Eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito

Eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito

L’eccezione di prescrizione ex artt. 2934 e 2946 c.c., del diritto (di ripetizione), deve ritenersi accoglibile riguardo allo specifico periodo in cui si risulti comprovata la carenza di documentazione che la parte istante è onerata di produrre, in ossequio dei principi enunciati in proposito dalla Suprema Corte.

Con la nota sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418, la Corte di Cassazione ha infatti ritenuto di individuare come “solutorie” (e quindi prescrittibili le relative domande di indebito) le rimesse necessarie a ripianare un conto “scoperto”, cioè non assistito da apertura di credito, ovvero a riportare nei limiti dell’accordato il saldo eccedente.

Non considera invece “pagamenti” (e quindi non prescrittibili le relative domande di indebito) quelle rimesse che, nel conto “passivo”, hanno la funzione di ripristinare la disponibilità del fido.

Nell’assenza, quindi, di qualsivoglia dimostrazione documentale da parte della Società attrice o controparte circa la concessione, tempo per tempo, di linee di credito e del loro ammontare, sono da considerarsi tutti “pagamenti”, con effetti solutori (al pari di quello necessario per l’estinzione del conto) le singole rimesse a credito del correntista su conti “scoperti”, con conseguente decorso del termine prescrizionale dalla data di esecuzione delle singole rimesse.

Ha infatti già osservato il Giudice di merito, in una fattispecie in cui l’attore aveva convenuto la banca per il rimborso di addebiti per interessi ritenuti illegittimi ed in una delle prime applicazioni del suddetto principio enunciato dalla Suprema Corte: “Nel caso in esame, deve essere esclusa l’esistenza del contratto di apertura di credito per fatti concludenti, in quanto l’unico elemento noto, che ne costituirebbe il fondamento, è il fatto dell’utilizzo del credito concesso al correntista su un conto corrente in passivo, e tale elemento è di per sé insufficiente, in assenza di ulteriori dati, per desumere l’assunzione da parte della banca della relativa obbligazione. Non essendo quindi provata l’esistenza del contratto di apertura di credito, deve essere escluso il carattere ripristinatorio delle rimesse effettuate dal correntista nell’arco del rapporto, che devono quindi intendersi aventi tutte natura solutoria. Dall’esame dei conti correnti risulta, infatti, che il conto corrente de quo presentava costantemente saldi debitori (come ammesso dallo stesso attore nella memoria di replica depositata il 14.1.2011 pag. 4), pertanto tutti i versamenti effettuati dal correntista hanno avuto funzione solutoria.

L’eccezione di prescrizione della banca deve quindi essere accolta, con la conseguenza che va esclusa la ripetibilità di tutti i versamenti effettuati dal correntista anteriormente al 19.11.1994, stante l’atto interruttivo della prescrizione del 19.11.2004” (Trib. Milano, 14 febbraio 2011).

Ancor più recentemente, e quindi nel vivo del dibattito suscitato, ed ancor più incisivamente, si è pronunciato altro Giudice di merito nei seguenti termini: “Se la prova circa la sussistenza tra le parti di un contratto di apertura di credito non è fornita i versamenti effettuati da parte del correntista nel corso del rapporto non potranno che essere considerati pagamenti, con conseguente decorrenza del termine prescrizionale dell’azione di ripetizione di indebito dalla data delle singole operazioni.

Se il conto corrente è a debito e non è assistito da apertura di credito la natura ripristinatoria della provvista deve generalmente essere esclusa, stante l’obbligo di restituzione di quanto utilizzato che fa capo al correntista.

La prova circa la sussistenza di un’apertura di credito incombe, per regola generale (art. 2697 c.c.), su chi intende far valere l’esistenza di tale contratto, al fine di trarne le conseguenze a sé favorevoli e paralizzare così l’eccezione di prescrizione svolta” (Trib. Mantova, 3 maggio 2014).

