Compensazione giudiziale: le S.U. la escludono se il credito opposto è controverso e l’accertamento pende davanti ad altro Giudice
Con la sentenza n. 23225 del 15.11.2016, Pres. Canzio, est. Chiarini, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla possibilità di fondare l’operatività dell’istituto della compensazione giudiziale su un controcredito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo, espressamente escludendola.
Premessa l’inammissibilità per carenza d’interesse dei motivi di ricorso nella fattispecie esaminata, le SS.UU. ricostruiscono i due orientamenti invalsi nella prassi delle Sezioni semplici in tema di compensazione di crediti, di cui uno versi sub judice:
– quello più tradizionale che, a far data dal 1956, ammette la compensazione ex art. 1243, co. 2, c.c., solo se sussiste la facile e pronta liquidazione del credito opposto ed impone, viceversa, al Giudice investito dell’eccezione di rigettarla ove il controcredito sia incerto nell’an e non possa, pertanto, operare come compensativo;
– quello riconducibile alla sentenza della III sez., 23573/2013, che ammette la compensabilità del credito accertato con sentenza non definitiva, sulla base di una sovrapposizione tra disciplina sostanziale e processuale della compensazione, quest’ultima rinvenuta negli artt. 34, 35, 40, 295, 337, c.p.c..
Premesso che le SS.UU. aderiscono alla prima ricostruzione, per comprendere le ragioni di tale scelta nomofilattica è imprescindibile tracciare la linea di confine tra liquidità e certezza del credito ai fini della compensazione.
Ai sensi dell’art. 1243, co. 1, c.c., i requisiti al ricorrere dei quali si verifica qualsiasi tipo di compensazione (legale o giudiziale che sia) sono l’omogeneità dei debiti/crediti reciproci, la liquidità, l’esigibilità, nonché quello implicito della certezza sulla loro esistenza.
Mentre il credito liquido in senso stretto è quello determinato nel suo preciso ammontare in base al titolo, il credito certo (o liquido in senso processuale) è quello non contestato, di cui è cioè incontroversa la sussistenza.
Il successivo co. 2 dell’art. 1243 c.c. prevede, poi, la possibilità per il Giudice dinanzi al quale è fatto valere il credito principale di ritenere operante la compensazione fino alla concorrenza, qualora il credito opposto dal convenuto sia illiquido ma di facile e pronta liquidazione; gli è consentito, altresì, sospendere la condanna fino all’accertamento (rectius liquidazione) del controcredito.
Quest’ultima norma ha carattere certamente derogatorio ed eccezionale rispetto a quella contenuta nel 1° comma, implicando una valutazione prettamente discrezionale circa la speditezza e la semplicità della liquidazione del credito illiquido che non può che essere svolta dal Giudice che conosce sia della domanda principale che dell’eccezione di compensazione.
Il presupposto ineludibile per consentire l’esercizio di tale potere discrezionale e la conseguente dichiarazione di compensazione giudiziale è, allora, che il controcredito sia illiquido ma certo nella sua esistenza, ovvero non contestato né davanti al Giudice della compensazione né presso qualsiasi altro Ufficio giudiziario.
Del resto, è insito nella lettera dell’art. 1243, co. 2, c.c., che la compensazione giudiziale rileva ai fini processuali ove il Giudice investito del credito principale sia anche competente per il credito opposto in compensazione e solo nel caso in cui possa risolvere il dubbio sull’ammontare di tale controcredito con un’operazione aritmetica, o comunque facile e veloce.
Ciò poiché esclusivamente un’interpretazione restrittiva di tal fatta si mostra conforme alla ratio dell’istituto, che consiste nel permettere alle parti di risolvere velocemente in un’unica soluzione le reciproche pretese.
Qualora, invece, si consentisse al Giudice della compensazione di sospendere la decisione sul credito certo e liquido in attesa della pronuncia sull’esistenza del controcredito, propria o di altro magistrato, si cagionerebbe al titolare del primo credito un pregiudizio iniquo e non sorretto dalla precipua finalità equitativa della norma sulla compensazione giudiziale.
Traendo le dovute conseguenze da quanto sopra esposto, ne discende che:
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se il controcredito è illiquido ma non è contestata la sua esistenza, non opera la compensazione legale bensì solo quella giudiziale;
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in quest’ultimo caso il Giudice provvede alla quantificazione unicamente se è pronta e facile, dichiarando il credito principale estinto fino alla concorrenza di quello opposto in compensazione già liquido, oppure sospendendo la decisione sulla condanna fino alla conclusione dell’operazione di liquidazione;
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se il credito è contestato, quindi incerto nell’an ai sensi dell’art. 35 c.p.c. (che prevede deroghe alla competenza per ragioni di connessione), il Giudice deve escludere che esso sia idoneo ad operare ai fini della compensazione, legale o giudiziale;
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la conclusione di cui al punto 3) vale, a fortiori, nell’ipotesi in cui si pretenda di fondare la compensazione su un credito per cui pende davanti ad un Giudice diverso da quello della compensazione un separato giudizio volto ad accertarne l’esistenza, ancorché sia stata pronunciata sentenza non definitiva.
Nel caso di controcredito della cui esistenza si dibatte in altro processo, il Giudice della compensazione non potrà, allora, che limitarsi a condannare il convenuto rigettando l’eccezione di compensazione, non potendo sospendere la decisione a norma degli artt. 295 e 337 c.p.c., atteso che dette disposizioni processuali soccombono di fronte alla specialità dell’art. 1243, co. 2, c.c., che tollera unicamente un accertamento finalizzato alla liquidazione di facile e pronta soluzione. Esse, infine, non possono formare oggetto di applicazione analogica in casi non espressamente contemplati, essendo tale pratica preclusa dai principi costituzionali di eguaglianza, di difesa e di ragionevole durata del processo.
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