Tentativo di furto aggravato dalla violenza sulla cosa e tentativo di danneggiamento: tratti distintivi

Tentativo di furto aggravato dalla violenza sulla cosa e tentativo di danneggiamento: tratti distintivi

Secondo l’incisiva nozione dei giureconsulti medievali l’essenza del tentativo consiste nel cogitare, agere sed non perficere, ovvero nel voler commettere un reato, nell’attivarsi in tal senso, senza però realizzare il proposito criminoso per il realizzarsi di cause impeditive estranee alla condotta.

Premessa da un punto di vista dinamico l’articolazione dell’iter crimnis nelle fasi dell’ideazione, preparazione, esecuzione, della perfezione e consumazione, nel delitto tentato la realizzazione del fatto criminoso si arresta prima del perfezionamento del reato, ossia del compimento degli elementi minimi e sufficienti richiesti dalla singola fattispecie legale per l’esistenza dello stesso.

Se si aderisce infatti alla tesi che distingue concettualmente tra perfezionamento e consumazione, il perfezionamento è già momento ultimo per la configurabilità del tentativo, della desistenza e del recesso attivo. La consumazione, quale momento in cui il reato perfetto viene a cessare, avendo raggiunto la massima gravità concreta, sarebbe invece punto di riferimento per l’ammissibilità di altri istituti, quali il concorso, la flagranza, la legittima difesa nonché momento di riferimento ai fini del cd tempus commissi delicti.

Perfezione e consumazione talvolta coincidono, ed è questo il caso dei reati istantanei; nei cd reati di durata (reati permanenti, abituali ad evento frazionato) vi è invece una “scissione” tra i due momenti. Il primo problema del tentativo è se punirlo e come punirlo.

Con soluzione intermedia, i sistemi penali misti (di tipo oggettivo e soggettivo) scelgono di punire il tentativo, seppure in misura inferiore rispetto al reato perfetto.

Norma generale sul tentativo è l’art. 56 cp che, come anche l’art. 40 e l’art. 110 cp, è espressione di tecnica di normazione sintetica. Infatti  essa racchiude in un’unica disposizione i criteri in base ai quali individuare le fattispecie di delitto tentato. Si tratta di norma estensiva dell’ordinamento con cui si provvede, attraverso la combinazione con le singole figure criminose di parte speciale, sia pure previa verifica di compatibilità, a doppiare in forma tentata le fattispecie consumate, consentendo di incriminare fatti altrimenti non punibili.

Tale meccanismo dunque da vita ad altrettante nuove norme incriminatrici, costruite come reati di pericolo, le quali pur conservando il nomen iuris delle figure delittuose cui si riferiscono, sono, per tesi prevalente,  dotate di piena autonomia quanto alla struttura, sanzione oltre che al profilo dell’offesa al bene interesse tutelato. L’istituto del tentativo assolve esigenze di tipo preventivo, specie ove venga in rilievo la necessità di tutelare beni particolarmente sensibili. In ossequio al principio di legalità formale, il nostro codice provvede in tal modo a soddisfare l’esigenza di un’espressa previsione da parte della legge e di tassativizzazione anche dei reati tentati.

Nel disciplinare gli elementi costitutivi del delitto tentato, l’art. 56 del codice penale vigente infatti dispone: “chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di un delitto tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica”.

La direzione univoca è una caratteristica oggettiva della condotta e consiste nella capacità della stessa di rivelare, ex se, l’intenzione criminosa. Gli  atti univocamente diretti quelli che, pur collocandosi ancora nella fase preparatoria, denotano, però, l’imminente passaggio alla fase esecutiva vera e propria. Il  requisito della idoneità indica l’attitudine degli atti compiuti rispetto alla realizzazione del risultato.

Si concorda, oggi, nel ritenere che il parametro di accertamento dell’idoneità consiste in un giudizio ex ante e in concreto (criterio della c.d. prognosi postuma): il giudice cioè, collocandosi idealmente nella stessa posizione dell’agente all’inizio dell’attività criminosa deve accertare se gli atti erano in grado, tenuto conto delle concrete circostanze del caso, di sfociare nella commissione del reato.

Tale criterio di accertamento va sotto il nome di prognosi postuma perché il giudizio prognostico viene effettuato sì dopo la commissione degli atti di tentativo, ma ponendosi con la mente nel momento iniziale dell’attività delittuosa.

Rimane, a questo punto, da precisare se il criterio della prognosi postuma debba essere applicato effettuando il giudizio su una base parziale ovvero su una base totale. Il giudizio di idoneità è a base parziale in quanto tiene conto soltanto delle circostanze conosciute o conoscibili, al momento dell’azione, da un uomo avveduto pensato al posto dell’agente concreto; mentre esso non tiene conto di circostanze eccezionali oggettivamente presenti sin dall’inizio, ma conosciute dopo.

Dibattuti e controversi sono i rapporti tra tentativo e circostanze.

In proposito, da parte di taluni si opera una distinzione tra la figura del tentativo circostanziato di delitto e quella del tentativo di delitto circostanziato: la prima si avrebbe quando le circostanze si realizzano compiutamente ne contesto della stessa azione tentata; la seconda si configurerebbe allorché un delitto, se fosse giunto a consumazione, sarebbe stato qualificato dalla presenza di una o più circostanze.

Dai rilievi che precedono discende, dunque, una conclusione pressoché obbligata: le uniche circostanze compatibili col tentativo sono quelle che si realizzano compiutamente nello stesso contesto dell’azione tentata.

Una questione giurisprudenziale che ha visto l’intervento della Corte di cassazione, sezione V, sentenza 19 febbraio 2019, n. 7559 , è quella concernente  i criteri distintivi tra il tentativo di furto aggravato dalla violenza sulla cosa e il tentativo di danneggiamento.

La Corte ha sottolineato  che, per operare la giusta qualificazione del fatto come tentativo di furto aggravato dalla violenza sulla cosa piuttosto che come tentativo di danneggiamento della stessa, è necessario valutare le modalità dell’azione, i mezzi per realizzarla, le caratteristiche strutturali della cosa mobile, così da trarne elementi univocamente deponenti per l’uno o per l’altro orientamento della condotta del soggetto agente. I due reati si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale. Occorre, quindi, identificare lo specifico finalismo dell’azione  commessa, ossia se è stata rivolta, rispettivamente, all’impossessamento della cosa mobile, oppure al deterioramento della stessa.

E’ l’elemento intenzionale, la direzione della volontà dell’agente e lo specifico finalismo dell’azione – verso l’impossessamento della cosa mobile ovvero verso il deterioramento della stessa – le modalità dell’azione, i mezzi per realizzarla e le caratteristiche strutturali della cosa mobile che valgono a distinguere il tentativo di furto aggravato dalla violenza sulla cosa da quello di danneggiamento della stessa e non la mera materialità del fatto che può essere anche la medesima.


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