Ammissibilità della responsabilità precontrattuale in ipotesi di contratto valido

Ammissibilità della responsabilità precontrattuale in ipotesi di contratto valido

Tradizionalmente dottrina e giurisprudenza si sono attestate sul riconoscimento della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale. Cionondimeno, la valorizzazione del principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. – che, come noto, ha pervaso in maniera dirompente molteplici ambiti dell’ordinamento civilistico – si è più recentemente riverberata sulla vexata quaestio della natura di tale responsabilità ed ha imposto, così, un ripensamento di fondo degli schemi entro i quali è sussumibile il comportamento del soggetto che violi i doveri di buona fede e correttezza nelle fasi che presiedono alla conclusione di un contratto.

Se la responsabilità ex art. 2043 c.c. postula l’assenza di qualsivoglia relazione tra il soggetto attivo e passivo ed origina piuttosto dalla violazione di obblighi dal contenuto eminentemente negativo che incombono sulla generalità dei consociati (obblighi che ben possono essere compendiati nell’esigenza del “neminem ledere”), la responsabilità contrattuale si giustifica sulla base di una pregressa e specifica relazione intersoggettiva tra creditore e debitore.

Ebbene, la reiteratamente avvertita esigenza di potenziare ed espandere il perimetro applicativo dei doveri di solidarietà sociale di cui la Costituzione si fa garante, ha indotto progressivamente la giurisprudenza ad individuare dei veri e propri obblighi di protezione gravanti su soggetti legati da una relazione qualificata, ancorché non propriamente qualificabile come contratto; obblighi di protezione la cui violazione sarebbe foriera di una responsabilità c.d. da contatto sociale, il cui trattamento normativo sarebbe assimilabile a quello proprio della responsabilità contrattuale.

Sulla scorta di tali considerazioni la giurisprudenza (ordinaria e amministrativa) ha, più di recente, ricondotto la responsabilità precontrattuale entro i meandri di quella derivante da contatto sociale, cui è interamente esportabile il trattamento normativo di quella contrattuale. L’avvio delle trattative, infatti, ove idoneo a fondare un ragionevole affidamento su una prosecuzione delle stesse secondo i dettami di buona fede e correttezza, determinerebbe il sorgere di una relazione qualificata tra i contraenti che impone il rispetto da parte di entrambi di obblighi di protezione (segnatamente di carattere informativo) differenti e ulteriori rispetto agli obblighi di prestazione in senso stretto.

Questo è quanto confermato anche dalla recentissima sent. Cass. 14188/2016 che si è occupata della responsabilità della pubblica amministrazione la quale, a valle della stipula di un contratto con il privato, non abbia ottenuto la approvazione tutoria idonea a perfezionare il contratto stesso. Secondo la s c., costituendo tale approvazione condizione sospensiva dell’efficacia del contratto, in assenza della stessa non si potrebbe ritenere sussistente una responsabilità contrattuale in senso stretto. In ogni caso sarebbe comunque riscontrabile una responsabilità da contatto sociale qualificato in quanto le trattative condotte e sfociate nella stipula del contratto possono indubbiamente ritenersi idonee a fondare un affidamento particolarmente qualificato del privato in ordine alla produzione di effetti contrattuali.

Alla base di tale mutamento di rotta vi stanno sicuramente considerazioni di carattere sostanziale relative al rafforzamento degli obblighi solidaristici di protezione e, di riflesso, della clausola generale di buona fede di cui all’art. 1337 c.c.; ma vi stanno anche considerazioni di carattere sistematico: la riconduzione della responsabilità precontrattuale – che non incombe sul quisque de populo bensì su un soggetto cui è ragionevole addossare obblighi di protezione della sfera giuridica dell’altro contraente – entro gli schemi dell’art. 2043 c.c. determinerebbe, innanzitutto, la sostanziale inutilità dell’art. 1337(il fondamento della responsabilità si potrebbe rinvenire sic et simpliciter nello stesso art. 2043 c.c.); inoltre svuoterebbe la portata precettiva dell’art. 1173 c.c. che, nel prevedere un tertium genus di fonti dell’obbligazione oltre al contratto e al fatto illecito, si riferisce proprio a fenomeni del tipo di quello analizzato.

