Consenso informato: responsabilità medica e onere della prova
Qualora l’informazione sia mancata, in tutto o in parte, si avrà una responsabilità del medico colpevole dell’omissione, di natura contrattuale o extracontrattuale (precisamente, precontrattuale ex art. 1337 c.c.), a seconda che si ritenga che il difetto d’informazione costituisca inadempimento di un contratto già perfezionato o incida soltanto sulla fase delle trattative.
In alcune decisioni la giurisprudenza ha optato per la natura precontrattuale della responsabilità da omessa informazione, collegando l’obbligo informativo al comportamento secondo buona fede cui le parti sono tenute nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
Il consenso informato all’attività del medico. Fondamenti, struttura e responsabilità Copertina flessibile – 11 ott 2015 di
L’obbligo di informazione, si afferma, assume rilevanza nella fase precontrattuale in cui si forma il consenso del paziente al trattamento o all’intervento, e trova fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.).
Il consenso, oltre che legittimare l’intervento sanitario, costituisce uno degli elementi del contratto tra il paziente e il professionista (art. 1325 c.c.) avente ad oggetto la prestazione professionale, sicché l’obbligo di informazione deriva anche dal comportamento secondo buona fede cui si è tenuti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.).
Nell’analisi di quest’ultimo è stato ripetutamente precisato che l’obbligazione che il professionista assume verso il cliente per effetto dell’incarico conferitogli, ha per contenuto lo svolgimento dell’attività professionale necessaria e utile al caso concreto e in vista del risultato che, attraverso il mezzo tecnico-professionale, il cliente spera di conseguire (obbligazione di mezzi o di comportamento).
Il professionista, dunque, ha il dovere di svolgere l’attività professionale necessaria o utile al caso concreto, e ha il dovere di svolgerla con la necessaria diligenza.
Peraltro, con la sentenza 29-3-1978, n. 1132, la Cassazione aveva enunciato l’opposto principio, osservando che:
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il contratto d’opera professionale si conclude tra il medico e il cliente quando il primo, su richiesta del secondo, accetta di esercitare la propria attività professionale in relazione al caso prospettatogli;
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tale attività si scinde in due fasi: quella preliminare, di tipo diagnostico, basata sul rilevamento dei dati sintomatologici, e l’altra, conseguente, terapeutica o di intervento chirurgico, determinata dalla prima;
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l’una e l’altra fase esistono sempre, e compongono entrambe l’iter dell’attività professionale, costituendo perciò entrambe la complessa prestazione che il medico si obbliga a eseguire per effetto del concluso contratto di opera professionale;
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poiché solo dopo l’esaurimento della fase diagnostica sorge il dovere del chirurgo d’informare il cliente sulla natura e sugli eventuali pericoli dell’intervento operatorio risultato necessario, questo dovere d’informazione, diretto ad ottenere la prosecuzione dell’attività un consapevole consenso al professionale, non può non rientrare nella complessa prestazione.
Di qui, in definitiva, la natura contrattuale della responsabilità derivante dall’omessa informazione, confermata dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale la responsabilità professionale del medico, anche qualora egli si limiti alla diagnosi e all’illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell’intervento da effettuare, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato, ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, il medico deve dimostrare di aver adempiuto tale obbligazione .
La natura contrattuale è confermata dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale «in relazione all’obbligo d’informazione e all’onere della relativa prova, la responsabilità professionale del medico — ove pure egli si limiti alla diagnosi e all’illustrazione al paziente delle conseguenze della terapia o dell’intervento che ritenga di dover compiere, allo scopo di ottenerne il necessario consenso informato — ha natura contrattuale e non precontrattuale; ne consegue che, a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento dell’obbligo di informazione, è il medico gravato dell’onere della prova di aver adempiuto tale obbligazione».
L’onere della prova
Ritenuto che la violazione del dovere di informazione dà luogo a un’ipotesi di inadempimento contrattuale, l’onere della prova si distribuisce tra le parti in conformità alle consuete norme in materia.
Com’è noto, l’orientamento tradizionale afferma che, in materia di obbligazioni contrattuali, il creditore deve dimostrare l’inadempimento e il contenuto dell’obbligazione rimasta inadempiuta, mentre il debitore è tenuto, dopo tale prova, a giustificare ex art. 1218 c.c. l’inadempimento che il creditore gli attribuisce.
Secondo tale indirizzo, si deve avere riguardo all’oggetto specifico della domanda, per cui, a differenza del caso in cui si chieda l’esecuzione del contratto e l’adempimento delle relative obbligazioni, dove è sufficiente che l’attore provi la fonte del rapporto dedotto in giudizio, ossia l’esistenza del negozio e quindi dell’obbligo che assume inadempiuto, qualora si chieda la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno da inadempimento l’attore è tenuto a provare anche l’inadempimento, mentre spetta al convenuto la prova della non imputabilità di esso .
In tempi recenti, tuttavia, si è fatto strada, fino a diventare prevalente, un diverso orientamento, secondo il quale, nell’azione di adempimento, di risoluzione e in quella risarcitoria, il creditore è tenuto a provare soltanto l’esistenza del titolo e non anche l’inadempienza dell’obbligato: è quest’ultimo a dover provare di avere adempiuto, salvo che opponga l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, nel qual caso l’altra parte dovrà neutralizzarla provando il proprio adempimento o che la sua obbligazione non era dovuta.
Sarà dunque sufficiente la mera allegazione dell’inadempimento da parte del creditore-paziente, mentre graverà sul debitore-medico l’onere di fornire la prova dell’assolvimento dell’obbligo contrattuale posto a suo carico, secondo i principi generali in materia di onere della prova nell’adempimento delle obbligazioni ribaditi dalla Cassazione: «il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Uguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento».
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