Eutanasia: il diritto di rifiutare le cure è costituzionalmente tutelato
Tribunale di Cagliari – ufficio del giudice tutelare, decreto, 16 luglio 2016
Il Tribunale di Cagliari, nell’accogliere la richiesta di interruzione del trattamento sanitario da parte di un soggetto affetto da sclerosi laterale amiotrofica, svolge delle importanti considerazioni circa la rilevanza del consenso al trattamento medico e il concetto di salute, allontanandosi dalla visione legata alla mera assenza di malattia e favorendo una lettura in termini di benessere psicofisico della persona.
Il decreto, infatti, aderisce all’impostazione giurisprudenziale che legge il rapporto medico-paziente come un’alleanza terapeutica, il cui nucleo è costituito dal consenso liberamente prestato dal paziente, una volta edotto sul suo stato di salute e sulle conseguenze delle sue scelte terapeutiche, seppur di segno negativo.
La motivazione del provvedimento di accoglimento fa perno sul ruolo centrale da ascrivere alla libertà di autodeterminazione, sancita dall’art. 13 Cost., e al disposto di cui all’art. 32, comma 2, Cost., secondo cui il diritto alla salute ha anche un’accezione negativa, intesa come impossibilità di imporre un trattamento sanitario, se non nei casi espressamente previsti dalla legge.
Secondo il giudice tutelare, il diritto di rifiutare le cure trova espresso riconoscimento anche a livello sovranazionale nella Convenzione di Oviedo (Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina), il cui art. 5 sancisce il dovere da parte degli operatori sanitari di offrire un quadro clinico completo al paziente, in modo da consentirgli di prestare un consenso realmente consapevole, fermo restando il diritto di revocarlo in qualsiasi momento.
Sebbene l’Italia non abbia depositato la ratifica della Convenzione presso il Consiglio d’Europa, si deve certamente riconoscere che la norma citata debba essere un parametro di riferimento fondamentale per gli interpreti.
Per di più, il diritto di ritirare il consenso prestato e rifiutare la cura trova implicito riconoscimento nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che sancisce la centralità del consenso libero e informato quale ineludibile presupposto del trattamento sanitario.
Difatti, se il consenso fosse irrevocabile, si potrebbe dubitare della pienezza del diritto all’autodeterminazione.
Nelle considerazioni svolte dal giudice tutelare è possibile leggere l’evoluzione di un sistema che si allontana da una concezione patriarcale dello Stato che sa cosa è meglio per i consociati e volge lo sguardo alla centralità della persona umana, considerando ciascun individuo come un soggetto unico e delle cui convinzioni etiche si impone il rispetto.
Il ritiro del consenso al trattamento medico viene così letto come accettazione della malattia, che continua a fare il suo corso senza alcuna interferenza medica atta a prolungare la vita del paziente, ormai privato di quella che potrebbe essere definita un’esistenza libera e dignitosa.
Il Tribunale di Cagliari, nell’accordare l’autorizzazione all’interruzione delle cure, dispone altresì che siano prese le dovute misure al fine di assicurare al paziente “un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona prima, durante e dopo la sospensione del trattamento”.
Ciò costituisce un quid pluris rispetto al mero diritto all’interruzione delle cure e si offre ad una lettura volta alla massima esaltazione della dignità umana.
Tuttavia, data la rilevanza delle implicazioni, il rifiuto delle cure deve necessariamente essere personale (salvo il caso in cui sia la legge ad attribuire tale potere al rappresentante legale), libero, attuale, concreto, informato e revocabile, così come previsto per il consenso.
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Sabrina Mazzocca
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