Taricco: la storia si ripete. L’ordinanza di rimessione n. 24 del 2017 della Consulta alla Corte di Giustizia Europea
La rimessione alla Corte di Giustizia Europea nel noto caso Taricco.
Con la nota sentenza Taricco, la Corte di giustizia, 8 settembre 2015 in causa C-105/14, nella composizione della Grande Sezione, ha risposto ai quesiti pregiudiziali posti dal Tribunale di Cuneo, sancendo il principio di diritto secondo cui le regole in tema di interruzione del decorso del termine di cui all’art. 161 c.p. , precedenti alla modifica intercorsa con decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, comportano una sostanziale rinuncia repressiva da parte dell’ordinamento italiano dei reati in materia di evasione degli obblighi IVA.
Pertanto la Corte ha evidenziato che, trattandosi di somme che in parte sono da versare al bilancio dell’Unione, gli Stati membri devono rispettare il disposto di cui all’art. 325 del TFUE, al fine di combattere le attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione con sanzioni efficaci e dissuasive; ha quindi richiesto che il giudice nazionale proceda alla disapplicazione delle disposizioni del codice penale, nella parte in cui non consentono allo Stato membro coinvolto di rispettare gli obblighi imposti dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE.
Più specificamente, la Corte Europea, riconoscendo la natura processuale e non sostanziale (come prevede la normativa nazionale) dell’istituto della prescrizione, ha stabilito che l’allargamento di termini prescrizionali non comportano un’ applicazione delle norme penali in malam partem, nè producono effetti sfavorevoli nei confronti dell’imputato. All’istituto della prescrizione sarebbe applicabile il principio del tempus regit actum, che si contrappone al combinato disposto degli artt. 25 co 2 Cost e 2 c.p., in tema di irretroattività della legge penale.
I risvolti interpretativi nazionali.
La sentenza Taricco ha dunque sollevato un acceso dibattito, finalizzato ad evitare che la pronuncia produca effetti negativi nell’ordinamento italiano, in ragione dell’incidenza su principi fondanti l’ordine costituzionale interno.
Giova sul punto considerare come, la maggior parte degli orientamenti giurisprudenziali che si sono susseguiti nel tempo, si siano contrapposti ai dicta sanciti dalla Corte di Giustizia. Difatti, a pochi mesi di distanza dalla pronuncia Taricco, la Corte di cassazione, terza sezione penale, e la Corte d’appello di Milano hanno investito la Consulta della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità e uropea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come interpretato dallasentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco.
In particolare, le Corti di legittimità e di merito hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale, contestando l’applicazione indiscriminata del diritto comunitario sul diritto nazionale, pena la violazione dei nostri principi nazionali, di legalità, irretroattività, tassatività, difesa, che può generare un allungamento della prescrizione, con effetti contra reum.
La parola alla Corte Costituzionale. La rimessione alla Corte di Giustizia.
Da ultimo, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 24 del 2017, ha disposto di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, con un procedimento accelerato, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni di interpretazione dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, del medesimo Trattato:
se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;
se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità;
se la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro.
Per la Corte Costituzionale, il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione è un dato acquisito ai sensi dell’art. 11 Cost.; ciò nondimento è necessaria l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona, quale condizione affinchè il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia.
Qualora si verificasse il caso che, in specifiche ipotesi normative, tale osservanza venga meno, sarebbe necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e resi esecutivi i Trattati, per la sola parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi.
Il principio di legalità in materia penale è un principio supremo dell’ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva. A tale principio, formulato dall’art. 25, secondo comma, Cost. , non si deve contrapporre alcuna regola: se l’applicazione dell’art. 325 del TFUE comporta l’ingresso nell’ordinamento giuridico di una norma contraria al principio di legalità in materia penale, la Corte nazionale ha il dovere di impedirlo.
La Consulta, quindi, rimette le suddette questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia, al fine di stabilire se l’art. 325 del TFUE vada effettivamente applicato nel senso indicato dalla giurisprudenza nazionale, oppure se sia suscettibile di interpretazioni anche in parte differenti, tali da escludere ogni conflitto con il principio di legalità in materia penale formulato dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione italiana, oltre che con analoghi principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
In presenza di un persistente dubbio interpretativo sul diritto dell’Unione – scrive la Corte Costituzionale – per cui è necessario risolvere per decidere la questione di legittimità costituzionale, appare pertanto opportuno sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di giustizia sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE sulla base della sentenza resa in causa Taricco.
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Ilaria Chirillo
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università Magna Graecia di Catanzaro, diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali dell'Università La Sapienza di Roma, tirocinante presso la Procura della Repubblica di Roma.
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