Infortunio sul lavoro: condotta dell’infortunato e responsabilità dell’ente

Infortunio sul lavoro: condotta dell’infortunato e responsabilità dell’ente

Il caso.

La sentenza in commento tratta di una fattispecie di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, occorse al dipendente di una società dedita alla produzione di imballaggi in cartone. La relativa responsabilità veniva così addebitata, già in primo grado, sul versante penale al Presidente del Consiglio di Amministrazione della società, individuato quale datore di lavoro ai sensi dell’art. 2, D. Lgs. 81/2008; sul versante della responsabilità amministrativa da reato, alla Società stessa, a norma degli artt. 5 e 25 septies del D. Lgs. 231/2001, per essere stato commesso il reato nell’interesse ed a vantaggio della medesima. Si contestava, in modo particolare, la mancata adozione, da parte dell’ente, di un modello di organizzazione e gestione atto a prevenire la commissione nel suo interesse o a suo vantaggio del reato di cui all’art. 590 c.p., come sopra aggravato.

Il Giudice di Seconde Cure confermava la sentenza del Tribunale, ritenendo di non condividere la ricostruzione dell’appellante, secondo la quale la responsabilità dell’infortunio avrebbe dovuto essere ascritta al comportamento del lavoratore (il quale, al fine di inserire dei fogli di cartone all’interno di un macchinario per l’incisione delle linee di piegatura, avrebbe utilizzato il piede, anziché la mano, scivolando ed agganciando pertanto al rullo in movimento il piede stesso, che ne rimaneva offeso). In particolare, il Giudice del gravame osservava che l’evento avrebbe potuto essere impedito dalla conformità della macchina alle disposizioni antinfortunistiche, come dimostrato anche dalla circostanza che, dopo il fatto, essa era stata dotata dei dispositivi di sicurezza mancanti al tempo dell’infortunio.

Proponevano ricorso per Cassazione tanto l’imputato, quanto l’ente. Tra i motivi addotti a sostegno dell’impugnazione, spiccano in special modo: quello, proposto dall’imputato, inerente l’abnormità della condotta dell’infortunato, come tale insuscettibile di essere governata dal datore di lavoro; nonché quello, addotto dalla società, relativo alla mancata considerazione, da parte del Giudice, della circostanza che la società avesse adottato, già prima dell’infortunio, un modello di organizzazione e gestione ai sensi del D. Lgs. 231/2001.

Infortunio, responsabilità, regresso. Profili sostanziali e processuali dell’azione di rivalsa dell’INAIL Copertina flessibile – 31 ott 2013

La decisione.

La Suprema Corte, nel rigettare tutti i motivi proposti da entrambi i ricorrenti, si è soffermata in modo particolare sui due profili sopra evidenziati, entrambi di peculiare interesse rispetto alle tematiche della sicurezza sul lavoro e della responsabilità dell’ente per i correlati reati presupposto.

Quanto alla condotta del lavoratore infortunato, i Giudici di Piazza Cavour hanno osservato che il comportamento colposo del lavoratore è suscettibile di interrompere il nesso causale tra il contegno del datore di lavoro e l’evento lesivo solamente quando essa possa reputarsi abnorme, vale a dire “assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità“, non bastando, pertanto, una condotta che “si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale” (non potendosi ragionevolmente attendere che i comportamenti del lavoratore si conformino costantemente a tale modello). Un’operazione, sia pure inutile o imprudente (quale per esempio l’inserimento del foglio di cartone nel macchinario attraverso la spinta del piede, in luogo dell’uso delle mani), ma non eccentrica rispetto alle mansioni del lavoratore, non può qualificarsi in alcun modo come imprevedibile e come tale suscettibile di ingenerare un rischio, per la salute e la sicurezza del lavoratore, che sia ingovernabile da parte del datore di lavoro. Al fine, dunque, di escludere la responsabilità datoriale, è necessario che l’infortunato abbia tenuto un contegno che sia connotato da circostanze peculiari, tali cioè da collocarlo “al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso“.

Con riferimento, invece, alla responsabilità dell’Ente, il Giudice di Legittimità, dopo avere osservato come – secondo oramai consolidata giurisprudenza – i criteri dell'”interesse” o dal “vantaggio” per l’ente di cui all’art. 5, D. Lgs. 231/2001 debbano riferirsi, nei reati colposi, alla condotta e non all’evento lesivo, arriva a sostenere che, nel caso di specie, entrambi i requisiti sarebbero soddisfatti. A sostegno di tale posizione gli Ermellini osservano come la condotta omissiva colposa del datore di lavoro sia stata posta in essere tanto nell’interesse, quanto a vantaggio della società da questi rappresentata: i presidi antinfortunistici dallo stesso non adottati prima dell’infortunio, infatti, avrebbero rallentato i tempi di produzione; d’altro canto, l’aggiornamento e adeguamento del macchinario alle norme antinfortunistiche avrebbe rappresentato un costo). Sulla scorta di tali osservazioni, la Suprema Corte ha sostenuto l’irrilevanza delle argomentazioni difensive, tese a valorizzare l’esistenza di un organigramma, di un modello di organizzazione e gestione come disciplinato dal D. Lgs. 231/2001, l’adozione di mansionari e la tenuta di riunioni periodiche. Ciò alla luce, per l’appunto, del positivo vaglio circa i criteri di imputazione, dell’interesse e del vantaggio, di cui all’art. 5, D. Lgs. 231/2001.

