Tax-whistleblowing: chi tutela lo “spione” del Fisco?
In materia di controlli volti a garantire la riduzione del rischio di abusi ed irregolarità, lo scenario internazionale, già da tempo, sta mutando e oggetto di rivalutazione è la figura del c.d. whistleblower (letteralmente “soffiatore di fischietti”), cioè colui il quale lavora o è altrimenti collocato in azienda o altro ente e che, dopo aver assistito a condotte o azioni illecite ed abusive, “fa una soffiata” all’autorità garante.
I. Origine e funzione del whistleblowing
Il whistleblowing rappresenta uno strumento di prevenzione che consente di ridurre il rischio di abusi e irregolarità, sia all’interno di organizzazioni private che di enti pubblici. Le organizzazioni dovrebbero dotarsi di un Codice di Condotta che preveda meccanismi di disciplina di tale strumento, in modo da consentirne la funzionale applicazione al loro interno, tramite un sistema sicuro e una policy o linee guida di whistleblowing. Ciò consente ai lavoratori dipendenti, ma anche a collaboratori e soggetti terzi collegati all’attività di impresa, di segnalare eventuali irregolarità in modo da consentire un intervento tempestivo dei manager e scongiurare conseguenze ulteriori.
Non tutti gli enti organizzati predispongono di simili meccanismi. L’assenza della possibilità di sporgere denunce anonime potrebbe far desistere chi ha assistito alla condotta illecita dal comunicarlo alle autorità. Talvolta si rischia addirittura che il whistleblower denunci l’evento tramite canali sociali inopportuni, come i social network, con un maggior danno per la reputazione delle organizzazioni coinvolte.
Negli anni più recenti a livello mondiale lotta al fenomeno della corruzione è in continua crescita, anche nella direzione di dare più peso alla voce dei dipendenti interni alle organizzazioni.
Da qualche anno la figura del whistleblower ha varcato le soglie del diritto tributario, in primis, nel panorama internazionale. Vicende notorie di scandali internazionali quali LGT, UBS, HSBC, LuxLeaks, Panama Papers ne sono un chiaro esempio. In un mondo dove l’evasione e la frode fiscale hanno raggiunto livelli di considerevole allerta, dovuti anche e soprattutto all’incremento nell’uso della tecnologia digitale nell’economia mondiale, non può più essere rimandato, anzi deve essere accelerato, il processo di adattamento degli ordinamenti nazionali attraverso l’introduzione di apposite normative.
Il whistleblowing nel diritto tributario può rivelarsi un utile strumento di lotta all’evasione e all’elusione fiscale, ma anche di contrasto agli illeciti amministrativi, risultato di elaborati schemi di pianificazione fiscale aggressiva e causa di ingenti danni alla finanza pubblica. L’attenzione per il fenomeno da parte dell’occhio giuridico è sollevata proprio dall’esigenza di contrastare i fenomeni di frode fiscale e dal maggior margine di successo che permettono le segnalazioni degli “spioni”.
A titolo di esempio si riportano brevemente i fatti del noto caso di LGT del Liechtenstein. Nel 2002 la banca LGT del Principato del Liechtenstein incaricò il professore tecnico informatico Heinrich Kieber[1] di digitalizzare l’archivio cartaceo dell’istituto, il quale nell’esecuzione dell’incarico, riversò i dati dei clienti, principalmente russi ed europei, su alcuni DVD che ha poi rivenduto ai servizi segreti tedeschi per il corrispettivo di 6 milioni di euro (importo tassato in Germania con la ritenuta del 30 per cento). Lo scandalo che ne derivò risale al 2008 e fu immediatamente oggetto di un’accesa attenzione mediatica, cui seguì, anche nel nostro Paese, un’intensa attività di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate e delle Procure della Repubblica.
