Acquisizione sanante ex art. 42 d.P.R. 327\200. Giurisdizione e competenza sulla determinazione dell’indennizzo

Acquisizione sanante ex art. 42 d.P.R. 327\200. Giurisdizione e competenza sulla determinazione dell’indennizzo

GIURISDIZIONE E COMPETENZA: CONCENTRAZIONE DELLA TUTELA PER LA DETERMINAZIONE DELL’INDENNIZZO EX ART. 42 BIS D.P.R. 327\2001

COMMENTO A SENTENZA N. 15283\2016; PRESIDENTE: RORDORF; ESTENSORE: DE CHIARA

OGGETTO: ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA’

La sentenza in commento risolve una peculiare controversia inerente l’acquisizione di un suolo ai sensi dell’art. 42 bis d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. sull’espropriazione per pubblica utilità), eseguita dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Provveditorato Interregionale alle OO.PP. per il Lazio, l’Abbruzzo e la Sardegna, con particolare riguardo alla contestazione dell’ammontare della somma liquidata a titolo di indennizzo, in applicazione della disciplina contenuta ai comma 1 e 3 dell’art. 42 bis, per la perdita di proprietà del bene e per il periodo di occupazione senza titolo.

Emergeva in corso di causa anche questione di competenza, dovendosi sciogliere il dubbio se in sede di liquidazione dell’indennizzo ex art. 42 bis dovesse essere adito il Tribunale territorialmente competente, nel rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione, ovvero dovesse seguirsi la regola della competenza in unico grado della Corte d’Appello ai sensi dell’art. 29 co. 1 e 2 del d. lgs. n. 150 del 1 settembre 2011.

Veniva a tal uopo proposto regolamento di competenza in virtù del provvedimento con cui il Tribunale di Roma adito declinava la sua competenza in favore della Corte di Appello, ritenuta competente in unico grado.

In sede di risoluzione del conflitto di competenza, il ricorso veniva assegnato alle Sezioni Unite in quanto la questione trattata risultava essere di “particolare importanza sia sotto il profilo della giurisdizione, sia sotto il profilo della competenza, attesa la novità del richiamato art. 42 bis, che ha sostituito l’art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001 dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale del medesimo con la sentenza n. 293 del 2010 della Corte Costituzionale”.

La Corte anzitutto precisa che, pur essendo stata adita con regolamento di competenza, può porsi d’ufficio anche la questione di giurisdizione, osservando come tale ultima problematica sia pregiudiziale rispetto alla prima, anche in virtù di quanto sostenuto dalla Adunanza Plenaria n. 5\2015 sull’ordo quaestionum che, nel definire la tassonomia delle questioni su cui il giudice deve pronunciarsi, pone quella sulla giurisdizione al vertice di tale accertamento.

È  principio questo essenziale per qualsiasi giudice all’interno dell’ordinamento.

In particolare, qualora una sentenza di primo grado, recante l’espressa affermazione della giurisdizione del giudice adito e la successiva declinatoria di competenza, sia stata impugnata con regolamento di competenza (inteso come facoltativo), proprio in virtù del fatto che ancora non si è formato giudicato sulla questione di giurisdizione, è permesso alla Corte di pronunciarsi sul punto,  rilevando il relativo difetto ai sensi dell’art. 37 c.p.c.

Tale norma infatti garantisce il rilievo, anche officioso, del difetto di giurisdizione in qualsiasi stato e grado del processo, purché su tale questione non si sia formato il giudicato, sia esso esplicito, sia esso implicito.

Pertanto, “attesi i concorrenti principi di pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto a quella di competenza, di economia processuale, di ragionevole durata del processo e  l’attribuzione costituzionalmente riservata a tale corte di tutte le predette questioni, nonché il rilievo che la statuizione sulla sola questione di competenza risulterebbe inutiliter data se l’impugnazione riguardante la questione di giurisdizione ne sancisse la carenza per quel giudice”, la Suprema Corte decide di risolvere in via preventiva la questione pregiudiziale sulla giurisdizione, richiamando le S.S.U.U.  n.29\2016.

Indica a tal fine la disciplina contenuta ai comma 1 e 3 dell’art. 42 bis d.P.R. 327 del 2001, oggetto dell’intervento nomofilattico.

L’art. 42 bis stabilisce infatti al co. 1 che “Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene” ; e al co. 3 che “Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l’occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell’articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”.

Procedendo da suddetta disciplina normativa, la Corte ricorda che la questione sulla giurisdizione è stata già risolta dalle stesse Sezioni Unite in favore del giudice ordinario con ordinanza n. 22096 del 2015, nella quale si affermava, “anche sulla scorta di condivise considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 71 del 2015” – con la quale si poneva fine ai dubbi di legittimità del nuovo art. 42 bis, in un percorso di evoluzione rispetto al previgente art. 43 d.P.R. 327\2001 – che “l’indennizzo per pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all’indennizzo medesimo natura non già di risarcimento ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario”.

Non si tratta dunque di risarcimento consequenziale ad un comportamento illecito collegato all’esercizio del potere autoritativo della P.A., non potendosi attribuire la giurisdizione al g.a. ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 133 lett. g) c.p.a. ed in esplicazione della sentenza n. 204\2004 della Corte Costituzionale.

