Appalti e concessioni alla luce del D. lgs. 50/2016 e potere di autotutela della P.A.
Nell’ordinamento amministrativo uno dei settori di maggior rilievo è quello riguardante la disciplina dei contratti pubblici, oggetto di una recente e importante riforma. Il previgente D. lgs. 163/2006, denominato Codice dei contratti pubblici, ha costituito finora la fonte organica di disciplina dei contratti pubblici di appalto e di concessione, ed è stato abrogato con l’entrata in vigore del D. lgs. 50/2016, in attuazione del recepimento delle direttive 2014/23, 2014/24 e 2014/25/UE.
Preliminarmente all’esame delle novità apportate dalla nuova disciplina, è necessario affrontare i tratti distintivi tra appalto e concessione in ambito comunitario. Nella normativa in oggetto entrambi i contratti citati sono contratti passivi, ossia negozi che comportano una spesa in capo al soggetto pubblico, a differenza dei contratti attivi (quali compravendita e locazione), che determinano un guadagno a fronte dell’attività contrattuale. Essendo contratti, l’appalto e la concessione pubblici fanno sorgere una relazione giuridica intersoggettiva tra soggetti diversi, cioè titolari di interessi diversi. Nella odierna definizione contenuta nell’art. 3 del D. lgs 50/2016, gli appalti pubblici hanno ad oggetto lavori, servizi o forniture, mentre le concessioni pubbliche possono riguardare lavori o servizi. La prima distinzione sostanziale tra i due tipi di contratti pubblici risiede nella loro definizione giuridica, in quanto ai sensi dell’art. 3, lett. ii), l’appalto pubblico è un contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una stazione appaltante e un operatore economico, ad oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi. Gli elementi distintivi dell’appalto pubblico sono quindi la determinazione di un oggetto, che consiste in una prestazione idonea a realizzare un interesse pubblico che fa capo alla stazione appaltante, e la previsione dell’obbligo di un corrispettivo in capo alla stazione appaltante a favore dell’appaltatore. La concessione pubblica, ad oggetto lavori o servizi, definita all’art. 3, lett. uu) e vv), si distingue dall’appalto per l’elemento del corrispettivo e per la gestione del rischio operativo. Se nell’appalto il corrispettivo corrisponde ad un compenso monetario determinato, nelle concessioni pubbliche l’onerosità coincide con la previsione del diritto del concessionario di gestire l’opera o il servizio oggetto del contratto, a cui si lega il rischio operativo di gestione. La peculiarità del contratto di concessione risiede infatti in questo profilo aleatorio rappresentato dal rischio operativo, inteso dall’art. 3, lett. zz), D .lgs. 50/2016 come il rischio legato alla gestione dei lavori e dei servizi sul lato della domanda o dell’offerta che incombe sul concessionario. Tale definizione determina l’incertezza per il concessionario di recuperare le spese e gli investimenti attuati per la stipula del contratto nel rapporto con l’utenza. Da qui emerge un’altra chiara differenza tra appalto e concessione, perché con il primo si instaura un rapporto giuridico bilaterale tra stazione appaltante e aggiudicatario, mentre nella concessione si realizza un rapporto trilaterale tra concedente, concessionario e utenza. Nella normativa comunitaria appalti e concessioni sono contratti di diritto privato con oggetto pubblico, perciò godono di una disciplina speciale rispetto all’ordinamento interno. Nel nostro ordinamento l’appalto è un contratto soggetto alla disciplina civilistica di cui agli artt. 1655 e seguenti, c.c., mentre la concessione si configura come un provvedimento amministrativo soggetto alla disciplina generale contenuta nella Legge 241/1990.
