DEMANSIONAMENTO: non sussiste in caso di mancata conferma di incarichi nella Polizia di Stato

DEMANSIONAMENTO: non sussiste in caso di mancata conferma di incarichi nella Polizia di Stato

T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 22 luglio 2015, n. 3875

a cura di Rita Mazzacano

In riferimento alla Polizia di Stato la mancata conferma di incarichi di posizione organizzativa non dà origine a demansionamento, considerato che tali incarichi vengono conferiti a tempo determinato, non presuppongono l’espletamento di procedure comparative e valutative del merito e della maggiore anzianità degli aspiranti, possono essere revocati anticipatamente, e alla scadenza dell’incarico il dipendente -che comunque resta inquadrato nella categoria di appartenenza- viene restituito alle funzioni del relativo profilo di appartenenza.

Il fatto

La ricorrente, quale vice questore aggiunto in servizio presso la Questura di Napoli, già assegnataria della vice dirigenza della Divisione Polizia Amministrativa e Sociale, e di incarichi di responsabilità della I Sezione Passaporti, della II Sezione Antiesplosivi e della III Sezione Guardie Giurate, contestava per difetto di motivazione e per assunto demansionamento la legittimità dei provvedimenti con cui veniva sostituita dal vice questore aggiunto P.M. nella vice dirigenza della Divisione Polizia Amministrativa della Questura di Napoli, e nella responsabilità della II Sezione Antiesplosivi, e del provvedimento con cui veniva trasferita all’Ufficio Tecnico Logistico.

Sosteneva in particolare che i provvedimenti impugnati oltre che privi del necessario supporto motivazionale fossero illegittimi avendo determinato a suo carico un illegittimo demansionamento essendo stata privata del ruolo di “vice dirigente” poiché le mansioni del nuovo incarico conferitole sarebbero state prive del ruolo di responsabilità, direzione e coordinamento in precedenza assegnatole, e non avendo potuto usufruire del punteggio relativo alle attività dirigenziali negli scrutini di merito comparativo per il triennio 2013/2015.

La decisione

Il Collegio ha affermato che i provvedimenti oggetto di gravame costituiscono estrinsecazione del potere gestionale dell’amministrazione dell’interno avendo ad oggetto la ripartizione di incarichi nei confronti del personale e precisamente la movimentazione dei “direttivi” e sono stati esplicitamente motivati nella specie “nell’ottica di una riorganizzazione degli incarichi ed al fine di ottimizzare l’impegno delle risorse umane“.

A ben vedere in materia di organizzazione degli uffici, specie per quanto concerne il settore della Pubblica Sicurezza, in cui la gestione del personale è connotata da ampi margini di discrezionalità, la valutazione delle esigenze organizzative e di servizio è di esclusiva competenza dell’amministrazione, il cui profilo di merito non appare sindacabile se non in presenza di situazioni di assoluta illogicità e irragionevolezza anche in considerazione della specificità istituzionale dei compiti di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica assegnati alla Polizia di Stato.

Inoltre, il conferimento di incarichi connessi alla qualifica funzionale rivestita e l’avvicendamento negli stessi degli appartenenti alla Polizia di Stato, così come degli altri Corpi militarizzati, non necessita, secondo un consolidato indirizzo, di specifiche motivazioni stante la natura di ordini di servizio di detti provvedimenti e l’ampia discrezionalità attribuita in materia all’amministrazione.

Quanto alla riorganizzazione dei compiti assegnati occorre ricordare che la carriera, segnatamente in un Corpo militare o di polizia, si articola su plurime esperienze e non può ridursi, da parte del dipendente, all’esplicazione di un unico incarico o d’incarichi esclusivamente operativi oppure di quelli ritenuti maggiormente adeguati alle proprie inclinazioni.

E’ stata, pertanto, disattesa la tesi di parte ricorrente volta ad accreditare come ingiusta e penalizzante la scelta operata nei suoi confronti dall’amministrazione, non potendo escludersi che, dopo un congruo e lungo periodo di permanenza nei compiti assegnati, il dipendente venga nuovamente considerato ai fini del conferimento di un incarico operativo, in ossequio ad un sistema di avvicendamenti che rientrano nei meccanismi ordinari propri del governo del personale di qualsiasi organizzazione militarizzata e quindi anche della Polizia di Stato.

Per consolidato indirizzo giurisprudenziale, infatti, i provvedimenti di trasferimento d’autorità del personale militare si inquadrano nel genus degli ordini e costituiscono espressioni di ineludibili esigenze di organizzazione, coesione interna e massima operatività delle forze armate, e come tali restano sottratti alla disciplina generale delle L. n. 241 del 1990 , sul procedimento amministrativo, con la conseguenza che essi non abbisognano di specifica motivazione (cfr., tra le tante, C. S., Sez. IV, 22 febbraio 2006 n. 807 e 27 ottobre 2005, n. 6048; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VI, 30 maggio 2007 n. 5816 e 1 gennaio 2006 n. 10; Sez. VII, 23 febbraio 2006 n. 2289 e 1 giugno 2005 n. 7393; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I, 13 dicembre 2005 n. 13556; T.A.R. Trentino Alto Adige-Bolzano, 2 novembre 2005 n. 365).

