CANCELLAZIONE CASSA FORENSE: i contributi versati vanno restituiti
Corte d’Appello Roma, 18 giugno 2014, n. 2219
Vademecum sulla restituzione dei contributi versati
a cura dell’avv. Michele Russo
L’avvocato che, non avendo maturato il diritto alla pensione, cessi l’iscrizione alla Cassa Forense, ha diritto alla restituzione dei contributi soggettivi da lui versati.
Nel caso in esame, un’avvocatessa, dopo essersi cancellata dall’Albo degli Avvocati, agiva in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della delibera 13 novembre 2004 assunta dal Comitato dei Delegati con la quale, in modifica dell’art. 4 del Regolamento della Cassa, era stata negata la possibilità della restituzione dei suddetti contributi.
In primo grado, veniva riconosciuto il diritto alla restituzione dei contributi soggettivi versati alla Cassa nel periodo 1 gennaio 1998 – 27 dicembre 2001.
La Cassa Nazionale Di Previdenza E Assistenza Forense proponeva gravame avverso la decisione di primo grado ma la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello.
In particolare, la Corte ha richiamato l’art. 21 della Legge n. 576/1980 secondo cui “coloro che cessano dalla iscrizione alla cassa senza avere maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione hanno diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’art. 10…”.
Conseguentemente, la Corte ha rilevato che tale norma ha derogato al principio solidaristico – che vuole il versamento dei contributi finalizzato al conseguimento di un interesse collettivo senza la relazione di sinallagmaticità tra contribuzione ed erogazione previdenziale, – e che tale norma disciplina una materia oggetto di riserva di legge alla quale l’ente Cassa è vincolato, senza che un proprio regolamento interno possa prevederne l’abrogazione o la deroga.
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Secondo la Corte, la Cassa Forense può solo adottare “provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, riparametrazione dei coefficienti di rendimento o modificazione di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro-rata in relazione alle anzianità maturate, nonché l’eventuale opzione per l’adozione del regime contributivo”.
La “non rimborsabilità dei contributi legittimamente versati” esula dunque da questi confini, essendo le fonti di rango primario le uniche abilitate ad incidere in materia previdenziale.
In conclusione, è stata ritenuta legittima la richiesta di restituzione dei contributi da parte del professionista.
Contra, confronta:
Cassazione civile, sez. lav., 06 giugno 2011, n. 12209
In tema di previdenza forense, è coerente con la facoltà di optare per il sistema contributivo (in quanto comportante un palese ampliamento dell’area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi versati legittimamente alla Cassa) la contestuale previsione (art. 4, comma 1, del regolamento della Cassa) della non restituibilità dei contributi medesimi; pertanto, al pari della opzione per il contributivo, la previsione della non restituibilità dei contributi risulta rispettosa dei limiti, idonea ad abrogare tacitamente la contraria previsione (di cui all’art. 21 l. n. 576/80) del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici. Né può derivarne la lesione di diritti quesiti (presupponente la loro maturazione prima del provvedimento ablativo), ovvero di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica, posto che la previsione della non restituibilità dei contributi legittimamente versati risulta coerente, da un lato, con la regola generale e, dall’altro con la previsione contestuale della facoltà di optare, a condizioni di maggior favore, per il sistema contributivo di calcolo della pensione.
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L’accertamento di una situazione di incompatibilità con l’iscrizione alla cassa forense comporta che l’iscritto ha diritto di ripetere dall’ente previdenziale i contributi versati dovendo ritenersi il relativo pagamento effettuato in adempimento di una obbligazione inesistente. La restituzione deve essere integrale, comprensiva quindi anche dei contributi integrativi.
Tribunale di Trani, sez. Lavoro, sentenza 2 maggio 2016, n. 807
L’avvocato in stato di bisogno economico ha diritto ai sensi dell’art. 17 della L. n. 141/1992 all’erogazione in suo favore del trattamento di assistenza ordinaria da parte di Cassa Forense.
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L’iscrizione alla Cassa Forense deve essere «effettiva», come espressamente prevede la l. 20 settembre 1980 n. 576, per cui, a fronte del dato storico della formale iscrizione, deve comunque ricorrere il concreto e protratto esercizio dell’attività professionale: in altri termini, è richiesta l’autenticità della situazione sottesa all’iscrizione, desumibile anche attraverso presunzioni semplici, quali la percezione di un reddito professionale minimo ai fini dell’IRPEF ovvero l’esistenza di un minimo volume d’affari ai fini dell’IVA, sicché legittimamente la Cassa può neutralizzare la contribuzione del professionista che, pur formalmente iscritto, sia portatore di requisiti reddituali e di volume d’affari sintomatici di una situazione apparente di esercizio di attività professionale non corrispondente alla situazione reale; la mancanza di tale effettività dell’iscrizione, intesa appunto come iscrizione che non si accompagni ad un’autentica e veritiera situazione di esercizio dell’attività professionale, inficia la correlativa contribuzione, sicché in tal caso il versamento dei contributi non è utile al fine dell’integrazione del prescritto requisito contributivo ed attribuisce a colui che l’ha eseguito solo il diritto ad ottenere il rimborso delle somme versate.
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