Cassazione: è diffamazione dare del “padrino”
Cass. Pen., sezione V, sentenza n. 44107 del 21 ottobre 2016
La Corte di Cassazione ha precisato che andrà condannato per diffamazione a mezzo stampa il giornalista che utilizzi, in un suo articolo, l’espressione “padrino”, in considerazione del fatto che, questa, evoca da un lato la connotazione prettamente mafiosa del termine, dall’altro l’agire in modo parallelo di una persona rispetto al potere dello stato al fine di ottenere illegittimi vantaggi.
Precedentemente la Corte d’Appello aveva confermato la condanna del ricorrente per diffamazione a mezzo stampa, precisando che il temine “padrino”, utilizzato nel suo articolo dal giornalista imputato per appellare un avvocato, avesse connotato diffamatorio, poiché, appunto, anche quando si volesse mettere da parte la connotazione propriamente mafiosa del termine, risultava comunque volto ad evocare “persona potente che agisce in modo parallelo al potere statuale”.
Nonostante dinanzi ai giudici di legittimità l’uomo avesse sostenuto che l’espressione, nel contesto dell’articolo, fosse stata utilizzata solamente per indicare persona destinataria di eredità forse non meritata, per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso è da considerarsi privo di fondamento giuridico e conseguentemente rigettato.
Infatti, sul punto, i giudici hanno osservato che l’alternativa ricostruzione offerta dall’impugnante non supera la motivazione dei giudici d’appello che ha illustrato come il termine utilizzato intendesse riferirsi al fatto che la parte offesa avesse ottenuto vantaggi sociali e professionali, superiori alle sue effettive capacità personali, per l’intervento di un “protettore” che agiva in modo trasversale nell’ambito delle istituzioni statuali, ossia in modo comunque non commendevole e trasparente.
Nel caso di specie, quindi, non sussistono i vizi di legittimità denunziati poiché la Corte d’Appello non ha interpretato in maniera arbitraria alla frase d’imputazione, bensì ferma l’inequivocabile allusione agli incarichi lucrosi ricevuti, ha colto il significato oggettivo del termine, volto, nello specifico, proprio a sottolineare la circostanza che l’avvocato ebbe a godere di poco trasparenti favoritismi da parte di un soggetto potente.
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Gennaro Dezio
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