In sostanza, i provvedimenti di cui trattasi attenevano a semplici modalità di svolgimento del servizio sul territorio, per cui non ha rilievo l’interesse di fatto del dipendente a prestare servizio in un reparto o in un altro (C.d.S., Sez. IV, 6 marzo 2006 n. 112 e 20 marzo 2001 n. 1677; T.a.r. Napoli, Sez. VI, 15 giugno 2007 n. 6187; T.a.r.Catania, Sez. III, 29 dicembre 2003 n. 2127).

Nell’ambito dell’ordinamento della Polizia di Stato, alle autorità sovraordinate, infatti, compete il potere di organizzare gli uffici secondo i moduli dell’attività amministrativa discrezionale. Tale discrezionalità, avendo come obiettivo e limite il corretto funzionamento degli uffici tale da garantire l’efficacia ed il buon andamento dell’Amministrazione ( art. 97 Cost. ) è particolarmente ampia e sindacabile ad opera del G.A. negli stretti limiti di un controllo della ragionevolezza dei parametri utilizzati e della coerenza dell’operazione ermeneutica condotta (C.d.S. sez. III n. 6140 del 22.11.2011; C.d.S., sez. VI, n. 2967 del 5.06.2007 e n. 777 del 13.02.2009).

Quanto alla censura di illegittimità dei provvedimenti impugnati per ingiusto “demansionamento” operato rispetto alle funzioni di vice dirigente in precedenza assegnate alla ricorrente occorre tener presente che, ai sensi del D.Lgs. n. 334 del 2000 recante riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato, la qualifica di vice questore aggiunto cui appartiene la ricorrente rientra nel ruolo dei Commissari, mentre il ruolo dei dirigenti è suddiviso in primo dirigente, dirigente superiore, e dirigente generale di pubblica sicurezza. I vice questori aggiunti possono accedere al ruolo di Primo Dirigente sulla base di concorso interno oppure per scrutinio basato su merito comparativo.

In particolare l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 2000, n. 334 (che ha sostituito l’ art. 33 del D.P.R. 24 aprile 1982, n. 335), prevede che i commissari capo e i vice questori aggiunti svolgono funzioni di direzione di uffici o reparti non riservati al personale del ruolo dei dirigenti, o di indirizzo e coordinamento di più unità organiche nell’ufficio cui sono assegnati, individuate con decreto del Ministro dell’interno, con piena responsabilità per le direttive impartite e per i risultati conseguiti; essi esercitano le funzioni di cui al comma 1 (compiti istituzionali dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza implicanti autonoma responsabilità decisionale e rilevante professionalità e quelle agli stessi attribuite dalle disposizioni vigenti, secondo i livelli di responsabilità e gli ambiti di competenza correlati alla qualifica ricoperta, nonché, nei casi previsti dalla legge, le funzioni di autorità di Pubblica Sicurezza) partecipando all’attività degli appartenenti al ruolo dei dirigenti e sostituiscono questi ultimi in caso di assenza o impedimento.

Inoltre la disciplina normativa del personale della Polizia di Stato prevede espressamente che le funzioni superiori possano essere occasionalmente svolte da dipendenti con qualifica inferiore ( art. 7 del D.P.R. n. 782 del 1985), sicché la sostituzione del superiore gerarchico rientra, dunque, negli ordinari compiti della qualifica di appartenenza e non può, dunque, essere accreditata come svolgimento, extra ordinem, di mansioni superiori, stante la particolare contiguità alla funzione dirigenziale, al cui esercizio concorrono anche i funzionari di livello meno elevato, senza però esserne titolari.

Di qui consegue innanzitutto l’inesistenza nell’ambito del ruolo dei Dirigenti di una qualifica di vice dirigente legislativamente riconosciuta che nella specie corrisponde a mansioni conferite dall’amministrazione intimata e legittimate ai sensi del cit. art. 2 comma 2 nell’ambito dell’attività di partecipazione dell’attività dei dirigenti e/o di supplenza per il caso di assenza o impedimento di questi ultimi.

Pertanto, l’assegnazione alla ricorrente delle funzioni di vice dirigente, lungi dal costituire il riconoscimento in via di fatto di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, costituiva estrinsecazione del più generale potere organizzativo dell’amministrazione dell’interno legittimato dalla normativa di settore che, come si è innanzi chiarito, la autorizza ad avvalersi del personale appartenente alla qualifica di vice questore aggiunto per coadiuvare, sostituire o supplire il personale appartenente al ruolo dirigenziale.

Nessun demansionamento era dunque rinvenibile negli atti gravati, posto che a norma di legge il vice questore aggiunto partecipa alle attività degli appartenenti al ruolo dei Dirigenti. Peraltro, l’esigenza di salvaguardare i principi fondamentali dell’azione amministrativa ha indotto la giurisprudenza a ritenere che lo stato giuridico dei pubblici dipendenti possa desumersi solo sulla scorta del dato formale, desumibile dagli atti di nomina e/o promozione, a nulla rilevando il dato sostanziale, né le mansioni effettivamente in concreto svolte (ex plurimis C.d.S., sez. IV, 14.4.2006, n. 2141; C.d.S., sez. VI, 10.11.1981, n. 688).

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Rita Mazzacano

Rita Mazzacano si è laureata nel 2011 in Giurisprudenza con 110 e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi in diritto amministrativo. Ha svolto il tirocinio forense presso l'Avvocatura dello Stato di Napoli. Ha conseguito il titolo di Avvocato nel 2014 ed attualmente collabora con uno studio legale che si occupa principalmente di diritto del lavoro.

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