Crisi economica e tutela sociale dei lavoratori nell’Unione Europea, quale ruolo per la carta dei diritti fondamentali? (Tesi di laurea)
Crisi economica e tutela sociale dei lavoratori nell’Unione Europea, quale ruolo per la carta dei diritti fondamentali?
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a cura di Elisa Manenti
Cosa resta del modello sociale europeo? A questa domanda, che è anche il titolo di un saggio di Laborde [1], non si può che rispondere andando ad evidenziare il regresso subito dal modello sociale europeo nell’ultimo decennio. Il modello sociale che nel 2000 sembrava delinearsi in Europa affonda le sue basi in primis nel catalogo dei diritti sociali collocato nel Capo IV della Carta dei diritti fondamentali, nella Strategia per l’impiego (SEO), basata sul metodo aperto di coordinamento (MAC), introdotta con il Trattato di Amsterdam e nella nuova “trama sociale” dei Trattati riscritti con il Trattato di Lisbona, che introduceva un titolo dedicato alle politiche sociali e la clausola sociale orizzontale (art. 9 TFUE).
Tale rotta sociale è stata caratterizzata, però, da una governance molto debole: dubbi interpretativi degli artt. 51 – 52 della Carta che si occupano dell’applicabilità e dell’efficacia dei principi fondamentali in essa sanciti; il sistema di soft law adottato dalla SEO; l’impegno di armonizzazione delle politiche sociali dei diversi Stati membri compiuto dai Trattati nonostante i primi continuassero a vantare la maggior parte delle competenze in materia.
Saranno poi le politiche attuali di contrasto alla crisi finanziaria che, combinandosi alla fragilità dimostrata del modello sociale, porteranno a esaurimento anche l’abbrivio conquistato dalla “rotta sociale” europea negli ultimi anni.
Si è assistito infatti ad un disinvestimento sui temi sociali a vantaggio di quelli riguardanti la crescita, la competizione, il mercato e più in generale la governance economico-finanziaria.
Alla domanda sopra riportata, Laborde risponde positivamente dichiarando che, nonostante esista un’impressione di arretramento, dovuta ad una piuttosto marginale giurisprudenza europea a tutela dei diritti sociali, ci sono numerose ragioni di speranza, visti i notevoli risultati che il diritto sociale europeo ha al proprio attivo, in particolare per quanto riguarda la lotta alle discriminazioni e la normativa in materia di salute e sicurezza. I risultati di cui parla Laborde, però, sembrano oramai solo un ricordo di fronte a delle istituzioni europee che sembrano ignorare la questione sociale e ad una giurisprudenza europea che, nel bilanciamento tra diritti sociali fondamentali e libertà economiche, sembra sempre preferire le seconde a scapito delle prime, andando a compiere un vero e proprio declassamento della tutela dei diritti sociali.
Ciò che rende più allarmante la situazione è che il regresso del modello sociale, oltre che a livello di diritto europeo si è concretizzato anche nella dimensione interna degli Stati membri.
A livello strutturale non è pensabile un modello sociale europeo che possa essere tale da contraddire i modelli propri degli Stati membri. Ciò significa che tale modello sociale europeo viene in evidenza anche nell’ambito del diritto comparato degli Stati membri, ecco perché l’istituzione di tale modello deve essere accompagnata da una politica di integrazione e di armonizzazione in materia sociale tra gli Stati membri.
Con l’attuale crisi finanziaria, però, si sta assistendo alla creazione di un dislivello tra gli Stati membri, dislivello che non è più solo di natura finanziaria ed economica, ma anche di natura sociale. Gli Stati nei quali sono state applicate le misure di austerity imposte dalla troika o approvate in via preventiva dagli stessi Parlamenti per evitare l’intervento di quest’ultima, hanno dovuto realizzare delle riforme strutturali che incidono sugli assi del modello sociale interno agli Stati stessi. Un primo ordine di conseguenze riguarda indirettamente il finanziamento dei servizi pubblici e delle politiche per l’occupazione e crescita, nella misura in cui le regole sul pareggio del bilancio indicate dal Fiscal Compact, per fare un esempio, non prevedono alcuna distinzione tra spese correnti e spese di investimento al fine di dettare una disciplina di favore per le seconde.
Tra gli Stati membri dell’Unione, più in particolare dell’Eurozona, da un lato si sta assistendo all’attuazione di politiche sociali discordanti – discordanza che non va di certo a favorire l’affermazione di quello che è un modello sociale europeo uniforme – dall’altro si sta verificando una perdita di autonomia da parte degli Stati, in quanto tali misure indirettamente vanno ad incidere sulla libera definizione delle politiche sociali, che è stata da sempre una prerogativa riservata ai singoli Stati.
Quello che si sta realizzando è, quindi, qualcosa di più grave del mero regresso del modello sociale proveniente dall’Europa. In realtà si sta concretizzando un crollo della dimensione sociale in Europa e i continui ricorsi alle Corti costituzionali nei singoli Stati, aventi ad oggetto il controllo di costituzionalità delle misure interne, sono la dimostrazione di come le stesse misure vadano a violare la dimensione sociale proclamata e tutelata dalle Costituzioni democratiche europee. Si sta assistendo in definitiva ad un cambio di assetto la cui insostenibilità, dovuta anche alla scarsa democraticità con cui vengono assunti tali interventi a contrasto della crisi, non tarderà a manifestarsi in uno scenario nel quale la crisi economica e finanziaria dei Paesi più deboli dell’Unione non sembra di certo essersi conclusa.
[1] LABORDE, Cosa resta del modello sociale europeo?, in Lavoro e diritto, 2013, pagg. 325 ss.
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