I beni artistico-culturali: quale tutela a livello internazionale?
Il lungo elenco di crimini e misfatti di cui è competente a conoscere la Corte Penale Internazionale (CPI) si arricchisce di un nuovo elemento: i beni culturali. Per la prima volta dalla sua istituzione, la CPI sta perseguendo un imputato per la distruzione di numerosi edifici religiosi avvenuta nel recente conflitto nel nord del Mali, nel 2012.
Nello specifico, si tratta del jihadista maliano Ahmad al-Mahdi al-Faqi, alias “Abu Tourab”, ex capo della Hisbah, la polizia religiosa del gruppo jihadista Ansar Eddine. L’imputato è accusato di aver commesso crimini di guerra durante l’occupazione della città di Timbuktu, attaccando e distruggendo monumenti storici ed edifici religiosi tra il 30 giugno e il 10 luglio 2012.
La furia devastatrice, giustificata da una intollerabile idolatria, si è abbattuta su numerosi mausolei di Timbuktu, oltre che sulla porta della moschea di Sidi Yahya. Inoltre, negli attacchi sono andati distrutti diverse migliaia di manoscritti custoditi nelle biblioteche della città, alcuni dei quali risalenti al XIII secolo.L’accusa ruota attorno alla condotta di “attacchi intenzionalmente diretti” messi a segno tra il 30 giugno e l’11 luglio 2012 contro beni classificati dall’UNESCO come “Patrimonio dell’Umanità”.
Il capo jihadista fu catturato in Niger e consegnato alla CPI dal governo dello Stato africano. Era già comparso in sede giudiziaria il 30 settembre 2015, dietro richiesta di estradizione da parte del Procuratore Generale, la gambiana Fatou Bensouda. Il 1 marzo 2016 la medesima CPI (Pre Trial Chamber) ha ritenuto di rinviare a giudizio l’imputato dinanzi ad un Tribunale di primo grado.
Il 22 agosto 2016 si è ufficialmente aperto il primo giudizio internazionale avente ad oggetto una responsabilità in materia di distruzione di beni culturali. La base giuridica del processo è costituita dalla Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato adottata a l’Aja il 14 maggio 1954.
Tale Convenzione è di particolare importanza nella misura in cui pone una definizione esplicita di bene culturale, inteso come uno dei qualsiasi “beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli, come i monumenti architettonici, di arte o di storia, religiosi o laici; i siti archeologici; i complessi di costruzioni che, nel loro insieme, offrono un interesse storico o artistico; le opere d’arte; i manoscritti, libri e altri oggetti d’interesse artistico, storico o archeologico; nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o di archivi o di riproduzioni dei beni sopra definiti“.
E’ evidente che l’introduzione di un’espressione onnicomprensiva non è indice di automatica estensione di garanzia. La “culturalità” di un bene, infatti, è legata a concetti e nozioni extra-giuridici, afferenti all’arte, alla storia e alla religione.
La Convenzione rispecchia l’evoluzione del diritto internazionale successivo al secondo conflitto mondiale. Le codificazioni dell’800, infatti, erano fondate su forme di tutela limitate ai soli conflitti giuridicamente definibili quali “guerre”. La Convenzione del 1954, invece, contiene l’importante innovazione di estendere la vincolatività delle sue regole in qualunque caso di conflitto armato, sia esso internazionale o interno.
Tale novità codificatoria rinviene la sua attualità considerando che, ad oggi, una delle principali minacce al patrimonio culturale è l’aumento dei conflitti etnici e delle guerre civili interne. In tali contesti, l’obiettivo è esattamente ciò che la Convenzione si prefigge di evitare: il saccheggio e la distruzione del patrimonio culturale del nemico o dell’opposto gruppo etnico (art. 4, comma 3).
Degno di nota che la stessa convenzione abbia predisposto un segno distintivo da applicare ai beni culturali e al personale ricadente sotto la tutela di essa: si tratta del c.d. Scudo Blu, composto da “uno scudo appuntito in basso, inquadrato in croce di S. Andrea in bleu e bianco” (art. 16).
“Attaccare e distruggere siti e simboli culturali e religiosi delle comunità è un attacco alla loro storia. A nessuna persona che distrugge ciò che incarna l’anima e le radici di un popolo dovrebbe essere consentito di sfuggire alla giustizia” è stata la dura dichiarazione del procuratore Fatou Bensouda, la quale ha così rimarcato il senso più intimo della portata di tale processo. Non si è fatta attendere l’eco dell’Alto Rappresentante della Politica estera UE, Federica Mogherini, la quale ha ricordato che per l’Unione Europea “la cultura non è solamente la base di ogni società ma anche un fattore importante di sviluppo economico e sociale, di riconciliazione e di pace durevole”, sottolinenado inoltre che “la riabilitazione e la salvaguardia del patrimonio culturale di Timbuktu fanno parte degli interventi Ue in Mali”.
Tuttavia, non è da escludere che la decisione della CPI di processare al-Faqi porti ad una una recrudescenza dei sentimenti di ostilità striscianti tra gli Stati africani avverso tale istituzione. Si consideri che molti di coloro i quali, in tempi recenti, si sono resi protagonisti o partecipi della distruzione del patrimonio artistico e culturale non sono mai stati deferiti alla Corte Penale Internazionale. Non si ha traccia di processi intentati contro i leader Taliban o di al-Qaeda per la distruzione dei Buddah di Bamiyan, nel 2001 in Afghanistan, nè contro il regime dei Khmer Rossi per il saccheggio dei templi indù cambogiani tra gli anni ’70 e ’80. Nè tantomeno si riscontrano azioni penali a carico dei leader dello Stato Islamico, colpevoli della distruzione delle sculture assiriche della città di Ninive, conservate nel museo archeologico di Mosul, in Irak, e delle rovine romane di Palmyra
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Laurea magistrale in Giurisprudenza e Specializzazione in professioni legali. Tesi di laurea in Diritto Amministrativo e Tesi di Specializzazione in EU Law. Docente di Diritto Pubblico e EU Law presso "La Scuola Universitaria" - facoltà di Scienze Politiche.
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