La tesi della natura sostanzialmente contrattuale della responsabilità de qua pare, peraltro, essere rafforzata della recente pronuncia delle S.U. 4628/2015 in merito al preliminare di preliminare, il cui reticolo motivazionale palesa considerazioni perfettamente in sintonia con quanto sopra detto. La pronuncia muove infatti dall’assunto per cui dalla conclusione del pre-preliminare, ancorché questo non sia qualificabile come contratto tout court ma sia assimilabile piuttosto ad una minuta o puntuazione, discendono precipui obblighi di correttezza di carattere lato senso contrattuale il cui inadempimento è foriero di responsabilità precontrattuale.

Tali premesse costituiscono il substrato giuridico-concettuale necessario per comprendere il percorso intrapreso dagli interpreti teso ad una proliferazione delle condotte potenzialmente integranti responsabilità precontrattuale.

L’individuazione di una più vasta gamma di obblighi informativi non può, infatti, che tradursi nella comparsa di altrettante ipotesi di responsabilità precontrattuale.

In passato, il contenimento delle potenzialità applicative della clausola di buona fede di cui all’art.1337 c.c. veniva professata sulla base di una ricostruzione dei rapporti tra questa norma e quella di cui all’art.1338 c.c. in termini di radicale diversità.

La prima – ancorché l’ampio tenore letterale della clausola di buona fede lasciasse presagire un novero alquanto elastico di ipotesi di responsabilità – veniva confinata al fenomeno del recesso ingiustificato dalle trattative; la seconda era volta a sanzionare una specifica ed esclusiva ipotesi di responsabilità precontrattuale, laddove fosse stato violato un obbligo informativo in merito alla sussistenza di cause di invalidità (o inefficacia).

Dunque, non si attribuiva alcuna rilevanza a contegni omissivi relativi ad aspetti diversi dalla conoscenza di cause di invalidità, a meno che questi non avessero integrato un’ipotesi di recesso ingiustificato.

Successivamente, un diverso approccio ermeneutico – più correttamente teso ad individuare un rapporto da genere a specie tra le due norme – ha consentito di sdrammatizzare il dogma della inconfigurabilità di obblighi informativi ulteriori a quello di cui all’art.1338 c.c.

Di sicuro non sono stati neutri, rispetto a tale fenomeno, gli innumerevoli interventi legislativi volti a positivizzare e tipizzare specifici obblighi informativi nei rapporti c.d. asimmetrici, vale a dire postulanti una asimmetria informativa tra i contraenti tale per cui è ragionevole ed anzi auspicabile rafforzare la tutela di quello più debole (vedasi la disciplina tracciata dal codice del consumo o quella sui contratti relativi ai servizi di investimento).

Posto, dunque, che obblighi informativi ulteriori a quelli di cui all’art.1338 c.c. sono indubbiamente immaginabili, il problema è capire quali siano i criteri utilizzabili per la loro concreta individuazione e quali le conseguenze giuridiche che discendono dalla loro violazione.

Quanto al primo profilo, in tanto un obbligo di informare la controparte è predicabile in quanto verta su circostanze che quest’ultima non è in grado di reperire da se con uno sforzo ragionevolmente esigibile. Detto altrimenti, nella contrattazione tra eguali è necessario ricercare, alla luce del concreto assetto di interessi, un giusto equilibrio tra obbligo di informare e onere di informarsi. Indubbiamente non possono costituire oggetto di un obbligo informativo quelle circostanze che, lungi dal possedere un’oggettiva rilevanza ai fini della complessiva economia contrattuale, assurgano piuttosto a motivi puramente soggettivi, come tali tendenzialmente irrilevanti per il nostro ordinamento giuridico.

Tutto quanto finora detto conduce in definitiva ad una rivalutazione dell’obbligo di buona fede di cui all’art.1337 c.c., che diviene norma cardine nel contesto della responsabilità precontrattuale, salvo poi individuare nel caso concreto gli obblighi informativi specificatamente predicabili.

In tale clima, le potenzialità applicative della norma divengono talmente ampie da aprire la strada al riconoscimento di una RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE RELATIVA AD UN CONTRATTO VALIDO.

Del resto, dottrina e giurisprudenza oggi nettamente dominanti rimarcano la radicale distinzione sussistente tra regole di comportamento e regole di validità.

