Il problema dell’inquinamento: la nozione di acque reflue
Sentenza n. 35850 ud. 10/05/2016 – deposito del 31/08/2016
Presidente: E. Rosi; Relatore: A. Di Stasi
L’ordinamento oggi appresta una tutela rinforzata all’ambiente; tutela che, per la verità, ha assunto una particolare veste solo a partire dal 2009, allorquando la Corte Costituzionale ha abbandonato l’idea di tutela INDIRETTA (per il tramite degli artt. 9 e 32 Cost., i quali consentivano un controllo ed una salvaguardia del bene ambiente solo finalizzato alla tutela di un ecosistema salubre e, dunque, alla salvaguarda della salute pubblica), per accedere ad una tutela DIRETTA del bene, come materia autonoma.
D’altronde, anche a seguito della spinta proveniente dall’ordinamento euro-unitario, in particolare dai principi di cui all’art. 191 TFUE (ex articolo 174 del TCE), nonché dalla direttiva n. 2008\99\CE, che ha imposto agli Stati membri di introdurre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, il legislatore interno si è attivato apportando sensibili modifiche al Codice dell’Ambiente (d.lgs. 152\2006) e codificando le contravvenzioni di cui agli artt. 727 bis e 733 ter c.p.
Da ultimo, è rilevante il fenomeno di decodificazione di cui alla legge n. 68\2015 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” che, dopo il titolo VI del libro secondo del codice penale, ha introdotto il Titolo VI-bis – Dei delitti contro l’ambiente (artt. 462-bis e ss c.p.).
Sulla scorta del passaggio da una concezione antropocentrica ad una etnocentrica o “ecocentrica”, orbene, si segnala la sentenza della III Sezione Penale della Corte di Cassazione, n. 35850 ud. 10/05/2016 (deposito del 31/08/2016).
Tale sentenza, nella sua essenzialità, è interessante in quanto ha precisato la nozione di acque reflue, enunciando, altresì, il seguente PRINCIPIO DI DIRITTO: “in tema di inquinamento idrico, lo scarico di acque reflue provenienti da un centro di emodialisi configura il reato di cui all’art. 137, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di acque provenienti da un’attività che ha ad oggetto l’effettuazione di prestazioni terapeutiche caratterizzate dall’impiego di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attività domestiche.”
La Corte di Cassazione, in sostanza, dichiarando inammissibile l’impugnazione promossa dal legale rappresentante di un centro di emodialisi, condannato alla sola pena pecuniaria, per il reato di cui all’art. 137, comma 1 del d.lgs. 152\2006, ha tracciato la nozione generale di acque reflue, da non circoscrivere alla sola definizione che ne dà il Codice dell’Ambiente.
La Cassazione ha sottolineato come, nonostante vi sia una norma, rectius l’art. 74, comma 1 lett. h) del d.lgs. 152\2006, che fornisce una definizione di acque reflue industriali, facendovi rientrare tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attività commerciali e produttive, non trattandosi, evidentemente, di reflui che attengono al metabolismo umano ed alle attività domestiche, l’attuale nozione generale di acque reflue, dalle quali derivano attività produttive tali da rendere necessario un particolare processo di smaltimento, emerge a contrario da quella di acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica.
Tutto ciò che non rientra nella nozione di acque domestiche va, senza dubbio, nella più ampia definizione di acque reflue.
Orbene, se si considera che l’EMODIALISI è una terapia fisica sostitutiva della funzionalità renale somministrata a soggetti nei quali essa è criticamente ridotta e si attua mediante l’utilizzo di un impianto attraverso il quale il sangue del soggetto dializzato viene estratto dal paziente, filtrato, ponendolo a contatto con il liquido di dialisi attraverso l’interposizione di una membrana di dialisi a livello della quale si determina lo scambio di soluti tra i fluidi – sangue e liquido di dialisi – e, quindi, reinfuso, non può che dedursi la seguente conclusione cui sono giunti i giudici della Suprema Corte: “le acque reflue prodotte da un centro di emodialisi, in quanto provenienti da un’attività che ha ad oggetto l’effettuazione di prestazioni terapeutiche, sono caratterizzate dalla presenza di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attività domestiche; non possono, quindi, essere qualificate come acque reflue domestiche ma vanno qualificate come acque reflue industriali.”
PROFILI PROCEDURALI
Per onere di completezza, si sottolinea che la Corte, nella sentenza richiamata, ha altresì ritenuto inammissibile l’impugnazione in quanto la ricorrente, avendo erroneamente appellato la sentenza di condanna alla sola pena pecuniaria (nella misura di € 1.000,00 di ammenda) ha chiaramente subìto la trasformazione dell’impugnazione (appello) in ricorso per cassazione.
Il trasferimento del procedimento dinnanzi al giudice competente non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato, orbene l’atto convertito acquista i requisiti di sostanza e di forma dell’impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta.
Pertanto le censure di merito lamentate dalla ricorrente, riguardanti sia la rivalutazione del compendio probatorio, sia la ricostruzione in fatto della vicenda, non sono state valutate.
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