Il nuovo reato di negazionismo: arma a doppio taglio?
Il 28 Giugno del 2016 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge n. 115/16, con cui è stato introdotto il comma 3-bis dell’art. 3 della Legge Mancino 654/1975 sui reati di discriminazione razziale e di stampo xenofobo. La disposizione in esame prevede l’applicazione della reclusione da due a sei anni “se la propaganda, ovvero l’istitgazione e l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah, o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale” .
Prima di effettuare una riflessione sulle origini della neo fattispecie, appare opportuno procedere ad una differenziazione tra i concetti di negazionismo e revisionismo: il primo è l’atteggiamento di chi nega la stessa esistenza della Shoah e ritiene destituiti di fondamento i fatti alla base della sua ricostruzione storica, entrando inevitabilmente in conflitto con qualsiasi regola storiografica prestabilita ; il revisionista è invece colui che tende a rivedere le opinioni storiche consolidate alla luce di nuovi elementi e di ulteriori conoscenze acquisite nel corso di una ricerca, con il risultato di reinterpretare determinati avvenimenti storici.
Recentemente il problema della repressione del negazionismo è stato portato in auge nel panorama europeo anche attraverso due importanti pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del 15 e del 20 Ottobre del 2015. A Strasburgo, la negazione dell’Olocausto ebraico viene regolarmente ricondotta nello spettro operativo dell’art. 17 CEDU, che inibisce in radice ogni esame del merito dei ricorsi e taccia l’impostura negazionista come abusiva perché in re ipsa incita all’odio; viceversa, quando la negazione riguarda la qualificazione giuridica di un fatto, ma non anche la sua portata lesiva, ci sarebbero margini di manovra per esaminare la questione nel prisma dell’art. 10 CEDU,dichiarando infine la violazione della libertà di espressione.
A livello nazionale, l’iter legislativo di approvazione del testo di una specifica fattispecie criminosa, non si è dimostrato semplice, provocando non poche tensioni tra Camera e Senato. La modifica della legge 154/1975 ha sollevato numerose perplessità, in particolare, su due fronti, quello dell’opportunità della scelta poitico-criminale e quello del piano tecnico-formale. Sotto il primo profilo non possono non essere valutati i rischi di contrasto con gli artt. 21 e 33 della Costituzione, involgenti la libertà di manifestazione del pensiero e di ricerca scientifica; dal punto di vista tecnico –formale invece , è d’uopo evidenziare che la norma penale avrebbe potuto essere scritta in forma diversa , onde evitare divergenze con il principio di precisione descrittiva e di pregnanza del fatto, strumento di garanzia sostanziale dai pericoli dell’arbitrio giudiziario.
Il nodo gordiano per eccellenza è stato però quello relativo alla coordinamento della nuova fattispecie con la libertà costituzionalmente tutelata di manifestazione del pensiero, consacrata nell’art. 21. Ci si è chiesti invero se l’introduzione dell’aggravante specifica che punisce il negazionismo integri o meno un vero e proprio reato di opinione: non è in dubbio che la libertà di espressione e di propaganda delle idee più eterogenee costituisca una pietra miliare dell’ordine democratico, ed è quindi necessario che qualsiasi limitazione della medesima trovi radici sicure nella tutela di situazioni giuridiche legate ai diritti della persona o ad interessi pubblici. Avverso l’introduzione del reato di negazionismo è stato sostenuto che, in ultimo, si arriverebbe all’imposizione di una verità storica , a danno della libertà di espressione, che permette anche la diffusione di contenuti meritevoli di censura per la maggior parte dei consociati.
Su altro fronte, I sostenitori della figura criminosa in esame, hanno fatto leva su alcuni importanti elementi favorevoli alla compatibilità della stessa con l’art. 21 Cost.: non esisterebbe identità tra propaganda e semplice manifestazione del pensiero, avendo la prima la caratteristica di porsi in diretta relazione con un’azione; il discorso negazionista, sembra senza dubbio caratterizzato da una forte volontà polemica nei confronti di una razza o di un’etnia, poiché lungi dal limitarsi ad esprimere un’opinione, esso è teso ad offendere gli appartenenti a determinati gruppi sociali, ledendo nel profondo la loro dignità e mirando alla diffusione di tali propositi oltraggiosi. Il crimine negazionista andrebbe quindi inquadrato quale species del più ampio genus della fattispecie di incitamento all’odio razziale e di propaganda razzista, stando la specialità nella modalità di perpetrazione dell’offesa; in second’ordine si taccia di superfluità il discorso sull’anticostituzionalità del nuovo reato, in quanto la precedente legislazione repressiva della propaganda razzista, già consentiva la punibilità delle condotte in commento.
In questo problematico scenario, è opportuno sottolineare che ,sebbene la norma incarni sicuramente un atto di grande importanza verso il rispetto delle verità storiche e della necessità di non dimenticare , rimane da augurarsi che il comma 3-bis dell’art. 3 della legge 654/1975 venga correttamente applicato dal sistema giudiziario e non divenga invece l’ennesimo strumento a senso unico, che in quanto tale andrebbe a favorire proprio la discriminazione che si propone di combattere.
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