Concorso esterno in associazione per delinquere “semplice”, un nodo ancora da sciogliere. La parola alle Sezioni Unite.

Concorso esterno in associazione per delinquere “semplice”, un nodo ancora da sciogliere. La parola alle Sezioni Unite.

Con l’ordinanza n. 42043/2016, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la dibattuta questione relativa alla configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione per delinquere , di cui all’art. 416 c.p. Ci si interroga in particolare sulla compatibilità logica tra quest’ultima fattispecie criminosa ed il concorso del soggetto non appartenente alla stessa, ormai riconosciuto in relazione al reati di associazione di stampo mafioso, ex art. 416-bis c.p., attese le sostanziali ed ontologiche differenze di tipizzazione giuridica tra le due figure delittuose.

Al fine di cogliere queste importanti diversità occorre guardare principalmente alla condotta descritta dalle due disposizioni e all’elemento soggettivo richiesto. L’art. 416-bis incrimina la condotta consistente nella semplice partecipazione al sodalizio e la sua punibilità prescinde dalla commissione di ulteriori illeciti; l’associazione per delinquere invece presuppone un accordo finalizzato alla realizzazione dei c.d. reati fine, richiedendo la stessa norma un dolo specifico .

La Sezione penale rimettente ha evidenziato, inoltre, che la condotta del concorrente esterno è concettualmente connessa all’elemento della partecipazione all’associazione stessa, nel senso che , pur privo dell’affectio societatis, il concorrente esterno in associazione di stampo mafioso , compie atti comunque utili al perseguimento delle finalità del gruppo. La medesima circostanza non può invece sussistere nell’ambito del reato di cui all’art. 416 c.p. , divenendo in tal caso il concorso esterno un’illogica riproduzione di quello necessario; se la condotta incriminata dall’art. 416 c.p. è l’accordo finalizzato al compimento di determinati delitti, allora il concorso eventuale non può che fondersi con la partecipazione stessa alla societas criminale .

L’elemento su cui bisogna concentrarsi è dunque quello soggettivo: ove il concorrente esterno, nel porre in essere la condotta , sia animato dal dolo specifico , allora sarà da considerarsi nella medesima posizione degli associati; qualora invece manchi questa particolare forma di dolo, la condotta agevolatrice si configurerà come concettualmente distinta da quella prevista dall’art. 416 c.p.

Questo è il discorso argomentativo su cui si fonda la tesi portata avanti dalla Prima Sezione penale nell’ordinanza oggetto di analisi. Il problema pare di non facile soluzione . Da sempre il concetto di concorso esterno ha comportato non poche difficoltà circa la sua elaborazione giuridica e la compatibilità dello stesso con determinate fattispecie di reato. L’emersione di questa particolare forma di concorso nei reati associativi , pur risalendo ad epoca ottocentesca, ha assunto solo piuttosto recentemente una notevole importanza , ossia a partire dall’introduzione nel codice penale italiano, mediante Legge n. 646/1982, dell’art. 416-bis., relativo al delitto di associazione di stampo mafioso. Le esigenze di politica criminale hanno posto la questione di un’eventuale punibilità dei soggetti ascrivibili alla particolare categoria dei colletti bianchi, non facenti propriamente parte del gruppo criminale ,ma fornitori di contributi occasionali favorevoli alle stesse.

Dal punto di vista sistematico, la soluzione del problema risulta alquanto ardua, occorrendo valutare la possibilità di una relazione , apparentemente contra naturam, tra concorso eventuale e concorso necessario nel reato. Le fattispecie criminose a concorso necessario, dette anche reati plurisoggettivi, fondano la loro tipicità sulla presenza di più soggetti attivi, mentre l’art. 110 c.p. si riferisce al concorso eventuale in un delitto monosoggettivo, passibile di esecuzione anche per mano di un solo autore. E’ evidente dunque il punctum dolens in relazione alle associazioni per delinquere, origine di un forte contrasto giurisprudenziale, tra pronunce che lo escludevano e decisioni che ne sostenevano l’ammissibilità. Quest’ultima tesi si è assestata ed è ormai ritenuta prevalente, in relazione ai reati di cui all’art. 416-bis c.p. ( si pensi alle sentenze Demitry, Mannino, Carnevale, Dell’Utri) .

L’impostazione tendente ad ammetterne la configurabilità , non è stata tuttavia esente da contestazioni. La tipizzazione di fattispecie criminose attraverso la correlazione dell’art. 110 c.p. con il singolo e specifico reato sembra violare i principi di legalità e di offensività finendo, rispettivamente,   per parificare condotte ascrivibili a ciascun concorrente senza descriverle, e per dilatare la sfera di punibilità. Non può inoltre ignorarsi che, nonostante la Corte di Cassazione continui a sostenere che la nozione di concorso esterno nel reato associativo non sia di creazione giurisprudenziale, tale affermazione risulta contraddetta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che , con l’importante pronuncia del 2015, Contrada c/o Italia, nel condannare il nostro Paese per violazione dell’art. 7 CEDU , ha ribadito l’origine giurisprudenziale della figura in questione.

Sulla base delle suddette considerazioni, e tenendo anche conto del fatto che l’istituto del concorso esterno nel reato di associazione a delinquere è dettagliatamente tipizzato in tutti gli altri ordinamenti europei, con esclusione di quello francese,   è auspicabile da parte delle Sezioni Unite del massimo Consesso di legittimità un autorevole intervento ermeneutico in relazione a tale conflitto virtuale di grande portata, non solo giuridica. E’ sempre più avvertita, invero, l’esigenza di dare vita ad un vero e proprio diritto europeo della criminalità organizzata e di analizzare in modo più approfondito la problematica della criminalizzazione di qualsivoglia forma di “ sostegno” alla stessa.

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