Intercettazioni: quando il virus informatico “accede” nella privata dimora. Cass. SSUU. n. 26889 ud. 28.4.2016, dep. il 1.7.2016
La sentenza delle Sezioni Unite prende avvio da una ordinanza, emessa dal Tribunale del riesame di Palermo che ha confermato, nei confronti di un imputato per i reati ex art- 416 bis e 629 c.p.p., la misura della custodia cautelare in carcere emessa dal Gip sulla base dei gravi indizi di colpevolezza emersi non solo dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia ma altresì dalle intercettazioni effettuate tramite il nuovissimo sistema del captatore informatico.
La difesa ha lamentato un vizio di motivazione per erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo, desunti unicamente in base, proprio, ai risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali che non risulterebbero suffragate da dichiarazioni di pentiti.
Viene dedotta inoltre l’illegittimità per violazione degli artt. 14 e 15 Cost., 8 CEDU, 266 e 271 c.p.p., del decreto n. 315/14 con il quale si autorizzano le intercettazioni effettuate tramite apparecchi in uso a terze persone che vengono a contatto con gli indagati, quelli che ormai sono entrai in uso con il termine di “body phone”.
La VI sez. della Corte di Cassazione, ritenendo rilevante la questione e tenendo conto delle diverse correnti di pensiero sul punto ha deciso di rimettere la decisione alle Sezioni Unite affinché si pronunci in maniera defonitiva sulla legittimità costituzionale e internazionale del nuovo strumento che prende sempre più piede negli apparati investigativi.
Occorre, tuttavia, illustrare preliminarmente, le modalità di questo nuovo metodo captativo per poi addentrarsi sulla decisione della Suprema Corte.
Vi è da sottolineare che da tempo la giurisprudenza è unanime nel ritenere che tale tipologia di ricerca della prova rappresenti una forma di intercettazione di comunicazione tra presenti ex art.266 c.p.p., altrimenti detta intercettazione ambientale che avvien in luoghi pubblici e aperti al pubblico attraverso la captazione vocale tramite un dispositivo sul quale viene installato un “virus” effettuando una forma di controllo occulto attraverso il microfono dell’apparecchio che si trasforma in una “cimice informatica”.
In altri termini, l’intercettazione in questione “sfrutta” la ormai dilagante abitudine di portare con sé il cellulare, il tablet sicché, inviando un messaggio, una mail, sul dispositivo prescelto (il c.d. dispositivo besaglio), il destinatario non sà che aprendolo, involontariamente installa un virus (il c.d. Trojan Horse) che permetterà al mittente (la Procura) di sapere sempre dove si trova il soggetto e, soprattutto di captare le conversazioni che lo stesso intrattiene con altri, in qualsiasi luogo lo stesso dovesse trovarsi, anche nella privata dimora.
Proprio tale ultimo aspetto ha suscitato le maggiori perplessità poiché si sostiene che tale metodo violerebbe il divieto ex art. 266, comma 2, c.p.p., che non permette di eseguire la captazione nella privata dimora salvo che ivi si stia consumando il reato. Non solo, si violerebbero i dettami costituzionali e comunitari poiché la metodica della intercettazione non permette di delineare i confini del decreto che autorizza le conversazioni perché la captazione seguendo l’intercettato ovunque si sposti, rende molto generico l’ambito applicativo della autorizzazione.
Inizialmente la giurisprudenza di legittimità, in tema di decreto che dispone le intercettazioni aveva specificato che “l’intercettazione da remoto delle conversazioni tra presenti –con l’attivazione tramite il c.d. agente intrusore informatico, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone- può ritenersi legittima solo se il relativo decreto autorizzativo individui con precisione i luoghi in cui eseguire tale attività captativa, ne discende che un decreto che non specifica i luoghi dovrebbe ritenersi illegittimo con conseguente inutilizzabilità delle captazioni effettuate”1.
Secondo la Cassazione testé citata quindi, l’unica interpretazione costituzionalmente compatibile degli artt.266 e ss. c.p.p., sarebbe quella secondo cui l’intercettazione ambientale deve avvenire in luoghi ben circoscritti e determinati ab origine nel provvedimento autorizzativo non potendo ritenersi legittima una intercettazione effettuata ovunque il soggetto si trovi.
Tuttavia, il dilagare di tale uso captativo che permette di avere maggiori elementi investigativi e la non condivisione delle doglianze prospettate nel ricorso ha portato la Suprema Corte di Cassazione a pronunciarsi a Sezioni Unite al fine di dissipare ogni dubbio soprattutto con riferimento ai reati di criminalità organizzata dove l’intercettazione, nella maggior parte dei casi, diviene l’unico mezzo per la prosecuzione delle indagini.
