Effetti della dichiarazione di buono stato locativo
Di norma, quando si visiona un immobile per prenderlo in locazione, non tutto torna. Possono essere le pareti che abbisognano di una bella tinteggiatura, i serramenti che lasciano filtrare aria, lo zoccolo rotto, una parete che si sta scrostando, ma per non sollevare questioni e far sfumare l’accordo (che magari noi riteniamo un vero affare) sottoscriviamo il contratto che usualmente riporta la clausola: “Il conduttore dichiara di aver visitato i locali e di averli trovati esenti da vizi ed in buono stato locativo”. Già sul concetto di “buono stato” potrebbero scorrere fiumi di parole, in quanto deve essere necessariamente riferito al caso concreto. Comunque, l’attenzione va posta alla pulizia delle pareti, allo stato e alla funzionalità di porte e finestre, pavimenti ed impianti e, se la locazione ha ad oggetto un immobile arredato, anche ad elettrodomestici e mobilio.
Per comprendere l’importanza della dichiarazione di cui sopra, spesso considerata di puro stile, rimando alla lettura dell’art. 1590 cod. civ. il quale, testualmente, recita: “Il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto. In mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione. Il conduttore non risponde del perimento o del deterioramento dovuti a vetustà. Le cose mobili si devono restituire nel luogo dove sono state consegnate”. Partiamo dalla fine della vicenda contrattuale. Terminato il rapporto, il conduttore è tenuto a restituire l’immobile al locatore nel medesimo stato in cui l’ha ricevuto, salvo il naturale deterioramento o il consumo dovuto al normale e concordato uso. Nel caso ciò non avvenisse, il proprietario potrà legittimamente chiedere i danni o, addirittura, in determinate ipotesi, rifiutare la restituzione dell’immobile con l’effetto che continueranno a maturare i canoni mensili a carico dell’inquilino a cui si aggiungerà l’importo dovuto per la rimessione in pristino.
Veniamo alle situazione prospettabili: a) contestualmente al contratto di locazione è stato redatto un verbale di consegna, ossia un documento nel quale è stata descritta in dettaglio la condizione dell’alloggio al momento dell’ingresso; b) nulla si dice nel contratto in merito allo stato dell’immobile; c) nella scrittura viene riportata la generica frase in cui il conduttore dichiara di aver visionato i locali trovandoli in buono stato.
Nel primo caso, è davvero importante che il verbale fotografi la reale situazione perchè non si pongono questioni: dottrina e giurisprudenza assegnano alla descrizione la qualifica di reciproca confessione tra le parti circa il suo contenuto ricognitivo, con il valore di prova legale, vincolante sia nei confronti della parte che l’ha resa, sia per il giudice che non potrà valutare liberamente la prova, né accertare diversamente il fatto confessato.
Nel secondo caso, ossia quando il contratto nulla dice, soccorre una presunzione: l’alloggio si “presume” essere stato consegnato in buono stato. In termini giuridici, questo significa che l’onere di provare il lamentato danno alla restituzione dell’immobile non cade sul locatore, ma spetta al conduttore dar prova che la situazione di degrado preesisteva alla stipulazione del contratto e tale prova potrà essere offerta anche attraverso l’escussione di testimoni.
Il terzo caso, quello più frequente, è anche quello più problematico. Siamo portati a pensare che un generico richiamo nel contratto al buono stato locativo, in quanto non rappresenta l’effettiva consapevole volontà manifestata dai contraenti, si esaurisca in una clausola sfornita di reale significato, una sorta di “clausola di stile”, priva di rilievo e di conseguenze giuridiche. Mai più lontani dalla realtà. Nelle aule di giustizia, infatti, spesso si assiste alla parificazione della generica dichiarazione ad una confessione stragiudiziale, ritenendo provata e dichiarata l’assenza nell’immobile di carenze al momento dell’ingresso. Per ovvia differenza, gli eventuali danni rilevati al rilascio sarebbero da imputare al conduttore, con le logiche conseguenze. Sul punto la Corte di Cassazione ha ritenuto che a detta clausola non possa che essere attribuito valore probatorio preminente, “dato che lo scopo di essa è quello di precostituzione della prova in ordine alla qualità, alla quantità ed allo stato dei beni concessi in godimento, proprio per consentire al conduttore, nel corso del rapporto, di fissare la portata esatta del dovere di diligenza, che deve osservare nell’uso del bene locato, e per evitare, all’esito della cessazione della locazione, contestazioni in ordine al contenuto della prestazione di restituzione dovuta dal conduttore stesso” (Cass. civ., sent. n. 26780 del 29.11.2013).
In conclusione: leggete ciò che firmate!
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Roberta K. Colosso
Avv. Roberta K Colosso.
Conseguita l'abilitazione professionale nel 2000, ho maturato una significativa esperienza nell’ambito civilistico attraverso collaborazioni con diversi studi legali e la pratica in studio notarile. Nel 2012 ho intrapreso la professione in proprio, aprendo il mio studio in Ivrea (TO). Nel 2014 ho conseguito l’attestato di mediatore. Dal 2014 collaboro con un mensile locale per cui curo la rubrica legale “Diritto & Castigo” che affronta, con un linguaggio semplice e immediato, questioni di diritto su tematiche attuali.
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