con riguardo agli interventi per l’invecchiamento attivo e la promozione dell’autonomia delle persone anziane: promozione della salute e della cultura della prevenzione lungo tutto il corso della vita attraverso apposite campagne informative e iniziative da svolgere in ambito scolastico e nei luoghi di lavoro; promozione di programmi e di percorsi integrati volti a contrastare l’isolamento, la marginalizzazione, l’esclusione sociale e civile, la deprivazione relazionale e affettiva delle persone anziane; promozione di interventi di sanità preventiva presso il domicilio delle persone anziane, anche attraverso la rete delle farmacie territoriali in sinergia con gli erogatori dei servizi sociosanitari, nei limiti delle compatibilità finanziarie di cui alla legge delega; promozione dell’impegno delle persone anziane in attività di utilità sociale e di volontariato, nonché in attività di sorveglianza, tutoraggio e cura delle altre fasce di età, svolte nell’ambito dell’associazionismo e delle famiglie; promozione di azioni volte a facilitare l’esercizio dell’autonomia e della mobilità nei contesti urbani ed extraurbani, anche mediante il superamento degli ostacoli che impediscono l’esercizio fisico, la fruizione degli spazi verdi e le occasioni di socializzazione e di incontro; promozione, anche attraverso meccanismi di rigenerazione urbana e riuso del patrimonio costruito, attuati sulla base di atti di pianificazione o programmazione regionale o comunale e di adeguata progettazione, di nuove forme di domiciliarità e di coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane (senior cohousing) e di coabitazione intergenerazionale, in particolare con i giovani in condizioni svantaggiate (cohousing intergenerazionale), da realizzare, secondo criteri di mobilità e accessibilità sostenibili, nell’ambito di case, case-famiglia, gruppi famiglia, gruppi appartamento e condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari e ai prestatori esterni di servizi sanitari, sociali e sociosanitari integrativi; al fine di favorire l’autonomia nella gestione della propria vita e di garantire il pieno accesso ai servizi e alle informazioni, promozione di azioni di alfabetizzazione informatica e pratiche abilitanti all’uso di nuove tecnologie idonee a favorire la conoscenza e la partecipazione civile e sociale delle persone anziane; al fine di preservare l’indipendenza funzionale in età avanzata e mantenere una buona qualità di vita, individuazione, promozione e attuazione di percorsi e di iniziative per il mantenimento delle capacità fisiche, intellettive, lavorative e sociali, mediante l’attività sportiva e la relazione con animali di affezione; promozione di programmi e percorsi volti a favorire il turismo del benessere e il turismo lento come attività che agevolano la ricerca di tranquillità fisiologica e mentale per il raggiungimento e il mantenimento di uno stato di benessere psico-fisico, mentale e sociale, come obiettivo ulteriore rispetto a quello della cura delle malattie ovvero delle infermità; con riguardo agli interventi per la solidarietà e la coesione tra le generazioni: sostegno delle esperienze di solidarietà e di promozione culturale intergenerazionali tese a valorizzare la conoscenza e la trasmissione del patrimonio culturale, linguistico e dialettale; promozione di programmi di cittadinanza attiva volti alla coesione tra le generazioni a favore della collettività e delle comunità territoriali, attraverso la partecipazione e con il supporto del servizio civile universale; promozione dell’incontro e della relazione fra generazioni lontane, valorizzando per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, le esperienze significative di volontariato, maturate in ambito extrascolastico sia presso le strutture residenziali o semiresidenziali sia a domicilio, all’interno del curriculum dello studente anche ai fini del riconoscimento di crediti scolastici; per gli studenti universitari, le attività svolte in convenzione tra le università e le strutture residenziali o semiresidenziali o a domicilio anche ai fini del riconoscimento di crediti formativi universitari; con riguardo agli interventi per la prevenzione della fragilità, in coerenza con la disciplina prevista in materia da altri strumenti di regolamentazione: offerta progressiva della possibilità, per la persona anziana affetta da una o più patologie croniche suscettibili di aggravarsi con l’invecchiamento e che determinino il rischio di perdita dell’autonomia, di accedere a una valutazione multidimensionale, incentrata su linee guida nazionali, delle sue capacità e dei suoi bisogni di natura bio-psico-sociale, sanitaria e sociosanitaria, da effettuare nell’ambito dei PUA da parte di equipe multidisciplinari, sulla base della segnalazione dei medici di medicina generale, della rete ospedaliera, delle farmacie, dei comuni e degli ATS, nei limiti delle compatibilità finanziarie di cui alla legge delega; all’esito della valutazione, svolgimento presso il PUA dell’attività di screening per l’individuazione dei fabbisogni di assistenza della persona e per i necessari orientamento e supporto informativo ai fini dell’accesso al continuum di servizi e alle reti di inclusione sociale previsti dalla programmazione integrata socio-assistenziale e sociosanitaria statale