La tecnica del captatore informatico2, o altrimenti detto agente intrusore3 permette al PM procedente di:
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captare tutto il traffico di dati in arrivo o in partenza dal dispositivo infettato;
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attivare il microfono e captare i colloqui che si svolgono nella spazio in cui si trova il dispositivo;
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mettere in funzione la web cam permettendo di acquisire le immagini;
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decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera collegata al sistema (keylogger) e visualizzare tutto ciò che accade sullo schermo del dispositivo bersaglio (attraverso gli screenshoot)
Inoltre, il visus in questione supera qualsiasi antivirus in commercio restando attivo nel dispositivo anche in caso di “pulizia” dell’apparecchio. Il tutto con il vantaggio della trasmissione dei dati in tempo reale tramite internet agli investigatori.
Come si evince, ne discende un penetrante controllo della vita dell’investigato, controllo che si estende anche a coloro che gravitano intorno all’intercettato. La grande potenza investigativa di questo mezzo, che permette agli agenti di non essere “scoperti” e di avere molto materiale a disposizione, si scontra però con i diritti degli individui che necessitano garanzie.
Sostiene il Supremo Consiglio che se è pur vero che questo tipo di intercettazione risulta altamente invadente ma è anche vero che, se si analizza con attenzione la normativa di riferimento (artt.266 e ss. c.p.p.,) ci si renderà conto che: “la legge non pretende che il decreto indichi con precisione i luoghi interessati dalla attività captativa e né, tantomeno la giurisprudenza ha mai affermato tale principio, non solo, la stessa Corte Europea non ne fa menzione”4.
Rammenta inoltre la Corte che proprio l’alta invasività nella sfera privata del soggetto intercettato comporta la ricerca di una disciplina dell’istituto che sia la più dettagliata possibile e che permetta il giusto bilanciamento tra l’azione investigativa che deve essere la più efficace possibile e il grado di ingerenza nella vita privata del soggetto5.
La giurisprudenza, d’altro canto ha sempre considerato legittime le captazioni tra presenti che comportano una variazione del luogo di apprensione dell’audio, la legittimazione si giustifica purché il luogo diverso dove si è spostata la conversazione sia comunque ricomprendibile nei luoghi indicati nel decreto6.
Sottolinea il Collegio che la norma richiede di specificare nel decreto che dispone l’intercettazione i luoghi prescelti ai soli fini della apposizione fisica delle microspie ma non al fine di ottenere l’autorizzazione per limitare i luoghi poiché, l’unico limite è e resta la privata dimora.
Unico vero luogo che diviene il vulnus delle intercettazioni tramite il captatore informatico luogo, questo sì, tutelato sia a livello codicistico, art. 614 c.p., a livello costituzionale art.15 Cost., che internazionale, art.8. CEDU, in quanto, una volta installato il virus segue il soggetto anche, e soprattutto nella privata dimora e, indistintamente in qualsiasi luogo l’intercettato si muova.
Se, deve escludersi la possibilità di intercettazioni nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., con il mezzo del captatore informatico, tuttavia deve tenersi conto della disciplina derogatoria di cui all’art.13 della L.203 del 19917 .
Da tempo il legislatore segue il principio del c.d. doppio binario in materia di intercettazioni di comunicazioni tra presenti stabilendo che, se il linea generale le intercettazioni rappresentano il mezzo ultimo che il PM deve utilizzare quando gli altri mezzi di ricerca della prova risultino essere insufficienti, proprio per la loro alta invasività e che, la privata dimora divine luogo controllato solo se è il luogo in cui si sta svolgendo l’attività criminosa, in materia di criminalità organizzata vi è un rovesciamento ossia, l’intecettazione è il primo mezzo che deve essere utilizzato e, proprio in base alla legge derogatoria del 1991, la privata dimora viene ad essere violata anche se non rappresenta il luogo in cui si sta perpetrando il delitto.
Lo scopo della normativa derogatoria è quello di agevolare l’attività investigativa per quei reati, di criminalità organizzata, che rappresentano un forte pericolo per l’intera collettività sicchè, le esigenze di tutela della privacy del singolo intercettato si piegano in confronto del più alto e importante interesse di difendere l’intera collettività.
Partendo proprio da una interpretazione teolologica delle intenzioni legislative ne consegue che, fermo restando il divieto di cui all’art. 266 c.p.p., in tema di reati di criminalità organizzata il decreto autorizzativo possa prescindere dalla indicazione dei luoghi di captazione, non solo perché già il legislatore a suo tempo ha colto l’esigenza di non limitare le attività del PM, poiché, per la natura di tali reati risulta impossibile definire un luogo o i luoghi autorizzati, ma anche perché proprio l’uso dell’intrusore informatico renderebbe del tutto irrilevante tale indicazione poiché non si può preventivamente conoscere dove il soggetto andrà a spostarsi.
Questa interpretazione potrebbe scontrarsi con chi sostiene che l’atto di autorizzare una intercettazione con il mezzo captativo, emesso dal Gip non potendo predeterminare i luoghi di privata dimora nel quale il dispositivo verrà introdotto, non potrà permettere una compiuta attività di controllo circa il rispetto della normativa del 1991, né sarà possibile, in itinere, una sospensione del flusso captativo portando, di fatto, il giudice a concedere una autorizzazione “al buio”, comportando una continua violazione della normativa nazionale e comunitaria in vigore.