Considerazioni critiche.

La posizione assunta dalla IV^ Sezione, se non desta particolare sorpresa rispetto alla problematica della condotta abnorme del lavoratore, lascia al contrario perplessi in ordine alla ricostruzione dalla stessa operata quanto alla sussistenza delle condizioni alle quali l’art. 5, D. Lgs. 231/2001 subordina la responsabilità dell’ente.

Quanto al primo profilo, infatti, la pronuncia in commento si inserisce in un consolidato filone giurisprudenziale (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, sent. 22249 del 14.03.2014; Cass. Pen. Sez. IV, sent. 7955 del10.10.2013 – 19.02.2014, esplicitamente richiamate), il quale considera come lo scostamento, per quanto minimo, della condotta del lavoratore da standard di piena prudenza, diligenza e perizia, costituisca un aspetto connaturato alla gestione del lavoro e che pertanto, un simile scarto dalla “condotta modello” debba considerarsi ricompreso nell’area del rischio che il datore di lavoro è tenuto a gestire. Solo una condotta radicalmente ed ontologicamente lontana da quelle ipotizzabili – in quanto rientranti alle lavorazioni che competono al dipendente, o alle stesse connesse – possono escludere la responsabilità del datore di lavoro (così sin da Cass. Pen., Sez. IV, sent. 40164 del 03.06.2004; cfr. anche, più di recente, Cass. Pen., Sez. IV, sent. 14165 del 08.04.2015).

Sono invece le conclusioni tratte dagli Ermellini in ordine alla responsabilità della società a lasciare interdetti.

In primo luogo, non si comprende come possa la Suprema Corte ritenere che i criteri di imputazione oggettiva di cui all’art. 5, D. Lgs. 231/2001, siano integrati entrambi. Una simile conclusione contraddice infatti – innanzitutto – la lettera della norma, la quale utilizza la disgiunzione “o”, in luogo della congiunzione “e”, allorché richiede, per imputare l’illecito all’ente, che lo stesso sia commesso “nel suo interesse o a suo vantaggio”. Non solo: gli stessi Giudici di Piazza Cavour, già prima del noto arresto “Thyssenkrupp” (Cass. Pen. Sez. Un., sent. 38343 del 18.09.2014) avevano ribadito (sin da Cass. Pen., Sez. II, sent. 3615 del 30.01.2006) come la locuzione impiegata dal legislatore non contenesse una endiadi, perché i due termini, “interesse” e “vantaggio”, designano concetti giuridici diversi. Come è noto, infatti, l’interesse si colloca “a monte” della condotta illecita, avendo riguardo al perseguimento di un dato risultato, che ben può non essere conseguito; al contrario il vantaggio costituisce un esito obiettivamente raggiunto (anche laddove eventualmente non fosse stato prospettato ex ante) attraverso la commissione del reato. Ricostruzione ermeneutica, questa, sancita dalla Suprema Corte nella sua massima composizione, in occasione della già menzionata vicenda “Thyssenkrupp”, allorché i Giudici di legittimità hanno ulteriormente precisato come i due criteri – correttamente riferiti alla condotta, nell’ipotesi di reato colposo d’evento – siano da intendere quali criteri concorrenti ed alternativi tra loro, non potendosi quindi ravvisare la contestuale presenza di entrambi.

Non solo: desta perplessità anche l’ulteriore considerazione circa l’irrilevanza del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, tratta dal “positivo vaglio circa l’esistenza dei criteri di imputazione di cui all’art. 5 del d. lgs. 231 del 2001”. Il Giudice, in buona sostanza, pone nel nulla il vaglio di idoneità del Modello, pure adottato dall’ente, sulla scorta della considerazione che, in ogni caso, risulta accertata la commissione di un reato presupposto che soddisfa i requisiti di cui all’art. 5. Tralasciando il criticabile uso che si è fatto dei due criteri di imputazione, di cui si è detto poco più sopra, ciò equivale a sostenere che, ogni qualvolta sia accertato un reato di quelli compresi nella “Parte Speciale” del D. Lgs, 231/2001, ciò renda superflua ogni valutazione in ordine all’adeguatezza del Modello, all’esistenza di un organismo che effettivamente vigili sul funzionamento e sull’osservanza dello stesso e, infine, alla elusione fraudolenta dei protocolli di cui il Modello consta. Ma una simile impostazione, come è ovvio, porterebbe con sé la conseguenza della sostanziale inutilità di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo e della sua costante implementazione; con ciò disincentivando quella cultura della prevenzione del rischio da reato che – sia pure timidamente – anche nel nostro ordinamento (per quanto con un certo ritardo rispetto all’entrata in vigore della legge) sta finalmente cercando di affermarsi.

consulenza_per_privati_e_aziende          consulenza_per_avvocati

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Ideatore, Coordinatore e Capo redazione avv. Giacomo Romano
Copyrights © 2015 – Salvis Juribus - ISSN 2464-9775
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
The following two tabs change content below.

Angela Santinello

Angela Santinello è Praticante Avvocato Abilitato al Patrocinio nel Foro di Ferrara. Nell'esercizio dell'attività professionale è prevalentemente dedita alla trattazione di materie afferenti al Diritto Penale. Laureata in Giurisprudenza nel luglio 2013, nel luglio 2015 ha conseguito un Master Breve in Diritto Penale di Impresa.

Articoli inerenti