Nella disciplina dei contratti pubblici un aspetto di rilevante importanza è rappresentato dall’esercizio del potere di autotutela decisoria da parte della P.A., in qualità di stazione appaltante o concedente, nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica. Posto che la materia dei contratti pubblici è regolata dal Codice in modo espresso, con rinvio alle norme civilistiche e a quelle contenute nella L. 241/1990 per quanto non espressamente previsto dalle norme di settore, risulta di primaria importanza valutare l’esercizio del potere contrattuale da parte di un soggetto pubblico. Le più importanti riforme in tema di azione amministrativa hanno inciso sull’ampliamento dei poteri assegnati alla P.A., permettendo che questa possa scegliere se agire in modo unilaterale e autoritativo con l’adozione di un provvedimento, o in modo convenzionale con la stipula di un contratto. La legge 15/2005 ha introdotto il comma 1bis all’art. 1, L. 241/1990, con il quale si sancisce la capacità contrattuale della P.A., con rinvio alla disciplina privatistica qualora agisca in modo non autoritativo. Nella stipula di contratti pubblici la previsione di un rinvio alle norme civilistiche comporta che la P.A. sia in posizione paritaria rispetto all’altro contraente e che possa esercitare i poteri di cui è titolare, sotto il profilo privatistico e pubblicistico. Nella disciplina di settore la conclusione del contratto pubblico è frutto della realizzazione di una fase procedimentale, denominata procedura ad evidenza pubblica, sorretta dai principi generali dell’azione amministrativa di cui all’art. 1, Legge 241/90, durante la quale la P.A. decide il tipo e il contenuto di contratto da stipulare in relazione all’interesse pubblico da soddisfare. La stipula del contratto pubblico di appalto o concessione è un momento autonomo della vicenda negoziale ed interviene a seguito di un procedimento amministrativo, disciplinato da norme pubblicistiche, durante il quale la P.A. manifesta la propria volontà a contrarre e provvede alla scelta del contraente. Può accadere che dopo l’espletamento della procedura ad evidenza pubblica e la successiva stipula del contratto, la P.A. accerti la sussistenza di ragioni originarie o sopravvenute a causa delle quali debba rivalutare il contenuto di atti già adottati e incidenti sulla sfera giuridica di terzi .
E’ necessario in questa sede esaminare i limiti all’esercizio del potere di autotutela nell’ambito dei contratti pubblici, svolgendo un’operazione di confronto tra la previgente e l’odierna disciplina. L’autotutela decisoria, introdotta dalla L. 15/2005, consiste nel potere della P.A. di tornare sulle proprie decisioni in presenza di specifici presupposti richiesti ex lege, e può realizzarsi con l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio ex art. 21nonies, L. 241/1990, e di revoca ai sensi dell’art. 21quinquies della stessa legge. In materia di contratti pubblici il profilo di novità risiede nel ruolo del soggetto pubblico, che assume le vesti del contraente in senso privatistico, che ha posizione paritetica rispetto all’operatore economico scelto come contraente, ma rimane comunque titolare di poteri amministrativi specifici (quale quello di autotutela).
Nella previgente disciplina contenuta nel D. lgs. 163/2006, in tema di appalti pubblici l’art. 11, c. 9 introduceva il riferimento all’esercizio del potere generale di autotutela nei casi previsti dalle norme vigenti dopo l’aggiudicazione definitiva, mentre gli artt. 134-135-136 erano dedicati agli istituti civilistici del recesso e della risoluzione del contratto pubblico, contemplati per ipotesi specifiche. L’esercizio del potere di autotutela era quindi ammesso in via generale, anche dopo l’aggiudicazione definitiva, nel rispetto dei presupposti individuati dagli artt. 21quinquies e 21nonies della Legge 241/90.