Del tutto analoga è la recente statuizione del Tribunale di Mantova, 15 ottobre 2014: “(…) seguendo l’impostazione attorea la banca sarebbe onerata della prova di assenza di tale ultima natura ripristinatoria o, in altre parole, dell’assenza di affidamenti o comunque di aperture di credito che la determinino. Tale soluzione è l’effetto stridente del criterio adottato dalla Suprema Corte che, pur astrattamente condivisibile, ha creato più problemi di quelli che era chiamata a risolvere in quanto, mutuando una distinzione delineata sin dal 1982 in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente effettuate dal fallito nel c.d. periodo sospetto, ha negato la revocabilità di tali rimesse nel caso le stesse avessero natura ripristinatoria della provvista (…). La traslazione del principio alla materia dell’indebito comporta un ribaltamento delle posizioni e del loro interesse probatorio sicché la banca, che in materia fallimentare aveva interesse a provare l’esistenza ed entità del fido onde contrastare la revocatoria delle rimesse, nel nostro caso ha invece interesse opposto, ossia che le rimesse avvengano in assenza di affidamenti e quindi, essendo allo scoperto, siano di natura solutoria. (…) Specularmente si pone il (ex) cliente, che vorrebbe invece la ripristinatorietà di tutte le rimesse onerando la controparte della prova della solutorietà. Così facendo si impone alla banca una prova che è del tutto negativa: prova della solutorietà significa infatti prova prova dell’assenza di un fido, e il principio presenta già numerosi profili critici ponendosi in contrasto con il principio negativa non sunt probanda. In più, ove si debba adottare lo stesso rigore previsto in materia fallimentare, come sembrerebbe dal ragionamento delle Sezioni Unite, dovrebbe ritenersi necessaria una prova positiva del contratto di apertura di credito o comunque dell’affidamento secondo la prova scritta prevista a pena di nullità dall’art. 117 TUB e ritenere inammissibile ogni equipollente. Alla nullità dell’apertura di credito conseguirebbe la solutorietà di tutte le rimesse. Alla stregua di tali argomentazioni e ove le stesse non risultino errate, non si può condividere l’orientamento ripetutamente richiamato da parte attrice volto a deferire tale prova negativa in capo alla banca e non solo per la difficoltà di fornire la prova dell’inesistenza di un fatto ma per i presupposti su cui la tesi si baserebbe. Al di là infatti delle numerose pronunce di merito che si limitano ad affermare il principio senza punto chiarire da dove lo si dovrebbe ricavare, va ricordata la sentenza di legittimità 4518/14 che, asserendo anch’essa come in sostanza la solutorietà delle rimesse debba essere provata da chi intende farvi decorrere la prescrizione, fonda la sua convinzione sull’affermazione secondo cui le rimesse in un conto corrente hanno normalmente funzione ripristinatoria. (…) E’ appena il caso di ricordare che ove un conto corrente presenti sempre saldi attivi parrebbe esclusa ogni ripristinatorietà delle rimesse e ogni presunzione relativa (…). Del pari la presenza di scoperti di conto corrente non consente di evincere automaticamente la presenza di affidamenti. (…) pare quindi doversi confermare l’orientamento secondo cui la banca adempie al proprio onere di prova dell’eccezione allegando e deducendo il decorso del termine decennale dalla rimessa spettando invece a chi vuol far valere un decorso successivo, e quindi una diversa natura della rimessa, la prova della sua ripristinatorietà”.

Del tutto analoga è la recente statuizione di altro Tribunale secondo cui: “In difetto di prova che il conto sia “affidato”, tutte le rimesse, avvenute nel decennio anteriore alla notificazione dell’atto introduttivo, si presumono “solutorie” e si prescrivono in dieci anni dalla data dell’addebito integrante pagamento”.

Quanto all’onere della relativa prova, il medesimo Tribunale opportunamente ha rilevato: “Poiché nei caso in esame l’attrice non ha offerto la prova (necessariamente documentale) dell’esistenza di  affidamenti correlati al conto corrente indicato, non è possibile determinare l’esistenza, né la soglia di affidamento, né può affermarsi la sussistenza di un affidamento di fatto illimitato; si deve pertanto ritenere che costituisce circostanza non contestata che il conto intrattenuto dall’attrice non fosse assistito da apertura di credito.

Il difetto di prova dell’esistenza di affidamenti comporta che tutte le rimesse, avvenute nel decennio anteriore alla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, abbiano carattere solutorio e risultino, come tali., prescritte.