Il dubbio sorge, tuttavia, perché oggetto della controversia è altresì l’interesse del 5% sul valore venale del bene, quale somma ulteriore da corrispondere a titolo di risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo, ai sensi del co.3 dell’art. 42 bis. La Corte, pertanto, si è posta l’interrogativo se tale ulteriore somma da corrispondere “a titolo risarcitorio”  sia tale da mutare la natura del diritto dell’espropriato: non più indennitaria, ma “propriamente risarcitoria”, dovendosi giungere in tal caso a conclusione opposta rispetto a quanto precisato dalle Sezioni Unite.

La Corte tuttavia giunge a soluzione negativa, in quanto dalla lettura del combinato disposto dei comma 1, 3 e 4 dell’art. 42 bis “emerge che l’interesse del 5% annuo sul valore venale dell’immobile, menzionato al comma 3, non è che una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale previsto al comma 1”. L’indennizzo sarà dunque comprensivo, ove si provi il danno, di tre voci: valore venale del bene, pregiudizio patrimoniale e interesse del 5% annuo per il periodo di occupazione senza titolo.

Si conclude, pertanto, che l’utilizzo del termine “risarcitorio” del comma 3 dell’art. 42 bis sia una “mera imprecisione lessicale, che non altera la natura della corrispondente voce dell’indennizzo”. Questo, in quanto unitario, non può essere scisso in voci che, ove prese singolarmente, possano determinare la frammentazione di un fatto allo stesso modo unitario, con la conseguenza di dover adire due giudici di diversa giurisdizione, frustando nel contempo il principio dell’unità della giurisdizione, della concentrazione e dell’economia processuale e della effettività della tutela giurisdizionale, sanciti a livello costituzionale agli artt. 24 e 111 Cost.

Più precisamente, ove si accedesse alla tesi opposta, l’espropriato avrebbe il doppio onere di agire dinanzi al g.o. per ottenere l’indennizzo e dinanzi al g.a. per ottenere il risarcimento.

Risolta a favore del g.o. la questione pregiudiziale di giurisdizione, la Corte ha proceduto poi a risolvere la questione di competenza.

Il dubbio emerge rispetto all’applicabilità dell’art. 29 co. 1 e 2 del d.lgs. n. 150 del 1 settembre 2011, secondo cui le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327\2001 sull’espropriazione per pubblica utilità sono di competenza della Corte di Appello in unico grado nel cui distretto si trova il bene espropriato, ovvero se la relativa domanda sia invece soggetta all’ordinario principio del doppio grado di giurisdizione, a causa della mancanza di qualsiasi collegamento esplicito tra l’art. 42 bis d.P.R. 327\2001 e l’art. 29 d.P.R. n. 150\2011.

In sede di difesa, la parte ricorrente metteva in evidenza che la regola della competenza della Corte d’Appello in unico grado è di per sé eccezionale – perché derogatoria della generale regola del doppio grado di giurisdizione – ed in quanto tale non applicabile in via analogica in virtù del divieto contenuto all’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi); evidenziando, altresì, l’eccezionalità dell’istituto dell’acquisizione sanante ex art. 42 bis, ostativa ad una deroga alla regola generale, a garanzia dei superiori principi di effettività della tutela e di difesa.

Tuttavia, la Suprema Corte sostiene che “evidenti esigenze di coerenza del sistema” fanno propendere per l’applicabilità della disciplina della competenza in unico grado della Corte d’Appello, in quanto dalla lettura sistematica di altre norme in materia determinazione dell’indennità espropriativa emerge che tale competenza è la regola.

Infatti, la Corte fa riferimento ad altre norme che, in suddetta materia, radicano la competenza in unico grado della Corte d’Appello, quali, da un lato, l’art. 39 del d.P.R. n. 327\2001 in tema di determinazione delle indennità per la reiterazione di vincoli preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi e, dall’altro, l’art. 50 del medesimo decreto in tema di occupazione, oltre infine quanto previsto all’art. 54 in tema di opposizione alla stima dell’indennità.

In virtù di tali considerazioni, la Corte perviene alla conclusione che quella della competenza della Corte d’Appello in unico grado è “in realtà regola generale prevista dall’ordinamento per la determinazione giudiziale delle indennità dovute nell’ambito di un procedimento espropriativo, a fronte della privazione o della compressione del diritto dominicale dell’espropriato”.

Allora alla medesima regola soggiace anche la determinazione dell’indennità ex art. 42 bis: è conclusione questa cui può giungersi solo a seguito della interpretazione estensiva (e dunque non analogica) dell’art. 29 d.lgs. n.150\2011 sulla competenza in unico grado della Corte d’Appello.

Non rileva tanto meno, a parere della Corte, il fatto che l’istituto dell’occupazione sanante sia del tutto peculiare all’interno dell’ordinamento, poiché, per quanto possa essere istituto sui generis, dal passato travagliato, ha “natura certamente espropriativa” attribuendo “natura certamente indennitaria del diritto dell’espropriato”.

Risolvendo la questione, la Corte dichiara la competenza della Corte d’Appello in unico grado, procedendo alla risoluzione dell’ennesima problematica connessa all’istituto dell’acquisizione sanante.

Dott. Luca Vitale

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