L’attenzione mediatica suscitata da vicende simili a quella che ha interessato la LGT ha determinato gli Stati interessati ad agire attraverso il potere legislativo. Tra i più recenti interventi, si ricorda la direttiva Ue 23 ottobre 2019 n.1937, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione il 26 novembre dello scorso anno. La direttiva ha ad oggetto la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione. La direttiva Ue 2019/1937, la quale è destinata ad incidere profondamente sulla normativa italiana in materia, introduce disposizioni di tutela minime e comuni con l’intenzione di uniformare le normative nazionali che, allo stato attuale, si rivelano eccessivamente eterogenee e frammentate, quanto ai contenuti e all’ambito di applicazione, accomunate esclusivamente per la recente introduzione.[2]
La direttiva ha l’obiettivo di consolidare la tutela dei diritti fondamentali di libertà di espressione e di informazione ai sensi dell’art. 11 della Carta dei Diritti dell’Unione Europea e dell’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.[3]
II. L’evoluzione del tax-whistleblowing nell’ordinamento italiano?
Per comprendere al meglio lo stato attuale della figura del tax whistleblowing è utile ripercorrere brevemente la sua evoluzione nel nostro ordinamento[4]. Nel diritto tributario italiano la figura del tax whistleblower ha fatto il suo ingresso con l’attuazione della disciplina europea di contrasto al riciclaggio, a partire dalla terza direttiva CE n. 2005/60. Il d.lgs del 21 novembre 2017 n. 231, come modificato dalle successive direttive europee in materia, ha imposto ad una categoria di soggetti che si è ora largamente estesa, l’obbligo di verifica dei propri clienti e di segnalazione di attività sospette a rischio di riciclaggio, il cui reato presupposto siano operazioni di frode ed evasione fiscale. È stato posto un limite al segreto professionale con la relativa tutela per i professionisti tenuti a dichiarare la segnalazione. Bisogna, tuttavia, segnalare che la normativa creava una grave asimmetria tra la posizione dei soggetti obbligati alla verifica della clientela e i dipendenti di quella clientela. Nella società e negli enti non era prevista alcuna forma di tutela, tanto meno di incentivo, per il segnalatore, il quale, anzi, avrebbe potuto segnalare l’illecito esclusivamente al superiore gerarchico, con importante sofferenza per la sua riservatezza.6
All’assenza di tutela dello “spione” ha posto rimedio la L. 179 del 30 novembre 2017 recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. La riforma in commento ha modificato l’articolo 54-bis[5] del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che disciplina la tutela del dipendente pubblico che segnala presunti illeciti, nonché l’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ad integrazione della normativa sull’obbligo di segreto d’ufficio aziendale, professionale, scientifico e industriale. La novella prevede che in caso di irregolarità il dipendente possa comunicarle, non più al superiore gerarchico, ma al Responsabile della prevenzione, della corruzione e della trasparenza (RPCT), se presente in azienda, oppure all’Anac[6], all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, con l’obbligo per il superiore gerarchico che abbia eventualmente ricevuto la “soffiata” di inoltrarla alle suddette autorità.
Le disposizioni hanno il fine di garantire tutela più ampia al whistleblower: il dipendente che denuncia l’illecito non può essere licenziato, demansionato, trasferito o destinatario di qualsiasi misura che abbia effetti negativi. Nel caso di licenziamento giustificato esclusivamente dalla comunicazione all’autorità per la prevenzione della corruzione, il lavoratore dovrà essere reintegrato nel posto di lavoro ed eventuali effetti discriminatori o ritorsivi adottati per la medesima ragione dovranno immediatamente cessare; è a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare che gli effetti negativi sulla posizione del dipendente sono motivati da diversa e giusta causa.
In altri termini, la tutela del segnalatore di illeciti fiscali si è concretizzata anche all’interno della realtà aziendale, tramite il combinato disposto della l. n. 179/2017, che ha ampliato la tutela del whistleblower al settore privato, con la l. n 159/2019 che ha esteso l’ambito applicativo del d.lgs 231/2001 ai reati tributari.
L’ultimo intervento rilevante in materia riguarda la direttiva 2018/822/UE, approvata dal Consiglio europeo il 25 maggio 2018, al fine di definire standard comuni di scambio di informazioni tra Stati membri e tra questi e gli Stati esteri con i quali vige un accordo sullo scambio di informazioni.