Un orientamento ormai obsoleto riteneva che la violazione di regole di comportamento potesse rilevare solo laddove le trattative non fossero sfociate nella stipula del contratto; tale stipula si riteneva segnasse infatti il passaggio ad un nuovo schema relazionale tra i contraenti, nel quale era possibile attribuire rilevanza alla violazione di obblighi comportamentali solo in quanto questi venissero assorbiti da vizi invalidanti il contratto.

Oggi, invece, si predica la radicale distinzione tra le due tipologie di regole e la non pregiudizialità delle une rispetto alle altre.

Chiarito ciò, rimane comunque da chiedersi in presenza di quali presupposti sia ravvisabile una responsabilità da contratto valido; occorre chiedersi, in altri termini, in quali casi la violazione di obblighi informativi che non incide sulla validità del contratto possa costituire fonte di responsabilità.

Un’ipotesi di responsabilità precontrattuale derivante da contratto valido di sicuro sussiste nel caso in cui un contraente abbia utilizzato dei raggiri; raggiri che, pur non essendo stati tali da determinare il consenso dell’altro contraente, abbiano indotto quest’ultimo ad accettare delle condizioni deteriori rispetto a quelle che avrebbe preteso qualora i raggiri non fossero stati messi in atto. Vi è una specifica norma, l’art. 1440 c.c., che tipizza infatti tale fattispecie.

Avverso il riconoscimento di ulteriori e atipiche ipotesi di tale tipo di responsabilità vengono mosse delle riserve.

Innanzitutto si sottolinea la lesione che ne deriverebbe al principio di insindacabilità dell’equilibrio economico siccome voluto dalla parti: il contratto è affare dei privati, e il principio di autonomia contrattuale di cui all’art.1322 c.c. impedisce qualsivoglia intervento volto a sostituire o integrare tale autonomia con forme di “decisionismo giudiziale”.

Un’altra argomentazione che viene addotta al fine confinare il risarcimento del danno derivante da contratto valido entro le strette maglie dell’art.1440 c.c. fa leva sulla natura eccezionale di tale norma. In ossequio al brocardo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, non si potrebbe attribuire rilevanza a reticenze informative che non integrino un’ipotesi di dolo incidente.

Di diverso avviso sono i sostenitori della c.d. “teoria dei vizi incompleti del contratto”. Essa attribuisce rilevanza, ai fini della responsabilità precontrattuale, a circostanze che – pur potenzialmente integrabili un vizio del volere- non abbiano in concreto superato una soglia di gravità tale da determinare la invalidità del contratto.

Non può che ravvisarsi in tale orientamento una radicale rivalutazione della norma sul dolo incidente che, lungi dal costituire eccezione alla regola, assurgerebbe essa stessa a regola generale. Si aprirebbe cosi la strada alla configurabilità di ipotesi di “errore incidente”, pur in assenza di specifici referenti normativi.

In sostanza, tale teoria consentirebbe di attribuire rilevanza all’errore determinato dall’altrui reticenza informativa non solo quando – essendo tale errore essenziale e riconoscibile – costituisce causa di invalidità del contratto, ma anche quando induce la parte a contrattare a condizioni più sfavorevoli.

La compatibilità tra responsabilità per violazione di obblighi informativi e mantenimento del contratto potrebbe essere affermata anche imboccando un’altra via: riconducendo la reticenza informativa entro il perimetro applicativo del dolo incidente.

Malgrado tradizionalmente si escluda tale equiparazione in quanto il dolo richiede delle condotte attive integranti artifici o raggiri, da alcuni anni tale incompatibilità viene sdoganata da parte di dottrina e giurisprudenza.

Indubbiamente questo è quanto accade nella ricostruzione della fattispecie di dolo determinante, vale a dire dolo che causa l’annullamento del contratto. Muovendo dalla distinzione tra mero silenzio e “silenzio circostanziato” ben si potrebbe, in quest’ottica, attribuire rilevanza -in qualità di artifici o raggiri- a quelle reticenze informative che siano sorrette dalla intenzionalità di omettere e che abbiano cagionato un errore determinante l’altrui consenso.

Si potrebbe azzardare di estendere tale compatibilità anche ai rapporti tra reticenza informativa e dolo incidente ma, a dire il vero, non ci sono ad oggi referenti giurisprudenziali che corroborano un siffatto assunto.

