Autoriciclaggio: ai fini della configurabilità del reato, la condotta deve essere dotata di concreta capacità dissimulatoria
Non costituice elemento oggettivo del delitto di autoriciclaggio la condotta di versamento del profitto del furto su carta prepagata intestata allo stesso autore del delitto presupposto, difettando la capacità di occultare la provenienza delittuosa del denaro oggetto del profitto.
Ciò è quanto stabilito dai giudici della Seconda sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 33074 del 14 luglio 2016.
La questione riguardava due soggetti che, dopo essersi impossessati di una borsa contenente una carta bancomat, ne avevano prelevato una somma di denaro che, successivamente, avevano depositato su una carta prepagata a loro intestata. Il ricorso veniva proposto dal Procuratore della Repubblica di Torino avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Torino, che aveva disposto le misure cautelari della custodia cautelare in carcere e dell’obbligo di presentazione avverso i due soggetti, in ordine ai soli reati di furto ed utilizzo abusivo di carta bancomat, rigettando la richiesta con riguardo ai delitti di cui all’art. 648-ter co.1 cod. pen.
La Cassazione rigetta il ricorso.
Com’è noto, l’art. 648-ter co. 1 cod. pen. prevede la reclusione da quattro a dodici anni e la multa da 1.032 ai 15.493 euro per chi, fuori dai casi di concorso di reati e dai casi previsti dagli art. 648 e 648 bis, impiega in attività economiche e finanziarie denaro, beni o altra utilità provenienti da delitto.
Nel vagliare l’infondatezza del ricorso, i giudici della Corte si soffermano, in primo luogo, sulla nozione di attività economica e finanziaria ritenendo che “il mero deposito di una somma su carta prepagata non costituisce una forma di attività economica”, richiamando a tal proposito l’indicazione fornita dal codice civile all’art 2082, che definisce come economica solo quell’attività “finalizzata alla produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi”.
Allo stesso modo, i giudici escludono persino che la condotta possa ritenersi finanziaria, con ciò facendosi riferimento “ad ogni attività rientrante nell’ambito della gestione del risparmio ed individuazione degli strumenti per la realizzazione di tale scopo”. La Corte ritiene che per la punibilità ai sensi dell’art. 648 ter co.1 cod. pen., la nozione di attività finanziaria può ricavarsi dall’art. 106 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, che individua quali tipiche attività finanziarie quelle poste in essere dai soggetti intermediari finanziari, come “l’assunzione di partecipazioni, la concessione di finanziamenti, la prestazione di servizi di pagamento, l’attività di cambio valute, non rientrando in nessuna delle suddette attività la condotta degli indagati”.
In secondo luogo, i giudici della Corte precisano come la condotta, ai fini della configurabilià del delitto di autoriciclaggio, debba essere idonea ad “ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni e delle utilità impiegate”. Il concreto effetto dissimulatorio, dunque, “costituisce quel quid pluris, che differenzia la semplice condotta di godimento personale, non punibile, da quella di nascondimento del profitto illecito, punibile”. Tale carattere dissimulatorio, non è, a parere degli Ermellini, ravvisabile nel versamento di una somma in una carta prepagata intestata alla stessa autrice del fatto illecito.
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Cinzia Di Monte
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