Per limitare l’esercizio incondizionato di tale potere anche dopo l’aggiudicazione definitiva del contratto, a seguito della quale sorge un legittimo affidamento dell’aggiudicatario alla stipula del contratto, è intervenuta la giurisprudenza amministrativa che, con sentenza 14/2014 dell’Adunanza Plenaria, ha chiarito che ogniquavolta è previsto l’esercizio di un potere privatistico si esclude la titolarità di un potere pubblicistico e viceversa. Tale assunto ha come conseguenza immediata il fatto che l’introduzione dell’istituto del recesso in qualunque tempo ai sensi dell’art. 134 esclude l’esercizio del potere di revoca, vista l’identità dei presupposti a cui tali poteri sono subordinati. Il diritto potestativo del recesso ,di matrice civilistica, comporta lo scioglimento del vincolo contrattuale in presenza di sopravvenute ragione di opportunità, al pari della revoca che è attuabile per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per mutamento della situazione di fatto a fondamento del provvedimento, o per nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. Per questi motivi, con la decisione sopra riportata si è sostenuta la possibilità per la P.A. di esercitare il potere di revoca fino all’avvenuta aggiudicazione, e di esercitare il potere di annullamento d’ufficio anche dopo la stipula del contratto, in quanto tale potere sussiste in presenza di vizi originari di illegittimità di un provvedimento. Al contrario, in tema di concessioni pubbliche, l’art. 158 del Codice previgente sanciva l’alternatività tra risoluzione per inadempimento o revoca d’ufficio per motivi di pubblico interesse, prevedendo in entrambi i casi un rimborso a favore del concessionario. Oggi il recepimento delle direttive europee del 2014 in materia di appalti e concessioni ha inciso fortemente sulla nuova disciplina contenuta nel D. lgs. 50/2016, entrata in vigore dal 18 aprile 2016 , determinando un ridimensionamento dei poteri pubblicistici della P.A. L’odierno Codice sui contratti pubblici prevede all’art. 30, c. 8, il rinvio espresso alla disciplina civilistica e alle disposizioni della Legge 241/1990. Per quanto concerne gli appalti pubblici, gli artt. 108 e 109 del D. lgs. 50/2016 disciplinano rispettivamente la risoluzione ed il recesso del contratto di appalto, desumendo da tale norme una restrizione dell’ambito di applicazione dell’autotutela. Secondo la tesi prospettata dalla decisione dell’Adunanza Plenaria sopra citata, la previsione degli istituti privatistici si sostituisce ai poteri di annullamento d’ufficio e di revoca, limitandone il campo di applicazione. Con riferimento alle concessioni pubbliche la vigente disciplina codicistica descrive un diverso regime rispetto agli appalti, sancendo in capo al concedente i poteri di cessazione, annullamento d’ufficio, revoca e risoluzione per inadempimento del contratto. L’art. 176, D. lgs. 50/2016, nel differenziare gli ambiti applicativi dei singoli poteri, legittima la P.A. all’esercizio del potere generale di autotutela anche oltre la stipula del contratto stesso, in presenza dei presupposti richiesti ex lege.
Terminata la comparazione tra la precedente e la nuova disciplina in tema di autotutela nei contratti pubblici, vanno infine esaminati i profili sostanziali e processuali sul punto.
Un aspetto oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale è rappresentato dall’ esercizio del potere di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva dopo la stipula del contratto pubblico, per quanto concerne la giurisdizione e i poteri assegnati al giudice. L’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, sia giurisdizionale che operato a titolo di autotutela, può causare la cessazione del vincolo contrattuale sorto tra il soggetto pubblico e l’operatore economico scelto durante la procedura ad evidenza pubblica. Sugli effetti prodotti dall’annullamento dell’aggiudicazione sono emersi numerosi orientamenti dottrinali diversi, per cui secondo una prima tesi l’annullamento determina la nullità strutturale del contratto, mentre un’altra impostazione ha affermato la tesi dell’annullabilità del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione definitiva. Per dirimere il contrasto, risulta risolutiva la lettura dell’art. 121 c.p.a., secondo cui dall’annullamento dell’aggiudicazione pronunciato dal giudice deriva l’inefficacia del contratto. La tesi dell’inefficacia è suffragata dal dettato legislativo, ma è stata da alcuni