La vexata quaestio della ammissibilità della responsabilità precontrattuale correlata ad un contratto valido è stata affrontata da una pronuncia delle S.U 26724/2007, relativa alla responsabilità precontrattuale in cui può incorrere l’intermediario finanziario.

Tale sentenza, avallando innanzitutto la tesi della individuabilità di obblighi informativi ulteriori a quelli di cui all’art.1338 c.c., giunge ad ammettere la tendenziale configurabilità di una responsabilità precontrattuale discendente dalla violazione di tali obblighi informativi, anche laddove tale violazione non abbia ostato alla conclusione di un valido ed efficace contratto. Le S.U. confutano, infatti, l’idea dominante in passato secondo cui dalla violazione dei doveri di correttezza e buona fede dell’intermediario discenda la nullità del contratto per contrasto a norme imperative: le norme che impongono doveri di informazione – contenute nei contratti quadro di intermediazione finanziaria – non sono, infatti, regole di validità ma regole di comportamento.

Al fine di bypassare le riserve da sempre manifestate avverso la configurabilità di una responsabilità da contratto valido, le S.U. specificano tuttavia che presupposto imprescindibile della stessa sia una attenta analisi delle circostanze del caso concreto. È necessario infatti individuare un rigido criterio selettivo che, consentendo di effettuare un distinguo tra obblighi informativi particolarmente qualificati e non, eviti una eccessiva estensione del concetto di reticenza informativa giuridicamente rilevante.

Tale criterio selettivo è costituito dalla sussistenza di un referente normativo lato senso inteso delle ipotesi di responsabilità precontrattuale da contratto valido: è necessario individuare una norma che, se non tipizzante espressamente siffatta ipotesi di responsabilità (come fa l’art.1440 c.c. sul dolo incidente), quantomeno tipizzi l’obbligo informativo che deve essere osservato per non incorrervi.

Conclusioni, queste, che – sebbene non unanimemente accolte in dottrina e giurisprudenza- paiono giungere ad un equo compromesso tra le antitetiche istanze che da decenni interessano la materia della responsabilità precontrattuale.

Da ultimo, merita un accenno quel filone giurisprudenziale che ammette la risarcibilità del danno precontrattuale anche quando, pur assurgendo la reticenza informativa a causa di invalidità del contratto, cionondimeno tale invalidità non sia stata fatta valere. Sarebbe, infatti, ragionevole consentire al deceptus o alla vittima di errore o violenza di optare per soluzione più idonea a reintegrare il pregiudizio subito: chiedere l’annullamento del contratto oppure mantenerlo in vita (magari perché nelle more della vicenda è subentrato un suo interesse al consolidamento degli effetti derivanti dal contratto stesso) (sent. 21255/2013 “caso Fininvest”).

L’adesione all’idea dell’ammissibilità di una responsabilità precontrattuale da contratto valido impone un’indagine volta ad individuare l’esatta connotazione dell’interesse di cui si chiede il ristoro.

Le classiche ipotesi di responsabilità precontrattuale – recesso ingiustificato dalle trattative e mancata comunicazione di cause di invalidità – sono, come noto, correlate alla violazione di un interesse negativo del creditore. Interesse che, originariamente confinato al danno emergente e oggi invece esteso anche al lucro cessante, copre le perdite subite per i costi sostenuti e il mancato guadagno che sarebbe derivato da altre trattative che il creditore non ha coltivato facendo affidamento su un conveniente esito della contrattazione intrapresa. Circostanze, queste, che devono essere specificamente provate dal creditore.

La responsabilità da contratto valido postula invece la risarcibilità del danno derivante dal c.d. INTERESSE POSITIVO VIRTUALE: il creditore ha diritto di ottenere una somma pari alla differenza tra il valore del contratto che egli avrebbe plausibilmente concluso se fosse stato a conoscenza delle circostanze omesse da controparte e il valore del contratto effettivamente stipulato.

È evidente come l’individuazione dell’interesse positivo virtuale postuli la fictio iuris della conclusione di un contratto diverso da quello in concreto stipulato. La ratio è quella di consentire il recupero del costo-opportunità connesso alla conclusione di un contratto valido ma sconveniente; costo-opportunità che consiste nella migliore chance di guadagno a cui un soggetto rinuncia per concludere una determinata operazione economica.

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