ECOREATI: i nuovi reati ambientali previsti dalla L. 22 maggio 2015, n. 68
Art. 1, L. 22 maggio 2015, n. 68 (G.U. 28 maggio 2015, n. 122)
a cura della redazione di Salvis Juribus
Il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è entrata in vigore la L. 22 maggio 2015, n. 68, rubricata “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente“, il cui nucleo fondamentale è costituito dall’articolo 1, che introduce nel codice penale un inedito titolo VI-bis composto da dodici articoli e cinque nuovi delitti.
La Direttiva dell’Unione Europea 2008/99/CE del 19 novembre 2008 sulla tutela penale dell’ambiente afferma, nel quinto considerando, che “Un’efficace tutela dell’ambiente esige, in particolare, sanzioni maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente, le quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie“.
La nuova legge è sviluppata in tre articoli, di cui il primo assume certamente carattere centrale.
Tale articolo uno si inserisce nel codice penale il titolo VI-bis “Dei delitti contro l’ambiente” composto da dodici disposizioni (da artt. 452-bis a 452-terdecies), che a loro volta introducono le seguenti fattispecie di reato:
– inquinamento ambientale;
– disastro ambientale;
– traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività;
– impedimento del controllo;
– omessa bonifica.
Sui nuovi reati ambientali: I nuovi reati ambientali e le strategie difensive Copertina flessibile – 31 ott 2015 di
L’inquinamento ambientale (art. 452-bis c.p.) punisce con la reclusione e con la multa chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: a) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; b) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. La norma sanziona qualsiasi condotta che peggiori l’equilibrio dell’ambiente, attraverso un’azione oppure mediante un’omissione consistente nel non aver impedito l’evento pur essendo tenuti a prevenire il fatto inquinante.
Il disastro ambientale (art. 452-quater c.p.) prevede che “chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni“. La norma chiarisce che “costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo“.
La relazione redatta dall’Ufficio del Massimario, Settore penale, della Suprema Corte di Cassazione (Rel. n. III/04/2015 – Roma, 29 maggio 2015, Novità legislative: L. 22 maggio 2015, n. 68, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”) chiarisce, poi, che la costruzione normativa delle fattispecie di inquinamento e di disastro “in forma di reato di evento passa, sul piano processuale e probatorio, attraverso sentieri meno agevoli rispetto a quelli praticabili nei casi in cui il reato si perfeziona a seguito del mero superamento formale di valori-soglia predeterminati: situazioni -le ultime- che anch’esse non prescindono certamente dalla verifica dello status quo ante (anche ai fini della misurazione del superamento del valore soglia), ma che non necessitano dei faticosi accertamenti ricostruttivi della “causa” dell’inquinamento o del disastro, allorquando detta causa non sia identificabile in una condotta contenuta in un determinato segmento spazio/temporale ma risulti essere invece la sommatoria di comportamenti distruttivi ripetuti e consolidati negli anni“.
Si noti che nel testo definitivo, il legislatore ha usato il termine “abusivamente” per definire il carattere illecito della condotta sia nell’inquinamento che nel disastro.
Dopo aver richiamato gli orientamenti della Cassazione in materia ambientale, che suggeriscono una lettura dell’avverbio “abusivamente” come riferito a tutte le attività non conformi a precisi dettati normativi, l’Ufficio del Massimario ricomprende nell’avverbio medesimo anche le situazioni in cui l’attività, pur corrispondente al contenuto formale del titolo, presenti una sostanziale incongruità rispetto ad esso: basti pensare al caso in cui la condotta costituisca una non corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti all’autorizzazione in questione, in tal caso superandosi i confini dell’esercizio lecito.
Si spera che l’impiego di tale avverbio non renda poco efficaci le nuove fattispecie per effetto di un loro confinamento alle sole ipotesi di condotte abusive in quanto sine titulo, con esclusione di tutte quelle situazioni in cui sussista in effetti un provvedimento formale di autorizzazione.
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