Il dovere di segnalazione di cui alla normativa antiriciclaggio e la relativa tutela hanno come fine la lotta all’evasione ed elusione fiscale. Le strategie di pianificazione fiscale aggressiva rimanevano fuori dalla citata normativa, ma comportamenti di tal genere sono sempre più diffusi e costituiscono l’anticamera dell’evasione e della frode. Con gli ultimi interventi si prevede l’apertura non solo alle segnalazioni di illeciti penalmente rilevanti, ma anche alle “soffiate” su illeciti amministrativi tributari; ad oggi, sono precipuamente gli illeciti c.d. di evasione interpretativa, all’origine di elaborate tecniche di pianificazione fiscale aggressiva, che, grazie anche alla digitalizzazione dell’economia, comportano un aggravamento dell’abuso del diritto e il mancato contrasto preventivo del fenomeno causa perdite sempre più rilevanti per il gettito erariale, dovute anche dalla mobilità dei capitali delle persone nel mercato interno. In questa direzione, il testo della Direttiva mira a imporre a qualunque intermediario che gestisca l’attuazione di un meccanismo transfrontaliero nell’interesse di un contribuente di segnalare all’Amministrazione Finanziaria il cliente intenzionato ad evadere o frodare il fisco. L’anticipazione della tutela alla soglia della pianificazione fiscale aggressiva rende possibile ottenere in modo più efficace un livello di tassazione equa nel mercato interno.
Per completezza, si aggiunge che l’Italia ha attuato la direttiva UE 2018/822 europea con il decreto legislativo 30 luglio 2020, n. 100, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica.
[1] Il professore è stato processato in contumacia dalle autorità del Liechtenstein, al momento pare rifugiato in Australia sotto copertura fornita dalla Germania.
[2] Secondo i dati contenuti nel Rapporto di Blueprint for Freespeech Gaps in the System: Whistleblower Laws in the EU, 2018, dieci dei sedici Stati europei che prevedono una disciplina in tal senso vi hanno provveduto negli ultimi cinque anni.
[3] In tal senso sono previste misure di tutela dei segnalatori dal divieto di ritorsione (art. 19) e misure di protezione dalle ritorsioni (art. 21). In particolare, l’articolo 21, al paragrafo 2 prevede che chi segnali l’irregolarità conformemente alla direttiva non incorre in responsabilità per aver violato eventuali restrizioni alla divulgazione di informazioni. Al paragrafo 3 dello stesso articolo si precisa che l’accesso e la divulgazione delle informazioni non devono costituire di per sé reato, in tale ipotesi si continuerà ad applicare la normativa penale interna agli Stati membri. Sono previste anche misure di finanziamento seppur limitato alle consulenze e all’assistenza nell’ambito di un procedimento giudiziale che abbia ad oggetto le divulgazioni, ma non viene introdotto alcun genere di remunerazione per il whistleblower, a differenza del sistema statunitense dove si prevede un rimborso di una somma di denaro tra il 15 e il 30 per cento di quella recuperata. Cfr. Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione (in G.U.U.E. L 305, 26.11.2019, p. 17–56).
[4] Per una più completa disamina cfr. G. Marino, “L’evoluzione del tax whistleblowing: dal contrasto all’evasione fiscale internazionale alla prevenzione della pianificazione fiscale aggressiva”, Revista Direito Tributário, 2020, disponibile su https://ibdt.org.br/RDTA/wp-content/uploads/2020/08/Giuseppe-Marino.pdf
[5] Il novellato art. 54-bis dispone che “Il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L’adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante è comunicata in ogni caso all’ANAC dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. L’ANAC informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza” (Art. 54-bis, comma 1).
[6] L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha messo a disposizione dei dipendenti pubblici, collaboratori, lavoratori di fornitori di beni o servizi o di aziende che realizzano opere per la pubblica amministrazione sul suo portale una procedura online per segnalare irregolarità o abusi all’interno dell’organizzazione. La procedura garantisce l’anonimato e, una volta avviata, il whistleblower riceverà un codice da utilizzare per comunicare con l’Autorità.
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Martina Pernici
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