Chiedere insistentemente soldi ai propri genitori è reato!

Chiedere insistentemente soldi ai propri genitori è reato!

L’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli è un dovere tutelato dall’art. 30 della Carta Costituzionale  e la Suprema Corte, con la sentenza numero 18974/2013, ha riconosciuto tale diritto anche a  tutela dei figli ormai adulti che non hanno ancora raggiunto unindipendenza economica.

La Corte ha sempre ritenuto che il dovere del genitore di sostenere il figlio adulto permane fino a quando la prole non sia in condizioni di mantenersi per mezzo di un impiego stabile ed adeguato alle capacità e prospettive di crescita professionale. Il tutto a meno che il figlio non abbia rifiutato un’attività lavorativa a lui adeguata o non abbia provveduto in alcun modo alla sua ricerca.

Tale dovere dei genitori, però, non può arrivare a giustificare determinate condotte intimidatorie dei figli nei confronti dei propri genitori.

La Corte di Cassazione penale, infatti, con sentenza n. 29795 del giugno 2016 ha ritenuto che integra il reato di “Atti persecutori”, di cui all’art. 612 bis c.p., la condotta del figlio che avanza continue  e insistenti richieste di denaro nei confronti dei propri genitori.

A parere della Suprema Corte, la condotta  del figlio che si accampa nel sottoscala dell’edificio ove abitano i genitori integra una condotta di per sé minacciosa nei confronti delle persone offese, allorché si considera che tale presenza era diretta ad ottenere continuamente denaro ed altre utilità economiche dai genitori.

Secondo la Corte di Cassazione  l’imputato aveva assunto nei confronti dei genitori, comportamenti vessatori ed opprimenti, dal settembre mese di settembre 2011, quando era uscito dalla casa di lavoro di Sulmona e si era recato presso l’abitazione dei genitori, creandosi un giaciglio di fortuna nel sottoscala dell’abitazione di quest’ultimi, i quali non avevano voluto cedere alle sue richieste di denaro.

Tale comportamento è stato ritenuto idoneo ad  cagionare “il perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto tale da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita” richiesto dalla norma ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 612 bis c.p..

La nuova disposizione normativa, introdotta dal legislatore per dare un’adeguata risposta sanzionatoria a tutte quelle condotte che, fino ad oggi, venivano inquadrate nei meno gravi delitti di minaccia, violenza privata o nella contravvenzione di molestie e che vedevano come vittime soprattutto donne molestate da ex mariti, ed ex conviventi ed ex fidanzati, oggi  si apre a nuovi scenari.

La giurisprudenza, infatti, adopera tale disposizione normativa per dare un’adeguata risposta sanzionatoria a tutte quelle condotte criminose che, reiterate nel tempo, sono in grado di cagione un perdurante stato d’ansia nella vittima designata, tale da impedirle di condurre il suo abituale stile di vita.

Il reato rimane pertanto a forma libera, atteso che, tanto le minacce, quanto le molestie, possono essere realizzate secondo una molteplicità di forme idonee a produrre, nel primo caso, un effetto coartante sulla libertà psichica della vittima e, nel secondo caso, un’indesiderata intrusione nella sua sfera individuale. È inoltre necessario che le minacce o le molestie siano reiterate. La reiterazione evoca non solo una pluralità di condotte, ma altresì il loro verificarsi in tempi e contesti differenti.

Vastola Giuseppina

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