Per alcuni8 tale captazione non sarebbe semplicemente inutilizzabile9 ma sarebbero captazioni effettuate contra legem e altamente nocive per l’indagato poiché alto sarebbe il rischio di divulgazione anticipata tramite i media del contenuto di intercettazioni che esulano dall’attività investigativa.
Tuttavia la Suprema Corte pare non condividere tali obiezioni mosse e, pur riconoscendo l’auspicio di un celere intervento del legislatore sulla materia stabilisce, con riferimento alla tecnica dell’agente intrusore e al tipo di captazione che non permette di stabilire a priori i luoghi in cui si possa autorizzare l’intercettazione che: “ la pretesa di indicare con precisione e anticipatamente i luoghi di interessati dall’attività captativa appare incompatibile con questo tipo di intercettazione, che per ragioni tecniche prescinde dal riferimento al luogo, in quanto è collegato al dispositivo elettronico, sia esso smartphone, tablet, pc, sicché l’attività di captazione segue tutti gli spostamenti nello spazio dell’utilizzatore”10.
La Cassazione precisa che quando risultano indicati il destinatario della captazione e la tipologia di ambiente (diversi dal luogo di privata dimora) in cui eseguirla, l’intercettazione deve ritenersi utilizzabile anche qualora venga effettuata in altro luogo riconoscendosi la “dinamicità” delle intercettazioni.
La pronuncia inoltre mette dei punti fermi che rappresentano e devono rappresentare delle linee guida per gli operatori del diritto:
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il decreto che autorizza l’intercettazione tra presenti non vi è bisogno di indicare i luoghi in cui l’attività captativa andrà a svolgersi tenendo conto che il luogo deve intendersi in modo dinamico restando sufficiente che il decreto indichi il destinatario della captazione e la tipologia di ambiente dove la stessa si andrà ad eseguire;
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che nella privata dimora, di regola è vietato l’utilizzo di tale mezzo di ricerca della prova salvo la deroga di cui al comma 2 dell’art.266 c.p.p.,
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Nei delitti di criminalità organizzata trova applicazione la normativa speciale, art.13 del la L.203 del 1991.
Tuttavia la Corte precisa che “nel rispetto dei canoni di proporzionalità e ragionevolezza a fronte della forza intrusiva del mezzo usato, la qualificazione, seppur provvisoria, del fatto come inquadrabile in un contesto di criminalità organizzata, risulti ancorata a sufficienti, sicuri e obiettivi elementi indiziari che ne sorreggano per un verso la corretta formulazione da parte del PM, e dall’altro, la successiva rigorosa verifica dei presupposti da parte del Gip chiamato a concedere la relativa autorizzazione”.
Appare evidente come il Legislatore, con la Legge del 1991, pur non conoscendosi ancora le innovazioni tecnologiche in uso, ha compiuto una scelta precisa, ossia quella di effettuare una più pregante limitazione della segretezza delle comunicazioni e di tutela del domicilio tenendo conto della eccezionale gravità e pericolosità per l’intera collettività, questo comporta la piena legittimità anche dell’uso captativo tramite l’intrusore informatico che dovesse recepire conversazioni tra presenti nella privata dimora quando si indaga per i reati coperti dalla normativa speciale poiché, la pericolosità elevata che comportano tali reati necessitano una risposta forte da parte dello Stato che può e deve usare tutti i mezzi più tecnologici a disposizione per contrastare questa sociale.
A cura della
Dott.ssa Maria Balzo
1 Cass., sez., IV, n. 27100 del 25.5.2015, in www.CortediCassazione.it.
2 Termine coniato dalla prima giurisprudenza prodottasi sul punto, Cass. sez .IV, n. 16556 del 2009, in www.CortediCassazione.it.
3 Cass., sez., IV, n. 27100 del 25.5.2015, in www.CortediCassazione.it.
4 Cass.,Sezioni Unite n.26889 del 1.7.2016, in www.CortediCassazione.it.
5 Vi sono state diverse proposte legislative e creazioni di commissioni ad hoc ma nessuna ancora appare aver trovate la disciplina adeguata.
6 Cass.pen., sez IV n.15396 del 2007, idem Cass. n. 5956 del 2011, e ancora Cass. sez .IV n.17894 del 2014 in www.Cortedi Cassazione.it.
7 Disciplina speciale in tema di reati di attività organizzate che, in deroga al limite di cui all’art. 266 c.p.p., permette l’intercettazione domiciliare anche se non vi è motivo di ritenere che nella dimora si stia svolgendo l’attività criminosa. Oltre ai reati per i quali il telefono rappresenta il mezzo attraverso il quale il delitto viene perpetrato.
8 Cass., sez., IV, n. 27100 del 25.5.2015, in www.CortediCassazione.it.
9 Permettendo il suo eventuale indirizzo in altro ambito quale ad esempio nell’ambito di un procedimento de libertate.