Demansionamento: lecito se l’alternativa è il licenziamento
Cass. Civ. Sez. Lavoro., 28 ottobre 2015, n. 22029
a cura di Eleonora Contu
La S.C. ha stabilito la validità del patto di demansionamento qualora costituisca l’unica alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In questo caso prevale quindi l’interesse primario del lavoratore al mantenimento del proprio posto di lavoro rispetto a quello tutelato dal “vecchio testo” dell’art. 2103 c.c.
La sentenza della Corte di Cassazione (sezione lavoro) n. 22029/2015 depositata lo scorso 28 ottobre, pone nuovamente l’accento sulla possibilità, per il datore di lavoro, di assegnare un lavoratore a mansioni di livello inferiore, in deroga al vecchio disposto dell’art. 2103 c.c..
Sul rapporto tra mobbing e licenziamento: Il Mobbing: Il demansionamento del lavoratore
Tale orientamento è già stato, in via eccezionale, riconosciuto dalla Suprema Corte al datore di lavoro soltanto nel caso del c.d. patto di demansionamento precisamente nel caso in cui tale assegnazione sia disposta con il consenso del lavoratore quale alternativa al licenziamento, con la finalità di salvaguardare il suo posto di lavoro. Tuttavia, preme evidenziare, come la Sentenza della Cassazione sembri allinearsi alla filosofia riformista del nuovo testo dell’art. 2103 c.c. (così come modificato dal capo primo art.3 del d.lgs n. 81 del 15.06.2015 ed entrato in vigore in data 25.06.2015) . Si tratta di un ricorso avverso la Sentenza n. 852/2009 della Corte d’Appello di Genova che, in totale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda di due dipendenti tesa ad ottenere la condanna della Società datrice di lavoro a reintegrali nelle precedenti mansioni o ad assegnargli altre mansioni di contenuto equivalente, ed altresì ad ottenere il risarcimento del danno prodotto dal demansionamento, per essere stati gli stessi adibiti a mansioni gestionali anziché tecniche. I ricorrenti, a sostegno delle proprie richieste, denunciavano la violazione del dettato degli artt. 2103 e 1362 c.c. letti anche in connessione con il proprio CCL ed inoltre, pur riconoscendo la legittimità della “clausola di c.d. fungibilità funzionale tra mansioni diverse”, evidenziavano che tra di esse deve comunque sussistere un nucleo di omogeneità e affinità. Da ultimo lamentavano l’errata ripartizione dell’onere probatorio. Difatti incombe sul datore di lavoro l’onere di provare che, in difetto dell’assegnazione a mansioni inferiori sussisterebbero le condizioni per procedere al licenziamento del lavoratore per giustificato motivo oggettivo (Cass. sez.lav. n. 2375/05; Cass. sez.lav. n. 21700/06; Cass. sez. lav. n.4790/2004; Cass. sez. lav. n. 2354/2004;)
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La S.C. ha ritenuto infondato il ricorso dei due dipendenti considerando prevalente l’interesse del lavoratore a conservare il proprio posto di lavoro rispetto a quello tutelato dall’art. 2103 c.c. che, prima della recentissima riforma, sanciva il principio della immodificabilità in pejus della mansione nonché della irriducibilità della retribuzione. Inoltre la Corte di Cassazione ha evidenziato come, in situazioni di grave crisi aziendale, il patto di demansionamento sia valido, non solo quando la richiesta provenga dal lavoratore (attraverso esplicita manifestazione di consenso non viziato), ma anche quando l’iniziativa sia stata presa unilateralmente dal datore di lavoro purché sussista anche il consenso del lavoratore ed il permanere delle condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento in mancanza dell’accordo (Cass. civ. sez. lav. n. 17624/2014; Cass. n.11395/14; Cass. n. 250774/13; Cass n. 5285/07; Cass. n. 8596/07; Cass. n. 2375/05). La Cassazione quindi, con questa recentissima sentenza, se da un lato preserva il diritto al lavoro (costituzionalmente garantito attraverso l’art. 4 cost.), dall’altro sembra far propria la nuova versione dell’art 2103 c.c. laddove al primo comma elimina il riferimento (contenuto nella precedente formulazione della norma) alle mansioni c.d. equivalenti, determinando in tal modo il riconoscimento in capo al datore di lavoro del diritto/potere ad uno ius variandi più ampio, annullando di fatto la protezione della professionalità acquisita dal lavoratore, introdotta dall’art.13 dello Statuto dei Lavoratori. Tuttavia contrariamente al testo del nuovo secondo comma dell’art.2103 c.c. , in base al quale il datore di lavoro, alla luce delle “modifiche degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore” può decidere unilateralmente di assegnare a quest’ultimo mansioni inferiori, purché rientranti nella propria categoria legale, la sentenza in questione ribadisce invece la necessità di un consenso, non viziato, da parte del lavoratore e che sussistano anche le condizioni che avrebbero legittimato il licenziamento dello stesso in caso di mancato accordo sul demansionamento.
Eleonora Contu
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