Il cyber-bullismo: cosa è e come combatterlo

Il cyber-bullismo: cosa è e come combatterlo

Il cd “cyberbullismo”o “bullismo on-line”, a differenza del bullismo “classico”, viene attuato attraverso la rete. Con l’avanzare delle nuove tecnologie e di dispositivi sempre più moderni, anche il fenomeno bullismo si è evoluto: il bullo raggiunge la propria vittima ovunque essa sia, in qualunque momento della giornata.

In questo fenomeno la vittima o potenziale vittima, non si sente soltanto aggredita, ma si sente perseguitata. L’idea della persecuzione può essere reale, ma può avere a che fare anche con un sentimento precedente, proveniente da episodi di bullismo avvenuti nel mondo non virtuale.

È un fenomeno che deve vedere più vigili voi genitori e voi insegnanti, che, magari, siete più inesperti per quanto riguarda le nuove tecnologie, non essendo “nativi digitali”.

I bambini ed i giovani, in generale, al giorno d’oggi, comunicano quasi esclusivamente con sistemi quali social network o con instant messanging (whatsApp, viber, skype etc.), tanto che il confine tra vita reale e vita on-line viene grandemente ridotto, fino ad essere, in molti casi, quasi inesistente. Attraverso tutti questi mezzi, ugualmente possono essere commessi fatti devianti come minacce, esclusioni, estorsioni esattamente come avviene nella realtà, ignorando, magari che, quanto viene scritto, rimane per un tempo indefinito.

Ma in questo caso, la denigrazione della vittima, per esempio, avviene in modi molto più incisivi ed occulti, come la falsificazione di profili Facebook, l’invio ai vari contatti di foto imbarazzanti anche falsificate o rubate in momenti di debolezza, etc. Inoltre il bullo, agendo online, può raggiungere chiunque in ogni tempo ed in ogni luogo e, non vedendo la reazione della sua stessa vittima, rischia di fare danni gravi sulla psiche e sull’emotività del suo coetaneo. Ricordiamoci anche che la visualizzazione della rete è pressoché infinita, e quindi tutti potremmo essere testimoni di un evento di cyber-bullismo e, per questo, non dovremmo mai sottovalutarne la portata. Chiunque ha accesso ad internet può vedere le denigrazioni e le offese perpetrate nei confronti della vittima: la vittima si sente sempre in trappola, senza alcuna via di fuga. Anche la famiglia della vittima si sente impotente, senza poter vedere soluzione alcuna.

Il cyber-bullismo non sembra reale, perchè non si vede la vittima, ma per la vittima è reale, il suo dolore è reale, la sua sofferenza è reale.

Vediamo di fare chiarezza su quest’ultimo discorso: ormai, al giorno d’oggi, quasi tutti noi abbiamo un profilo Facebook o su altri social-network, sul quale condividiamo con gli amici foto di serate, articoli, pensieri, instaurando discussioni più o meno futili, e sul quale facciamo giochini simpatici invitando un po’ tutti a mandarci vite e premi vari. Ma anche quando “chiudiamo” i contenuti del nostro profilo alle persone con le quali non abbiamo stretto amicizia, siamo davvero certi che siamo al sicuro da attacchi di curiosi o di persone che vogliono danneggiare la nostra immagine o rubare le nostre informazioni? 

Prima di tutto, giusto per informazione generale, il consiglio per tutti è quello di non “spiattellare” tutti i nostri dati sui social network, potrebbe essere imbarazzante il fatto che tutti sappiano quante foto abbiamo, o cosa ci possiamo permettere, o dove andiamo durante la nostra giornata. Certamente è interessante far sapere in quale spiaggia siamo andati durante l’estate, o con chi eravamo a cena, o qual è stato il nostro ultimo viaggio, giusto per rivivere i momenti più piacevoli. Questi consigli sono rivolti, soprattutto, ai più giovani, e, di conseguenza ai loro genitori, in modo da evitare il più possibile, spiacevoli sorprese e conseguenze dannose, sia per l’integrità dell’adolescente, sia per non incorrere in cause giudiziarie dannose ed inutili.

Per prima cosa, bisognerebbe non accettare l’amicizia sui socialnetwork da persone che non conosciamo o che ci sembrano sospette, anche se abbiamo altre amicizie con loro in comune: prima di accettare, informarsi bene sulla persona, anche se, come è ormai risaputo, non sappiamo mai chi si può nascondere dietro uno schermo. Potrebbe risultare sotto attacco il giovane che non ha nessun profilo su Facebook o su altri social network, soprattutto se si trova a vivere esperienze come vittima di bullismo nelle aule scolastiche o in altri luoghi di ritrovo: in questo caso si ha a che fare con un fenomeno in crescita, ovviamente, con l’avvento, sempre più prepotente, di computer e smartphone. Spesso, la vittima è ignara di quello che sta accadendo in rete: i bulli aprono un profilo finto della vittima, potrebbero mettere foto reali per renderlo più credibile, e scrivere cose false o segreti veri per danneggiare l’immagine del loro bersaglio. Purtroppo, in questo modo, il bullismo non finisce appena scatta l’ora di uscita dalla scuola, ma, inconsapevolmente, la vittima è presa di mira in tutto l’arco della giornata, e, senza saperlo, le notizie arrivano illimitatamente a tutti, dato che internet è un mezzo così potente da arrivare in ogni luogo. Diversi, effettivamente sono stati i casi reali di ragazzi presi di mira per “difetti”, quindi, per ignoranza dei loro coetanei: ricordiamo, ad esempio, il caso del “ragazzo dai pantaloni rosa”, preso di mira e fatto passare per chi non era (sono state indagate, per questo, anche una sua insegnante e la preside della scuola che frequentava).

