Ignorare “l’Alt” della Polizia non è reato
A cura di Josè Criscuolo
Commento a Corte d’Appello di Roma, Sezione III penale, del 20 maggio 2016 n. 3252
<< Il conducente che non si ferma “all’alt” delle forze dell’ordine e accelera dandosi alla fuga non commette alcun reato se la sua marcia prosegue entro i limiti di velocità e senza manovre tali da creare generale pericolo>>.
La Corte d’Appello di Roma, dando continuità all’orientamento sposato recentemente dalla Cassazione, ribadisce che non costituisce reato sottrarsi al posto di blocco delle forze dell’ordine, ignorando l’ Alt degli agenti di polizia e dandosi alla fuga.
Al fine di comprendere al meglio la statuizione del Collegio capitolino, giova ripercorrere brevemente la dinamica fattuale da cui origina la decisione in commento.
Alla base della vicenda in esame si pone la condotta assunta dall’imputato in occasione del passaggio ad un controllo di polizia allestito in zona “Romanina”; come emerso dalle risultanze istruttorie, il conducente si opponeva energicamente agli agenti, << non fermandosi “all’alt” ma accelerando e dandosi alla fuga>>.
Il Giudice di prime cure riteneva la condotta descritta sussumibile nella fattispecie di cui all’articolo 337 c.p., integrando essa il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Giova brevemente ricordare che il delitto in esame si configura, nella sua forma base, quando l’autore <<usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio>>.
La peculiarità del reato in esame, collocato nel capo dei delitti contro la pubblica amministrazione, risiede nella circostanza che l’elemento costitutivo della violenza o della minaccia deve porsi in termini di contestualità con il compimento dell’atto da parte dell’agente pubblico, laddove nella fattispecie antecedente di cui all’art 336 c.p. la coartazione del pubblico ufficiale precede lo svolgimento dell’incarico.
All’esito di tale valutazione l’imputato veniva condannato alla pena di mesi sei di reclusione, anche tenuto conto del fatto che, dopo aver ignorato l’intimato “Alt”, il soggetto veniva inseguito a sirene spiegate da più volanti intervenute in ausilio dei colleghi impegnati nel posto di blocco.
Successivamente, la difesa dell’imputato presentava appello avverso la citata decisione di prime cure, deducendo l’insussistenza del reato contestato e, conseguentemente, richiedendo l’assoluzione.
Con la sentenza in commento la Corte capitolina accoglie l’appello e assolve l’imputato per non aver commesso il fatto, motivando la propria decisione sulla scorta di una sintetica ma chiara ricognizione della fattispecie per cui è causa.
Premesso che <<per la configurabilità del reato contestato è sufficiente qualunque condotta aggressiva destinata ad ostacolare il pieno esercizio della funzione del pubblico ufficiale>>, ivi compresa la violenza impropria, il Collegio esclude che una tale condotta si sia verificata nella fattispecie in esame.
A sostegno del proprio assunto, si richiama l’autorevole precedente della Corte di Cassazione (ex multis, sez. Feriale n. 40 del 10 settembre 2013) secondo cui <<l’art. 337 c.p. è integrato quando colui il quale si dia alla fuga procede ad altissima velocità e pone in essere manovre di guida tali da creare una situazione di generale pericolo>>.
Per la Corte d’Appello la fuga dell’imputato, sebbene abbia reso necessario l’intervento di diverse volanti, non si è svolta a particolare velocità, né dalle risultanze probatorie è emerso che le manovre per seguirlo ovvero per bloccarlo avessero creato una situazione di pericolo.
A rafforzare l’impianto motivazionale contribuisce la circostanza che, all’esito dell’inseguimento,
<< all’imputato venne contestata la violazione di norme del codice della strada che non riguardavano i limiti di velocità>>; infatti fu elevato verbale per la violazione degli artt. 180 (Possesso dei documenti di circolazione e di guida), 181 (Esposizione dei contrassegni per la circolazione) e 192 (Obblighi verso funzionari e agenti).
Tutto ciò premesso il Giudice di secondo grado, in riforma della appellata sentenza del Tribunale di Roma del 7.10.2013, assolve l’imputato perché il fatto non sussiste, concludendo nel senso che la condotta tenuta dall’imputato si pone all’esterno dell’ambito applicativo di cui all’art. 337 c.p.
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Josè Criscuolo
Laureato nel 2012 in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi in diritto amministrativo. In seguito svolge il tirocinio presso l'Avvocatura dello Stato di Napoli.
Nel 2014 consegue il diploma di specializzazione per le Professioni Legali e ottiene l'abilitazione all'esercizio della professione forense.
Attualmente è iscritto all'Ordine degli avvocati di Torre Annunziata
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