Cosa ci viene proposto col prossimo Referendum costituzionale del 2016

Cosa ci viene proposto col prossimo Referendum costituzionale del 2016

Manca poco, ormai, ad uno dei referendum più attesi e discussi nel nostro Paese e sono molti gli italiani che si interrogano sui temi toccati dalla riforma, dimostrando non poca indecisione sia sul recarsi alle urne che sulla scelta del voto.I cittadini dovranno scegliere se approvare o bocciare in toto la cd. Legge Boschi, un testo lungo e farraginoso, recante il nome dell’attuale ministra poiché sua promotrice insieme al Presidente del Consiglio Renzi.

Differentemente dal referendum di tipo abrogativo, quello costituzionale, disciplinato all’art. 138 della Costituzione, non necessita per essere valido di raggiungere il quorum standard, pertanto non sarà necessario che vada a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto. Questo è, certamente, un aspetto da non sottovalutare se consideriamo che, secondo le statistiche elaborate da Winpoll, il 24 per cento degli italiani non ha alcuna intenzione di recarsi alle urne.

Volendo compiere una disamina dei punti cardine della riforma, notiamo, in primo luogo, come le previsioni più rilevanti siano, certamente, quelle relative al ruolo ed alla composizione del Senato, nonché all’iter di approvazione delle leggi.

La legge, infatti, si propone di mettere fine al bicameralismo perfetto e paritario, eliminando la cd. “navetta”, ossia il passaggio delle leggi fra Camera dei Deputati e Senato. Di conseguenza, la Camera diverrebbe l’unico organo competente ad approvare le leggi ordinarie e di bilancio, oltre a garantire la fiducia al governo.

Dal suo canto, il Senato svolgerebbe principalmente funzioni di raccordo fra lo Stato, continuando a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica, dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura e dei giudici della Corte Costituzionale. I senatori, inoltre, potranno proporre pareri e modifiche ai progetti di legge entro 30 giorni dall’approvazione senza, tuttavia, alcun vincolo per la Camera la quale potrebbe anche non accogliere detti emendamenti.

La previsione di un tale cambiamento ha scatenato numerosi dibattiti e critiche fra i costituzionalisti, alcuni dei quali parlano di una “svolta autoritaria” e di un’esagerata attribuzione di potere al governo. Altri, invece, con una lettera aperta a favore del “no” al referendum, hanno evidenziato i rischi derivanti dall’unione della riforma con la nuova legge elettorale la quale prevede un cospicuo premio di maggioranza alla Camera, assegnato al secondo turno delle elezioni, col rischio che tale premio vada ad una forza politica con una bassissima rappresentanza nel Paese ed in grado di legiferare in completa autonomia.

Viene criticata, inoltre, la lungaggine testuale del nuovo art. 70 della Costituzione, composto da ben 363 parole anziché delle attuali 9 il quale, secondo gli esperti, rischierebbe di ingenerare solo confusione e conflitti di competenza.

Per quanto riguarda la composizione, invece, a seguito della riforma il Senato diverrebbe un organo amministrativo delle autonomie locali, mutando il proprio nome in “Senato delle Regioni”, e sarebbe composto da 100 senatori anziché 315, di cui 74 consiglieri regionali (minimo due per regione, in proporzione alla popolazione ed ai voti ottenuti dai partiti), 21 sindaci (uno per regione, ad esclusione del Trentino alto – Adige che ne nominerebbe due) e 5 nominati dal Presidente della Repubblica e rimanenti in carica 7 anni, differentemente dagli altri 95 la cui durata coinciderebbe con quella del mandato di amministratori locali. Non è più prevista la nomina di senatori “a vita”, restando valida solo per gli ex Presidenti della Repubblica; inoltre, i nuovi senatori non verrebbero più pagati dal Senato, percependo soltanto lo stipendio da amministratori.

Altro tema toccato dalla riforma è quello relativo all’elezione del Presidente della Repubblica, alla quale non potranno più partecipare i delegati regionali e per la quale sarebbe sufficiente la maggioranza dei due terzi dei componenti fino al quarto scrutinio, poi i tre quinti e solo dal settimo scrutinio la maggioranza dei tre quinti dei votanti, diversamente dall’attuale sistema che richiede il raggiungimento dei due terzi dei voti fino al terzo scrutinio e la maggioranza assoluta dei componenti dal quarto.

La riforma propone anche di ritoccare il Titolo V della Costituzione, prevedendo una drastica riduzione delle competenze regionali mediante il ritorno di numerose materie nella competenza esclusiva dello Stato, fra cui: la gestione dei porti ed aeroporti, la produzione e distribuzione dell’energia, l’ambiente, i trasporti e la navigazione, l’ordinamento delle professioni, la sicurezza sul lavoro e le politiche per l’occupazione.

Proposta, inoltre, la soppressione del C.n.e.l. (Consiglio Nazionale per l’Economia e il Lavoro), organo ausiliario composto da 64 consiglieri e con funzione consultiva e di iniziativa legislativa in ambito economico.

Sono dettate, poi, alcune disposizioni con riferimento ai referendum abrogativi ed alle leggi d’iniziativa popolare. Per i primi, resta il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, con la previsione, tuttavia, che nel caso in cui la consultazione dovesse provenire da almeno 800 mila cittadini, sarebbe sufficiente il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche, e non degli aventi diritto al voto. Per proporre, invece, una legge di iniziativa popolare saranno necessarie 150 mila firme e non più 50 mila.

Esaminato, quindi, il contenuto del testo di riforma, non ci resta che capire quali siano i motivi per cui bisognerebbe votare SI o NO.

Secondo i sostenitori del SI, la scomparsa del bicameralismo perfetto consentirebbe all’Italia di adeguarsi al panorama europeo, ottenendo una significativa riduzione dei parlamentari e quindi anche dei costi, nonché rendendo più rapido ed efficiente l’iter di approvazione delle leggi.

Per gli stessi, inoltre, ci sarebbe una maggiore chiarezza nella ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni, a seguito della citata modifica del Titolo V, ed una maggiore presenza degli Enti Locali nel Parlamento grazie alla nuova composizione del Senato.

Differentemente, i sostenitori del NO, ritengono che la perdita del bicameralismo determini un inevitabile e pericoloso accentramento di potere in capo alla Camera dei Deputati, con una scarsa diminuzione dei costi della politica, posto che la riduzione sarebbe solo di un quinto. Fra i vari slogan del governo, infatti, ricordiamo quello secondo cui la riforma permetterebbe di “tagliare le poltrone” e “risparmiare soldi”, grazie anche all’abolizione del C.n.e.l. e delle Province.

In realtà si calcola che i risparmi non supererebbero qualche centinaia di milioni di euro, a fronte di un bilancio pubblico di circa 800 miliardi di euro. L’unione tra la riforma e l’Italicum, poi, non garantirebbe realmente né la sovranità popolare, né l’equilibrio fra le forze costituzionali poiché il potere finirebbe per accentrarsi in una maggioranza generata dal premio previsto dalla nuova legge elettorale.

A parere dei diffidenti, la riforma indebolirebbe anche le autonomie locali accrescendo il potere centrale, e limiterebbe di gran lunga la partecipazione diretta dei cittadini richiedendo, per i disegni di iniziativa popolare, 150 mila firme e non più 50 mila.

Nell’attesa che venga fissata una data certa del referendum (inizialmente si pensava ad ottobre, ora la consultazione sembrerebbe slittare a novembre) non possiamo che chiederci: la democrazia è a rischio o no?

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