Va rilevato che – a fronte dell’eccezione di prescrizione formulata dalla convenuta sin dalla comparsa costitutiva – l’attrice non ha offerto la prova che siano avvenuti, nel periodo indicato, versamenti di carattere ripristinatorio e non solutorio, comportanti addebito di interessi passivi ed illegittima capitalizzazione degli stessi, in questa sede ripetibile.

Da ciò consegue che devono ritenersi prescritte, ai sensi dell’art. 2946 C.C., in accoglimento dell’eccezione di parte convenuta tutte le rimesse anteriori al 31 12 2002 (termine ordinario di prescrizione trattandosi di ripetizione di indebito)” (Trib. Torino 24 novembre 2014, e del tutto consonante quanto anche all’onere della prova Trib. Lanciano 20 novembre 2014).

Corte di Appello di Brescia 23 dicembre 2015: “L’onere della prova della natura solutoria delle rimesse incombe sulla parte che deduca (e dimostri) la sussistenza dell’apertura di credito, in base alla regola generale per la quale chi intende far valere l’esistenza di un contratto al fine di trarre le conseguenze a sé favorevoli e di poter paralizzare la eccezione di prescrizione di controparte, è tenuto a fornire la prova del fatto costitutivo della pretesa laddove, diversamente opinando, verrebbe posto a carico della banca l’onere di fornire la prova di un fatto negativo consistente nell’assenza della stipulazione di un contratto.”.

Il suesposto principio trova sempre maggiori consensi, come testimoniano, le ancor più recenti pronunce, oramai nel solco del consolidato indirizzo: “Con il contratto di conto corrente la banca si impegna unicamente ad offrire al cliente un servizio di cassa nell’utilizzo della provvista propria del cliente, ovvero a provvedere per conto del medesimo a pagamenti e riscossioni, e non a mettere a disposizione denaro in favore del correntista, per cui se il conto corrente è a debito e non è assistito da apertura di credito, la natura ripristinatoria della provvista deve generalmente essere esclusa, stante l’obbligo di restituzione di quanto utilizzato che fa capo al correntista.

Nelle azioni di ripetizione di indebito, la prova circa la sussistenza di un’apertura di credito incombe, per regola generale (art. 2697 cc), su chi intende far valere l’esistenza di tale contratto al fine di trarre le conseguenze a sé favorevoli e paralizzare così l’eccezione di prescrizione svolta dalla banca.

In mancanza della prova dell’affidamento, tutte le rimesse si presumono solutorie ed il termine di prescrizione decennale decorre dalla data del singolo versamento.

La presenza di saldi passivi negli estratti conto nonché di addebiti in conto spese per gestione fido non consentono di valutare l’ammontare e l’epoca degli affidamenti, in maniera tale da accertare se i versamenti fossero effettuati su conto passivo o su conto scoperto, in quanto recante un saldo passivo tale da risultare comunque eccedente i limiti dell’affidamento. (Trib. Bari 21 maggio 2015 e, conforme Trib. Torino 10 giugno 2015).

E, infine, ulteriore conferma  proviene dalla Corte di Appello di Brescia 23 dicembre 2015: “L’onere della prova della natura solutoria delle rimesse incombe sulla parte che deduca (e dimostri) la sussistenza dell’apertura di credito, in base alla regola generale per la quale chi intende far valere l’esistenza di un contratto al fine di trarre le conseguenze a sé favorevoli e di poter paralizzare la eccezione di prescrizione di controparte, è tenuto a fornire la prova del fatto costitutivo della pretesa laddove, diversamente opinando, verrebbe posto a carico della banca l’onere di fornire la prova di un fatto negativo consistente nell’assenza della stipulazione di un contratto.”.

Dr. Antonello Amari

Pr. Avv. Dell’Ordine di Roma

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Antonello Amari

Praticante Avvocato at Studio Legale
Pr. Avvocato dell'Ordine di Roma, attualmente collaboratore presso lo studio legale Tommaso Spinelli Giordano & Associati, sito in Roma; Amministratore di Condominio, nonché socio della associazione A.IM.A. - Amministratori Immobiliari Associati, Associazione iscritta al Ministero dello Sviluppo Economico (ex L.4/13); Mediatore Civile e Commerciale; Collaboratore delle seguenti riviste: "Giurimetrica", edita da Alma Iura s.r.l.; rivista online "Exparte Creditoris"; rivista online "Il caso.it".

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