Ecografia feto: se gli strumenti sono inadeguati risponde la struttura
Cass. Civ., Sez. III, 8 marzo 2016, n. 4540
a cura di Claudia Tufano
La struttura sanitaria ed il medico, sono obbligati, in virtù di un obbligo di protezione verso la paziente, ad indirizzare la stessa verso centri medici più attrezzati solo quando gli strumenti diagnostici utilizzati sono tali da non permettere adeguatamente l’accertamento della patologia.
Il fatto
Con atto di citazione del dicembre 1992, i coniugi ricorrenti convenivano in giudizio i medici che avevano seguito la gravidanza della ricorrente e la struttura sanitaria presso la quale i medici prestavano attività lavorativa, affinché il giudice condannasse i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della negligente ed imperita assistenza medica prestata ad essa attrice durante la sua gravidanza, e della omessa informazione sull’esistenza di gravissime malformazioni fetali in capo al nascituro, colpevolmente non rilevate, ma ravvisate solo quando, per lo stato avanzato della gestazione, non era più possibile praticare l’interruzione volontaria della gravidanza. I giudici di prime cure rigettavano il ricorso. Ricorrevano in cassazione i coniugi soccombenti.
La decisione
I giudici della Suprema Corte rigettavano i motivi del ricorso. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciavano la violazione e falsa applicazione degli articoli 1372, 1218 e 2697 c.c., in quanto la Corte d’appello non aveva verificato se il personale della struttura sanitaria avesse svolto con diligenza professionale la propria opera, omettendo, quindi, di accertare l’inadempimento scaturente dal contratto concluso tra la paziente e la struttura sanitaria. Sarebbe violato anche l’articolo 2697 c.c., sulla ripartizione dell’onere probatorio, non avendo i convenuti fornito la prova dell’esatto adempimento dell’attività medica, con conseguente sussistenza della loro responsabilità. Gli Ermellini dichiaravano inammissibile il ricorso per mancata puntualizzazione del “devolutum” in sede di gravame. Con il secondo motivo di ricorso, gli attori lamentavano l’errata esclusione, da parte dei giudici di prime cure, dell’obbligo dei convenuti di informare la gestante della possibilità di più elevate percentuali di successo diagnostico ripetendo l’esame ecografico presso strutture più avanzate, in tal modo errando ad espungere dalla sfera del dovuto un atto di informazione, che è diretto al soddisfacimento dell’interesse del paziente così come dedotto nel contratto e che si sostanzia nella conoscenza dello stato patologico del feto al fine di potersi autodeterminare alla interruzione volontaria della gravidanza. I giudici di Cassazione rigettavano il motivo. In primo luogo, la Corte aveva modo di ribadire un principio giurisprudenziale consolidato: «in tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l’obbligo d’informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti. Tuttavia, tale obbligo sorge solo ove sia addebitabile un inadempimento della struttura sanitaria per aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature all’uopo adeguate, ingenerando, così, nella paziente l’affidamento che il risultato diagnostico ottenuto (nel caso di specie di normalità fetale) sia quello conseguibile in modo definitivo. L’inadempimento nasce da un contratto di spedalità stipulato tra paziente e struttura sanitaria (ivi compreso il personale e le attrezzature), essendo, dunque, esonerato da siffatta specifica responsabilità il medico che, diligentemente ed in modo perito secondo le leges artis, sia intervenuto sul paziente. Sebbene il medico sia esente da colpa professionale nella fase esecutiva del suo intervento, tuttavia incombe su questi l’obbligo di avvisare il paziente della inadeguatezza degli strumenti diagnostici per non incorrere nell’ingenerare un errato affidamento nel paziente. Nel caso di specie, non era possibile configurare alcun inadempimento da parte dei convenuti «giacché era del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili” (anno 1986), che, come accertato in base alla espletata c.t.u. collegiale non consentivano che una scarsa sensibilità (inferiore al 20% in età gestazionale utile all’interruzione della gravidanza» . Sulla base di quanto esposto, i giudici rigettavano il ricorso e condannavano gli attori al pagamento delle spese processuali.
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Claudia Tufano
Nata a Napoli nel 1987, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel luglio 2012, presso l'Università degli studi Federico II di Napoli, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Commento alla sent. TAR Umbria n. 23/2010. L'abusivismo edilizio", relatore Prof. Lorenzo Liguori. Da novembre 2012 a maggio 2014 inizia il tirocinio forense presso uno studio legale, occupandosi prevalentemente di contenzioso amministrativo e civile. Nel luglio 2014 consegue il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali. Nel gennaio 2016 è abilitata all'esercizio della professione forense.