Diversamente dal bullismo vero e proprio, il cyber-bullismo non comporta una coercizione o una violenza fisica, ma le vittime sono sottoposte a continua violenza psicologica, difficile da combattere e difficile da superare, in certi casi. Le conseguenze psicologiche e le ripercussioni del fenomeno sono simili a quelle del bullismo tradizionale: potrebbe esserci una grande sofferenza soggettiva e con effetti anche gravi sull’autostima, sulle capacità sociali ed affettive, sull’identità personale. Possono riscontrarsi anche difficoltà per quanto riguarda le prestazioni scolastiche, e potrebbero presentarsi disturbi come ansia, depressione e, nei casi più estremi, idee autolesionistiche o suicidiarie. E’ importante ragionare in termini di prevenzione per evitare di dover affrontare aspetti ben più gravi: una buona informazione e comunicazione effettuate sia dalla famiglia che dalla scuola, può rivelarsi molto utile. Spesso sono proprio la disinformazione, il silenzio sul fenomeno e la convinzione di non poter denunciare i fatti, a far sì che gli aggressori agiscano convinti della possibilità di non uscire allo scoperto e le vittime, nel frattempo, subiscono provando vergogna e sentendosi inadeguate o sbagliate nei confronti degli altri. Il molestatore crede che, attaccando la sua vittima tramite mezzi di questo tipo, possa rimanere nell’anonimato e continuare a divertirsi alle spalle del suo bersaglio: tale anonimato, invece, è illusorio perché ogni tipo di comunicazione elettronica lascia delle tracce, ed è molto semplice risalire alla fonte per gli operatori delle Forze dell’Ordine. Inoltre, promuovere attività scolastiche sulla comunicazione mediatica aiuterebbe tutti a comprendere il significato e le conseguenze che tale comunicazione comporterebbe se venisse utilizzata nel modo sbagliato. Queste iniziative dovrebbero, in più, essere accompagnate ad altre tese all’educazione ai valori e al rispetto dell’identità e delle differenze. Bisognerebbe trovare il tempo, periodicamente, per parlare ai giovani (sia in famiglia che a scuola) di temi riguardanti il disvalore delle prepotenze reali ed on-line e aiutarli, nel caso, a comprendere che, anche se non vedono le reazioni delle persone alle quali hanno inviato messaggi o video offensivi, comunque, hanno arrecato loro una sofferenza. Bisognerebbe spiegare, inoltre, che non si risolvono i problemi con i compagni di classe offendendoli ed insultandoli.

Inoltre, non avere profili facebook, Twitter, Instgram o altri simili, potrebbe risultare, in questi casi, controproducente, non è la soluzione giusta: il consiglio che viene dato ai genitori da molti esperti appartenenti alle Forze dell’Ordine, è quello di creare un profilo a nome dei figli anche a loro insaputa, in modo da associare foto e nome e controllare direttamente il mondo dei social. Altre soluzioni da adottare, potrebbero essere, per esempio, cambiare indirizzo di posta elettronica e non frequentare più, o per un po’, siti e chat in cui agisce il cyber-bullo; non fare il gioco del persecutore come supplicarlo di smettere, rispondergli per le rime o mostrarsi arrabbiati perché, a volte, non fa che aumentare il suo interesse; la vittima può inviare un unico messaggio con scritto che i genitori sono stati informati e hanno sporto denuncia alla Polizia. Inoltre, se le cose non cambiano e i fatti continuano a verificarsi, anche dopo aver adottato queste soluzioni, è preferibile contattare realmente la Polizia Postale e delle Comunicazioni o i Carabinieri/Polizia. Si possono configurare reati come ingiuria (art. 594 del codice penale), diffamazione (art. 595 del codice penale), violenza privata (art. 610 del codice penale), minaccia (art. 612 del codice penale).

Per cercare di evitare questo attacco, è necessario un attento monitoraggio, da parte degli adulti, sull’uso che viene fatto di smarthphone o di computer, di siti internet visitati e di quello che viene scritto nelle varie chat-line, mantenendo, al contempo, un dialogo sempre aperto e sincero. Purtroppo, le cronache nazionali, hanno riportato notizie che non vorremmo mai sentire, come il suicidio di giovanissimi che non riuscivano più a reggere la pressione dei loro “aguzzini” che, interrogati sul fatto, hanno detto semplicemente che era un gioco. Cerchiamo di evitare queste conseguenze terribili ai nostri ragazzi: cerchiamo di vedere i segnali ammonitori di disagi sia scolastici che relazionali, e facciamoci, nel caso, aiutare senza vergogna e senza paura in un percorso difficile per loro stessi.

Purtroppo, molto spesso questi fenomeni vengono liquidati alla stregua di ragazzate, di giochi tra coetanei, minimizzate dicendo che i ragazzi stavano solo scherzando, oppure che in questo modo i ragazzi vengono aiutati nella crescita, oppure, ancora, si pensa che questa fase passerà da sola. Per questo è importante interrogarci sulle nostre percezioni della prepotenza, e, quindi, vedere di ridimensionare l’idea su questo fenomeno, prima che un semplice atto possa avere conseguenze più gravi.

Per concludere l’unico modo per combattere questo fenomeno è una politica scolastica integrata, da mettere in atto coinvolgendo tutti gli attori della scena, in un dialogo aperto che possa permettere di trovare soluzioni condivise e risolvere criticità di sistema insite nel fenomeno stesso, creando, al contempo un contesto relazionale più consapevole.

Lara Vanni

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