criticata perché sembra riferirsi alla sola ipotesi di annullamento giurisdizionale e non all’annullamento a titolo di autotutela, a cui conseguirebbe un effetto automatico caducante sul contratto. Per stabilire quale sia il giudice munito di giurisdizione si sono contrapposti due diverse impostazioni, delle quali la prima distingueva la procedura ad evidenza pubblica dalla fase di esecuzione del contratto e incardinava la giurisdizione innanzi al G.A. fino all’avvenuta aggiudicazione, mentre riteneva sussistente la giurisdizione del G.O. nella fase successiva alla stipula del contratto. Secondo tale tesi lo spartiacque tra le due giurisdizioni è la conclusione del contratto pubblico, perciò ogni vicenda successiva a tale atto, come l’annullamento dell’aggiudicazione a seguito della stipula, era rimessa al G.O. Un’ altra tesi sosteneva che il giudice naturale della procedura ad evidenza pubblica era il G.A., quindi lo stesso giudice doveva essere munito di giurisdizione in tema di annullamento dell’aggiudicazione, con riflessi sulla fase di esecuzione del contratto. Nel superare i conflitti dottrinali l’art. 133 c.p.a., delineando le ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A., ha previsto al c. 1, lett. e), n. 1, che siano devolute al G.A. le controversie ad oggetto la dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione. Il tenore letterale della norma pare avere chiarito il problema della giurisdizione, incardinata innanzi al G.A. per il principio di concentrazione della giurisdizione, ma su questo profilo vi è tuttora un orientamento giurisprudenziale contrario che tende a distinguere la giurisdizione nella fase antecedente e successiva alla stipula del contratto. Sulla natura esclusiva della giurisdizione amministrativa in riferimento a tale settore, va riportato un orientamento secondo il quale si tratterebbe di giurisdizione di merito, in quanto il giudice amministrativo si sostituisce alla P.A. nel privare di efficacia il contratto pubblico stipulato. La tesi enunciata viene comunque superata dalla prevalenza del dettato dell’art. 133 c.p.a., che configura un’ipotesi di giurisdizione esclusiva non fraintendibile in alcun modo come giurisdizione di merito. Sui poteri assegnati al giudice, va precisato che la giurisdizione esclusiva amministrativa sussiste sia nel caso di annullamento d’ufficio che giurisdizionale, in quanto ai sensi dell’art. 133 c.p.a. non vi sarebbe alcuna distinzione a riguardo. Sul potere-dovere del giudice di pronunciare l’inefficacia del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione la legge nulla prevede, ma in conformità al principio dispositivo si ritiene necessario che la parte interessata proponga domanda di inefficacia del contratto a seguito dell’annullata aggiudicazione. Non sarebbe perciò ammissibile alcun potere d’ufficio in capo al giudice, che ai sensi degli artt. 121 e 122 c.p.a., può dichiarare l’inefficacia del contratto valutando la gravità del vizio che inficia l’aggiudicazione e la portata degli interessi delle parti all’esecuzione del contratto. Le norme appena riportate determinano la natura costitutiva della sentenza di inefficacia del contratto, in quanto la stessa non è conseguenza immediata e automatica dell’annullamento, ma deve essere pronunciata in relazione ad una valutazione complessiva giurisdizionale. Perciò la pronuncia di inefficacia non è dichiarativa ma costitutiva, poiché dipende dall’esercizio di un potere discrezionale di cui il giudice amministrativo è titolare a seguito dell’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione.
In conclusione il potere di autotutela della P.A. ha perso il carattere della generalità in tema di contratti pubblici, dando spazio al ricorso ad istituti di origine civilistica, quali il recesso e la risoluzione del contratto, che nel nuovo Codice in materia trovano un maggiore ambito di applicazione e comportano l’esercizio dell’autotutela in casi specifici e residuali.
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Giulia Binaglia
Abilitata all'esercizio della professione forense da ottobre 2016. Specializzata nelle professioni legali da luglio 2015 e laureata all'Università degli Studi di Perugia da dicembre 2012 con la tesi in Diritto pubblico dell'economia dal titolo " Sussidiarietà ed organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali. Le soluzioni offerte dalla regione Umbria."
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