e regionale[3]. Anche qui il legislatore prevede ulteriori principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi, tra i quali vediamo anche delle importanti novità. In primo luogo, si prevede che debba essere adottata una definizione di popolazione anziana non autosufficiente – al momento, infatti, non abbiamo una definizione normativa in tal senso – che tenga conto dell’età anagrafica, delle condizioni di fragilità, nonché dell’eventuale condizione di disabilità pregressa, considerate anche le indicazioni dell’International Classification of Functioning Disability and Health (ICF) dell’Organizzazione mondiale della sanità[4] e degli ulteriori e diversi strumenti di valutazione in uso da parte dei servizi sanitari, in coerenza con quanto previsto dall’art. 25 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[4]. Si richiede, poi, che si definisca il Sistema Nazionale per la popolazione Anziana non Autosufficiente (SNAA), come modalità organizzativa permanente per il governo unitario e la realizzazione congiunta, in base ai principi di piena collaborazione e di coordinamento tra Stato, regioni e comuni e nel rispetto delle relative competenze, di tutte le misure a titolarità pubblica dedicate all’assistenza degli anziani non autosufficienti, di Stato, regioni e comuni, che mantengono le titolarità esistenti; nonché la previsione che lo SNAA programmi in modo integrato i servizi, gli interventi e le prestazioni sanitarie, sociali e assistenziali rivolte alla popolazione anziana non autosufficiente, nel rispetto degli indirizzi generali elaborati dal CIPA, con la partecipazione attiva delle parti sociali e delle associazioni di settore, con il concorso dei seguenti soggetti, secondo le rispettive prerogative e competenze: 1) a livello centrale, il CIPA; 2) a livello regionale, gli assessorati regionali competenti, i comuni e le aziende sanitarie territoriali di ciascuna regione; 3) a livello locale, l’ATS e il distretto sanitario. Altro punto di fondamentale importanza è quello relativo alla individuazione dei LEPS. Ricordiamo che quando parliamo di LEPS (Livelli essenziali delle Prestazioni Sociali) ci riferiamo agli interventi, servizi, attività e prestazioni integrate, con carattere di universalità su tutto il territorio nazionale, al fine di garantire ai cittadini qualità di vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione delle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità (art. 1, comma 159 L. 234/21). Dai LEPS distinguiamo la categoria più generale dei LEP, che rappresentano i livelli essenziali delle prestazioni (cioè tutte le tipologie di prestazioni ad es. in ambito culturale, educativo, ambientale ecc.) che, essendo connessi a diritti civili e sociali, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Secondo quanto previsto dall’art. 4 della Legge delega, i LEPS dovranno essere individuati in un’ottica di integrazione con i LEA (i livelli essenziali di assistenza sanitaria e sociosanitaria previsti dall’art. 1, comma 10, del D. Lgs. n. 502 del 1992 e di cui al D.P.C.M. 12 gennaio 2017) e assicurando il raccordo con quanto previsto dall’art. 2, comma 2, lettera h), numero 2), della legge 22 dicembre 2021, n. 227, nonché con quanto previsto dall’articolo 1, commi da 791 a 798, della legge 29 dicembre 2022, n. 197. Da quanto detto, emerge chiaramente una collaborazione Stato/Regioni in merito all’aspetto sociale dell’argomento affrontato, di competenza esclusiva dello Stato, che presenta un ruolo sanitario rientrante nei LEA (di competenza anche regionale). Da quanto detto, è lampante, secondo chi scrive, la compatibilità regionale con l’art. 117 Costituzione.
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[1] Sabbadini L.L. Come cambiano la salute, i comportamenti individuali e i consumi sanitari secondo l’indagine Istat in La salute in Italia: l’indagine Istat del 2013; Roma, 10 luglio 2014. Disponibile da: http://www.slideshare.net/slideistat/l-l44
[2] Dati consolidati 2019 – Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea – Indagine EHIS 2019 – tavola 6.1.1 (13 gennaio 2022).
[3] Per le persone anziane non autosufficienti, il PNRR prevede diverse misure, strettamente legate tra loro, sia per quanto riguarda il rafforzamento dei servizi sociali territoriali finalizzato alla prevenzione dell’istituzionalizzazione e al mantenimento, per quanto possibile, di una dimensione autonoma (Missione 5 – Inclusione e Coesione), sia attraverso il potenziamento dell’assistenza sanitaria, soprattutto radicata sul territorio (Missione 6 – Salute). In particolare, la riforma 2 mira a riformare i servizi sociali e migliorare le condizioni di vita degli anziani non autosufficienti. Tale riforma deve comprendere: I) la semplificazione dell’accesso ai servizi da parte degli anziani mediante la creazione di punti unici di accesso ai servizi sociali e sanitari; II) l’individuazione di modalità di riconoscimento della non autosufficienza basate sul bisogno assistenziale; III) la messa a disposizione di una valutazione multidimensionale; e IV) la definizione di progetti individualizzati che promuovano la deistituzionalizzazione.
[4] Articolo 25 “Diritti degli anziani. L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale”.
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